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Una volta in piedi, dopo alcuni attimi di silenzio il discorso di Jacob proseguì.

«Durante quegli ultimi mesi passati in comunità, la droga è diventata la mia migliore amica. Me la ricordo ancora, sai, la prima volta che ti ho risposto male...» il ragazzo sorrise amaramente, fissandomi con occhi vuoti, quasi come se quel ricordo stesse prendendo vita nella sua mente. «Tu volevi soltanto sapere come stessi, dato che non parlavamo da un po', e io ti ho letteralmente mandata a quel paese, intimandoti di lasciarmi in pace senza un apparente motivo. Da quel giorno non abbiamo più parlato, e ne ero grato, in realtà. Non sapevo cosa mi stesse succedendo, ma più facevo uso di quella roba, più cominciavo a irritarmi facilmente e a essere violento quando ne ero sotto l'effetto... non volevo che vedessi in cosa mi trasformavo».

L'espressione di puro rimorso dipinta sul suo viso lasciò a intendere quanto anche lui sapesse che per quello, ormai, fosse troppo tardi.

«Quando finalmente siamo usciti da quel posto, come promesso, ho cominciato a lavorare per quei tizi. Ti dissi che avevo trovato un lavoro, e che potevo permettermi la casa in cui saremmo andati a vivere per il primo mese grazie ai soldi che avevo guadagnato svolgendo le mansioni in comunità. Tu, ignara di ogni cosa, ci credesti».

Abbassai il capo al suolo, rendendomi conto di quanto fossi stata talmente ingenua da dare per scontato che mio fratello dicesse sempre la verità: era così chiaro che ci fosse qualcosa di più sotto, eppure, io non l'avevo mai sospettato.
Non l'avevo fatto a sedici anni, mentre a diciannove avevo semplicemente smesso di pensarci, volendo tenere quel momento buio della mia vita il più lontano possibile dai miei ricordi.

«La vita da spacciatore era una vera merda. Potevano chiamarmi in qualsiasi momento, e io dovevo lasciarti sola per andare a consegnare, la maggior parte delle volte di notte. Ero abbastanza grande da affrontare questo peso da solo, ma a volte assistevo ad alcune scene che è semplicemente impossibile dimenticare: solamente facendomi, riuscivo a non pensarci» Jacob si morse il labbro inferiore, camminando lentamente lungo il ristretto perimetro del garage poco illuminato, «ero contento che tu stessi bene, ma non potevo fare a meno di pensare a quanto mi stesse costando renderti felice. Giorno dopo giorno, cominciai ad abusare di quelle sostanze sempre di più, e ciò mi incattivì, mi fece rivoltare contro di te. Mi facevo una striscia e pensavo a quanto mi stessi sacrificando per te, pensavo a quale incubo stessi vivendo solamente per farti stare bene... cominciai a chiedermi perché diavolo continuassi a farlo».

Il ragazzo dalla pelle olivastra passò una mano tra i suoi capelli corvini, prendendo un lungo respiro.

«E sì, Amber, ho cominciato a odiarti e trattarti male, ma non eri tu il problema. Il problema era quella fottuta roba di cui mi facevo: mi ha rovinato la vita».

Quando proferii parola per la prima volta dopo tanto tempo, la mia voce suonò incredibilmente incrinata.

«Q-quindi hai... hai smesso di farlo?»

Al suono delle mie parole Jacob si voltò verso di me, scrutando la mia espressione per qualche attimo, e tramite quell'unica ispezione sentii improvvisamente il mio corpo tremare: non importava cosa mio fratello mi avrebbe rivelato del suo passato, la reazione che avrei avuto nell'istante in cui le nostre pupille si sarebbero incontrate, purtroppo, sarebbe sempre stata la stessa.

«Ci sto arrivando, Amber. Lasciami finire, per favore» rispose con una pacatezza incredibile, prendendo un lungo respiro.

«Dopo due anni, festeggiammo finalmente il tuo diciottesimo compleanno. Non ero più in me» confessò, con voce grave, dandomi i brividi, «ma avevo ancora la speranza che tutto sarebbe finito presto. Ti ricordi quel giorno in cui sono tornato a casa con un occhio gonfio e pieno di lividi?»

Ti Salverò La Vita StanotteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora