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Dopo la pausa pranzo dell'una, mentre controllavo la compatibilità del file nella sala riunioni con la LIM, ricevetti una chiamata da Paul per accertarsi che stessi bene e alla mia domanda del perché, scoppio a ridere.

«sappiamo che tu e Betty siete come cane e gatto, Riley»
«Spero almeno che tu mi capisca, Paul» sbuffai facendo partire PowerPoint.
«Lo so, Riley, lo so»
«Allora perché state ancora insieme? Davvero non riesco a capirti»
Tutto si bloccò sulla terza diapositiva e tornai indietro per capire se avessi messo il manuale da lì.
«È complicato, Riley. Forse un giorno ti farò chiarezza sulla nostra relazione, nel frattempo non uccidermela»
«Lo faccio solo per te, sappilo»

Ci salutammo perché aveva un'altra chiamata ed io mi concentrai sul problema.
L'IT era una vera rottura e se non fosse stato per i percorsi di formazione all'università non ci avrei mai capito nulla.

Disperata, mi lasciai andare su una delle sedie girevoli chiudendo gli occhi per un attimo.

In realtà avrei potuto chiedere quella giornata libera, perché io e mia sorella avevamo ancora da andare fuori città per vedere la macchina che volevo prendere, ma io avevo sempre da fare e lei non voleva andare da sola.
Il bus stava diventando impossibile soprattutto con il freddo e non potevo accettare l'offerta di Paul di farmi da autista, perché era troppo anche per me. Dovevo davvero mettere a posto almeno una parte della mia vita, perché lavoro o no, il vizio di rimandare le cose era sempre lì.

«Quindi tu vieni pagata per fare questo» sussultai sul posto davanti ad un Bryan con un'orrenda camicetta a fiori. Risi tra me e me.
«Ti diverte?»
Avevamo superato la formalità due ore prima quando per farmi un dispetto mi aveva preso il portafoglio impedendomi di pagare il pranzo ordinato e si era messo a giocare con la mia cioccolata calda fino a farla raffreddare, perciò gliel'avevo buttata sul petto costringendolo a cercare un ricambio.

«Si, perché sei un irrispettoso del cazzo»
«Io credo soltanto che mio padre ti conceda troppa libertà qui. Da quando sono arrivato continui a chiamarlo con il suo nome, puoi portare i familiari qui a mangiare, hai le palle di litigare con mia madre, hai accesso più tu a tutti i dati di mio padre che mia madre e mi parli come se fossimo amici: ci vai a letto, non è così?» ad ogni parola avanzava finché non si piegò sopra di me, era così vicino che i nostri respiri si confondevano, il naso toccava il mio e le lunghe ciglia mi accarezzavano le guance.

Arrossii involontariamente per il troppo contatto e schiacciai la leva del sedile per andare indietro mettendo un po più di distanza fra noi, ma lui lo prese in modo malizioso e mi raggiunse raccogliendo i miei capelli.

«Che stai facendo?»
«Secondo te, Riley?»
«Ci sono telecamere qui» lo dissi e me ne pentii l'istante dopo. Suonava così sbagliato, Dio santo!
«Devo dire che uno schiaffo mi avrebbe sorpreso di meno» mise su un ghigno malefico e trovò la leva per portarmi in avanti.

Tirò la sedia dietro di lui e si sedette con il mento sul palmo della mano.
Le nostre ginocchia si toccavano creando una connessione troppo oltre un rapporto tipo strano-segretaria spaventata.

«Perché non mi parli un po' di te, Riley?» sfoggiò un sorriso pacifico-smagliante facendomi scordare per un attimo che sarei dovuta essere arrabbiata.
«Non credo che ti serva sapere qualcosa di me. Il mio compito era portarti a spasso per l'edificio e l'ho assolto un paio di ore fa» mi alzai goffamente pronta ad andare, ma con un braccio forzuto mi spinse all'indietro facendomi ritornare dov'ero. Stava giocando con la ragazza sbagliata.
«Ti ripeto che ci sono telecamere ovunque per qualunque siano le tue intenzioni, sappi solo che ho fatto cacciare persone da qui per molto meno» lo minacciai e scoppiò a ridere passando le dita tra i capelli.
«Esattamente in che modo faresti licenziare l'erede di questo posto?»
Giusto. Era un'ottima domanda.
«Cosa ti parlo a fare»

Erano quasi le quattro e per non vederlo più decisi di portare il resto del lavoro a casa, anche se il giorno dopo avrei dovuto iniziare almeno un'ora prima per ripulire l'ufficio dal casino che Betty avrebbe sicuramente creato alla ricerca di qualche informazione d'accesso al conto di Paul.
Per lei si trattava sempre di soldi.

Raccolsi il blocco di documenti e presi anche il Mac sfrecciando fuori, il check-out l'avrei aggiustato poi.

Non dovetti aspettare molto il bus, ci salii e sospirai dal sollievo abbracciando la marea di fogli come se potessero confortarmi.

La casa era vuota, Jess sarebbe tornata per le cinque e mezza o giù di lì, sperai con la cena dal Mc.
Accesi il riscaldamento e mi cambiai con qualcosa di più comodo mettendomi davanti alle vetrate da qui filtrava più luce, aprii l'agenda settimanale di Paul mandatomi dalla segretaria che se ne occupava.

Era partito domenica sera per San Diego per parlare con un cliente che avrebbe lasciato il paese lunedì pomeriggio, gli avevano prenotato l'hotel fino a martedì, ma sarebbe dovuto partire di prima mattina se voleva essere in orario per la riunione delle nove e mezza.

Mercoledì aveva una cena con persone importanti per la crescita dell'attività, da giovedì a sabato sarebbe dovuto andare a Beverly Hills con l'avvocato d'azienda per stipulare un nuovo accordo e aveva la domenica di riposo, ma entrambi i figli sarebbero già stati insieme in città e avrebbe dovuto passare un po' di tempo con loro, immaginai.

E Jess si lamentava del fatto che mi facesse lavorare nei miei giorni di riposo!

Controllai la sua posizione con Fin My e gli inviai un messaggio sugli orari che avrebbe dovuto rispettare per arrivare puntuale, non passò nemmeno cinque minuti e mi chiamò.

«Sei sempre la solita maniaca della puntualità. Grazie per le dritte, ma non ti pare troppo che io mi debba svegliare alle quattro del mattino?»
«Assolutamente no. Ti porterò la colazione in ufficio così avrai tempo di mangiare e ripassare il discorso»
«Pensi proprio a tutto!»
«È il mio lavoro. Come sta andando laggiù?» Rotolai fino a prende il telecomando ed abbassai il volume della televisione.
«Sei a casa?»
«Si. Ho avuto l'onore di conoscere Bryan oggi» dal mio tono capì che non era andato per niente bene.
«Ne parliamo domani?»
«Va bene. Allora buona serata, riposati il più possibile»
«Ci proverò. Grazie per le indicazioni.»

Presi una pausa per una tazza di tè, rubai qualche biscotto dal cassetto di mia sorella e scivolai sul divano avvolta nelle coperte.
Alla televisione non c'era nulla di interessante quindi misi un po' di musica e mi addormentai poco dopo.

«Ma tu guarda con chi ho a che fare» sentii mia sorella raccogliere qualcosa dal pavimento e socchiusi gli occhi per controllarla, vidi una pozza d'acqua e la mia tazza in mille pezzi.
«Ehi, cos'è successo?»
«È successo che tu non mi meriti come sorella. Alza il culo che ho portato la cena»
Guardai intorno spaesata.
«Cazzo, mi spiace, l'avrò spinta col braccio»
«Lascia stare. Va a mangiare»

Aprii la busta del MacDonald's con il mio nome.
«Sei tornata presto»
«Si, non volevo rimanere in ufficio. Ero da sola con Betty»
«...e Bryan» mi corresse facendomi andare il panino di traverso.
«Wow, cos'è successo?»
«Niente, Jess, assolutamente niente, quindi non iniziare con le tue teorie indecenti»
«Ed io ci credo...»
«E tu ci credi...»

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