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Non aveva smesso un attimo di importunarmi chiedendo domande oscene come se fossimo conoscenti di lunga data, si era spostato accanto a me con una mano sulla mia gamba, già nervosa, gli spiegai che ciò che era successo non voleva assolutamente dire che fossi una facile, avevo ceduto per uno stupido impulso dovuto a tutta la tensione che si percepiva nell'aria e per la sua mossa inaspettata.

«Troppe scuse, tu hai ceduto perché hai bisogno di una sana scopata. Da quanto sei single?» aveva chiesto fermo vedendomi diventare rossa nel cercare di farmi capire.
«Non è affar tuo, Bryan»
«Potrebbe diventarlo, se finissimo quella roba nel mio ufficio...»  gli avevo colpito la mano che cercava di infiltrarsi fra le mie gambe come avvertimento ed indietreggiò.

Non avendo nulla da fare, decise di cambiare qualcosa nell'arredamento del suo ufficio e cercò di coinvolgere me creando un'altra discussione sul fatto che non lavorassi per lui, perciò si rinchiuse quasi un'ora con Paul nell'ufficio di quest'ultimo forse per attaccarmi o forse per convincerlo a prendergli una segretaria. Non ero proprio in vena delle sue stronzate.

Per la millesima volta mi resi conto che forse dovevo cambiare metodo nel prendere appunti, perché non capivo nulla di certe parole il che mi costringeva a riprendere da capo certe volte.
«Riley?»
«Si?» Paul era davanti a me con un blocco di fogli sottobraccio, il viso stanco e il respiro quasi corto.
Sembrava non reggersi in piedi e mi preoccupai scattando subito accanto a lui per fargli da appoggio.
Era da tre ore che non usciva dal suo ufficio.
«Ho bisogno di tornare a casa mia»
«Che succede?»
«Ho continui capogiri, credo d'aver preso troppo caffè di oggi»
«E chi te l'ha fatto il caffè? Ti ho portato soltanto il solito della mattina»
«Bryan» sussurrò e lo feci sedere sulla poltrona per le attese.
«Chiamami un taxi, Betty ha preso la mia macchina»
«Quando!?» quasi urlai.
Possibile che gli appunti mi avessero tenuta così incollata al Mac da non essermi accorta di tutte quelle cose?
«Certo, solo un attimo»

Presi il mio telefono chiedendomi dove cazzo fosse quel incosciente di Bryan.
L'avevo perso di vista per davvero poco e avrei dovuto accorgermi di tutte le volte in cui aveva procurato del caffè a suo padre siccome il mio ufficio era proprio centrale. Assurdo.
Mandai l'indirizzo al taxista e mi girai da Paul con accanto lo stesso Bryan, giuro che fosse sbucato dal nulla.

Lo fulminai con gli occhi.

«Lo porto io a casa, cancella il taxi»
«Non lo lascio da solo con te, irres-»
«È mio padre! Spostati» mi spinse di lato convincendo suo padre ad alzarsi, faticava a respirare e forse non aveva la forza di interrompe i nostri battibecchi, perciò lo seguì in ascensore.
Rimasi a guardarli per qualche secondo, poi afferrai le mie cose e li raggiunsi prima che la porta si chiudesse.
«Che stai facendo ora?»
«Mi assicuro che stia bene» gli restituii lo spintone che mi aveva dato e lasciai che Paul si appoggiasse a me.
«Se non ti senti proprio bene ti chiamo il dottore a casa» gli sussurrai e lui mi fece un cenno debole che non capii, ma lasciai perdere.

«Tu non sali sulla mia macchina. Ti devo ricordare come l'hai colpito stamattina?»
«Invece si, levati» aprii la portiera che cercava di bloccare e lo colpii in piena pancia.
Rimase a braccia conserte incazzato e bussai al finestrino prima di abbassarlo.
«Tuo padre sta male, lo capisci o no!?» anche se non volevo, la mia voce uscì troppo severa e per orgoglio rimase fermo ancora qualche secondo prima di salire in macchina e partire.

Erano quasi le quattro e il traffico iniziava a crescere, ma ciò non impedì a Bryan di frecciare sulla 710 come un pazzo.
Ci mise un una ventina di minuti per qualcosa di quasi mezz'ora o più.

Arrivammo davanti a casa e come al solito rimasi senza fiato per la bellezza di quella mansione, quell'uomo aveva gusti in tutto e come diceva lui, quella casa era come una figlia per lui.

Bryan si fermò in mezzo al vialetto e fece entrare il padre in casa mentre io mi assicuravo che il cancello si richiudesse velocemente, perché non solo il padre, ma anche il figlio teneva alla sicurezza.

«Vuole un tea» mi disse quando entrai in casa, mi aspettava nell'atrio.
«Beh, perché sei fermo?»
«Faglielo tu, no? Non lavori solo su suo comando?» Sorrise da strafottente e assottigliai gli occhi andando verso l'immensa cucina sangria.

Ero già stata lì da quando lavoravo per Paul, forse tre o quattro volte in quanto la maggior parte delle volte era lui a presentarsi a casa mia, forse per evitare Betty.

Posai il bollitore sul gas e ci misi qualche minuto per capire come funzionasse il gas ad induzione siccome mia sorella stava in cucina la maggior parte delle volte.

«Allora?»
«Allora dammi tempo, perché questa cucina è troppo grande per me» borbottai cercando un vassoio e il barattolo dello zucchero.
«Potresti chiedere se non sai» me lo ritrovai dietro la schiena, le mani lungo i miei fianchi. Mi schiarii la voce.
«Se tu avessi un minimo di logica lo capiresti che non è casa mia e quindi che non ho idea di dove siano le cose»
«E se tu avessi lo stesso minimo di logica, sapresti che sono qui da due giorni e il mio posto non è di certo in cucina»
«Ah si? E dove sarebbe?»
«Magari...dentro di te»
Quasi non mi strozzai con la mia stessa saliva.
Cercò di bloccarmi tra lui e il piano, ma misi fra noi il cucchiaino che avevo trovato.
«Sei seria?»
«Sono seria» risposi.

Portai il tea a Paul ma si era addormentato, perciò riportai tutto dietro pronta a scappare via, Betty sarebbe potuta arrivare in qualsiasi momento e l'unica persona che stava dalla mia parte dormiva.

«Torno in ufficio»
«Perché?» chiese come se non capisse.
Batté la mano sul piano indicando la sedia di fronte a lui. Negai l'invito.
«Il tempo di un the già che abbiamo l'acqua calda?» cercò di assumere uno sguardo dolce fallendo miseramente.
«Dai, non ti mettere a fare la difficile ora» posò una tazza verso di me, ma non cedetti.
«Ti riporto dietro io. Niente taxi» mi porse il mignolo per giurare.
«AH! Pensavi pure di buttarmi così dentro un taxi?» presi immediatamente posto pronta per un litigio.
«Riley James, basta così poco per farti perdere la pazienza o un litigio è una scusa perfetta per passare più tempo con me?» sorrise, un misto fra tenerezza ed esasperazione.
«Latte?»
«No, grazie»

«Perché non mi parli un po' di te? Il tuo Mac è piuttosto interessante, ma sono certo che tu lo sia di più»
«A proposito! Ti ricordo di non azz-»
«Io faccio quello che voglio, Riley»
«AH SI?» lo sfidai.
«Devi sapere...-si sedette sul bancone proprio accanto a me spingendo un po' più lontano la tazza con una gamba-...che non ho problemi a far capire le mie intenzioni, tanto meno se devo trattare con ragazze come te» portò dietro i miei capelli prendendo una ciocca rossa in mano.
«Ragazze come me?»
«Ti sta sfuggendo il punto, però, piccola»
«PICCOLA?» cercai d'alzarmi ma mi rimise immediatamente al mio posto tenendomi la mano sulla testa.
«Non toccarmi...»
«Non ti dispiaceva poi tanto ieri» ribadì togliendomi le parole di bocca. Brutto stronzo.

Mi rabbuiai al solo pensiero di avergli dato un'idea sbagliata di me e al suo tentativo di accarezzarmi la guancia, mi dimenai bruscamente afferrandolo per il polso.
«Vorrei che mi lasciassi in pace, per favore»
«In che senso, Riley? Non mi pare di fare nulla di male. Offrire un the è un male ora?» sussurrò con le labbra che mi sfioravano il lobo, coprii l'orecchio con la mano e sorseggiai un po' di the.
«Voglio solo tornare in ufficio. Ho molto da fare» dissi come una supplica, lui sospirò e si sedette meglio fissandomi.
«Ho capito. Senti questo: ci scordiamo di quello che è successo, tutto ciò che ci siamo detti e...mi ripresento» allungò la mano con un sorriso incerto e riportai la tazza alle labbra per prendermi del tempo nel capire se fosse serio o meno.
Non cedette e rimase con le mani in aria.
«A parte che non è successo assolutamente nulla...»
«Oh la vuoi mettere così. Capito, capito»
«Si, non è successo nulla, quindi ti dico ok solo se questo accordo comporta un rapporto del tutto professionale fra noi due. Non farti più gli affari miei» riprovai a lasciare la sedia e rimasi sollevata nel vederlo tranquillo, attento come se stesse soppesando ogni parola.
«Posso almeno sapere qualcosa sulla persona su cui mio padre fa totale affidamento? È un mio diritto come figlio e come tuo possibile futuro capo»
«E che capo...» bofonchiai
«Certo! Ne possiamo parlare, però, mentre mi riporti in ufficio?»
«Hai chiamato tua madre? Non voglio lasciare Paul da solo»
«Certo, arriverà a breve e pure la governante»
«Bene. Andiamo»
«Oh, dopo di te, signorina» disse e che Dio mi perdoni, ma sculettai letteralmente fuori.

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