.16. .Part Three.

1.2K 114 622
                                    


Zade chiuse la porta di casa a chiave, appoggiandovi la schiena contro e prendendo un lungo respiro.

Le pareti blu scuro della stanza sembrarono in procinto di risucchiarci nelle tenebre, finché non decisi di accendere la luce: a quel punto, riuscii a vedere chiaramente le condizioni del moro di fronte a me.

I capelli sempre curati alla perfezione erano ormai ridotti a un ammasso di ciocche sporche di terra e di ghiaia, il viso dagli occhi profondamente stanchi era stato sfregiato dai forti pugni che Jacob gli aveva inflitto. Osservai il suo profilo, notando un rivolo ormai secco di sangue appena sotto il naso.

Passai una mano sulla mia guancia e lo scrutai mentre, strizzando gli occhi per il dolore, si tolse lentamente il giubbotto di pelle e alzò la manica della t-shirt bianca impregnata di sangue, rivelando la sua ferita.

Il proiettile non sembrava essere penetrato nella carne, poiché sul braccio di Zade non c'era altro che uno squarcio nella pelle. Il ragazzo guardò il suo riflesso allo specchio prima di parlare.

«Come avevo previsto, mi ha solo sfiorato. Non credo servano punti, basterà disinfettare e fasciare» rifletté, prima di emettere un nuovo lamento sofferente e imprecare per il fatto che, comunque, gli bruciasse.

«Va bene. Allora vado a prendere quello che serve» annunciai istintivamente, allontanandomi dall'ingresso di casa.
Zade rimase interdetto per un istante, e lo sentii fare un passo verso di me.

«Amber, fermati. Posso farlo anche da solo» pronunciò duro.

Mi voltai verso di lui, studiando attentamente la sua espressione convinta di quanto avesse appena detto, nonostante i suoi occhi e la sua mano posta all'altezza del braccio ferito mi comunicassero altro.

«Lo so» dissi solamente, per poi dargli le spalle e dirigermi verso il bagno.

Quella sera, Zade mi aveva ancora una volta aiutata a uscire da una situazione più grande di me: curare le ferite che si era provocato per aiutarmi era il minimo che potessi fare.

Non appena arrivai nei pressi del bagno non accesi neppure la luce: volevo fare il più in fretta possibile.
Mi inginocchiai e cominciai a frugare a lungo nei cassetti della stanza dalle pareti verde acqua, finché non trovai una scatoletta che sembrava contenere tutto il necessario: un panno per pulire la lesione, disinfettante, garza sterile...

Quando tornai in salotto con tutto l'occorrente, trovai Zade seduto sul divano, a torso nudo: sembrava assorto nei pensieri e fin troppo tranquillo dopo ciò che aveva subito, mentre fissava un punto indefinito della stanza.

Mi sedetti di fianco a lui, poggiando il kit di pronto soccorso a terra: presi un lungo respiro, cercando di farmi coraggio.

«O-okay».

Dopo averne tirato fuori il contenuto necessario, esitante, afferrai il panno che avevo inumidito con dell'acqua fredda e cominciai a tamponarlo delicatamente sulla ferita, senza spostare neppure per un istante lo sguardo altrove, sperando con tutta me stessa di sembrare convinta delle mie azioni.

Il ragazzo mi scrutò a lungo, dopodiché gli angoli della sua bocca si sollevarono in un sorriso visibilmente divertito.

Mi chiesi come potesse sorridere in quel modo dopo esser stato sfiorato da una pallottola...

Ma poi, pensai al lavoro che svolgeva tutti i giorni da anni, immaginando che, probabilmente, fosse ormai abituato a certe lesioni.

«Non hai mai fatto una cosa simile prima, vero?» ridacchiò Zade, passando la punta della lingua in un movimento quasi impercettibile sul labbro spaccato e fissandomi negli occhi.

Ti Salverò La Vita StanotteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora