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«Fai sempre ste cose per lui?» Mi fermò con il braccio per assicurarsi che non ci fossero macchine prima di lasciarmi attraversare.

«Si, fa parte del mio lavoro»
«Anch'io vorrei una segretaria sexy che mi porti il caffè a comando. E bravo il papino...» alzò gli occhi al cielo ed incrociai le braccia piazzandomi di fronte a lui.
«Che c'è?»
«Evita, per favore»
«Riley, sei praticamente ferma davanti a me con questi capelli perfetti, due occhioni bellissimi che potrebbero ingannare chiunque, questo rossetto da diva hollywoodiana, una camicia piuttosto scollata fino a due secondi prima e questa gonna che francamente è tutto tranne che professionale e il tuo essere...sempre sulla difesa, come dovrei definirti esattamente?» mi puntava il dito ad ogni parola ed il mio umore calò di rado facendomi stringere nel cappotto fino a voler scomparire.

A quanto pare il problema erano sempre le mie gonne.

Sbattei le palpebre non capendo come avrei dovuto prendere le sue parole, non capivo se fosse un complimento o un indelicato modo di dirmi che mi fossi vestita da mezza sgualdrina per andare a lavoro.

Persi la connessione bocca-cervello per il misto di rabbia e confusione che stavo provando da non riuscire a fare un passo indietro.

«Riley?» allungò una mano che schivai in tempo, tutto ciò che avrei potuto dire aprendo bocca sarebbe potuto essere eccessivo e l'umidità che sentivo agli angoli degli occhi mi fece realizzare che non doveva essere necessariamente così sincero.

«Riley, non hai capito, doveva essere un complimento...» riprovò a toccarmi e lo fulminai con gli occhi.
Gli diedi la schiena per andare a prendere quel maledetto caffè, il tempo di fare due passi che mi agguantò con forza dal braccio.

«Bryan, ti giuro che t-»
«Riley, non volevo offenderti in nessun modo» era tornata quella voce grave, quegli occhi più severi, le labbra serrate in una linea dura e la presa possente.
Mi guardava come se non vedesse altro intorno, trasmetteva totale paura, da non discutere sulle sue parole e non fare altro se abbandonarti a lui.

«Doveva essere un complimento» replicò fermo, senza alcuno sforzò mi trascinò più vicino con la stessa presa finché non mi arresi, la mascella più definita per il viso contratto, le labbra che mi avrà sorpresa osservare con insistenza come una supplica di rifarmele provare e il naso leggermente arrossato per l'aria gelida che passava fra di noi.

«Ho capito. Lasciami andare che sto facendo tardi» non ero nemmeno sicura delle mie parole e lui che mi sovrastava lo capì, capì anche che abbassarsi ulteriormente e posare le labbra sulle mie non sarebbe stato male, soprattutto con la sicurezza che le solite sceme non rifiutano mai un bacio dai tipi come lui, che stringermi fra le sue braccia sarebbe stato più facile per accarezzarmi lungo i fianchi e poi palparmi tatticamente il fondoschiena, che sarei stata presa dall'eccitazione da non rendermi conto che la mia lingua cercava disperatamente la sua come se non aspettassi altro, che il calore dei nostri respiri ci avrebbe totalmente protetto dal freddo, che le spinte del suo bacino mi avrebbero fatta bagnare nel sentirlo duro contro di me e che ora le sue labbra sul mio collo mi avrebbero fatta gemere nel bel mezzo della strada cercando di più.
Lo aveva capito così bene che darmi una tregua fu doloroso per l'odiosa sensazione di incompletezza che sentivo ancora fra le sue braccia.

Premette la mia testa contro il suo petto recuperando il respiro mentre io ascoltavo insoddisfatta i battiti frenetici del cuore fare eco in tutto il petto.
«Scusami» sussurrò sospirando.

Non mi volle lasciar andare.

«Sai, ho un caffè da portare» gli ricordai e scoppiò a ridere.
«Sono certa che mio padre saprà perdonarti qualche minuto di ritardo per quanto andiate d'accordo»
«Lo penso anch'io, ma gli sto simpatica sopratutto per la mia puntualità, quindi levati» mi dimenai fino a mantenere una distanza di sicurezza.
«Come vuoi» alzò le mani sulla difensiva e sorrisi nel vedere le sue labbra rosse per via del mio rossetto.
«Cosa?»
«Nulla. Tieni, io vado ad ordinare» gli passai un fazzoletto e lo lasciai sistemarsi entrando nel bar.
«Guarda che anc-» non riuscii a sentire il resto.

BE CAREFUL WITH MEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora