Capitolo 7

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1612 d.C.
Un tonfo mi strappa dal primo sogno tranquillo della settimana. Sono passati 8 giorni da quando ho iniziato a scrivere quella specie di diario. I primi sono stati giorni abbastanza normali, quasi come fossi tornato alla vita pre- Caroline. Tre giorni fa ho capito che non è così. Un corvo ha sbattuto sulla parete accanto alla finestra dalle mia camera. È morto. Non ci feci tanto caso, levai la carcassa e il sangue senza soffermarmi a pensarci. Il giorno dopo un altro corvo è morto. Stesso punto, stessa carcassa, stesso sangue. Un altro corvo ieri notte. Ormai ho imparato a riconoscere il suono del loro corpo che colpisce la parete. Mi alzo pigramente e strascico i piedi fino alla porta di casa. Nel tragitto raccolgo uno straccio e assonnato apro la porta. Faccio il giro della casa ed eccolo lì. Accanto alla finestra il sangue fresco sta iniziano a colare e ai miei piedi il corvo giace immobile. Questo ha il corpo più grande dei precedenti. Mi chino e lo raccolgo avvolgendolo con lo straccio. Mentre mi alzo muove un'ala. Strano, pensavo fosse morto. Gira la testa e sembra guardarmi poi, veloce come è arrivato, spicca il volo verso il bosco oltre i fiume. Dopo quel giorno ho sempre evitato di guardare in quella direzione, eppure adesso lo sto facendo. L'acqua cristallina del fiume riflette le chiome degli alberi che si stagliano contro il cielo sereno, ma qualcosa nel bosco muta. Un rumore assordante lo percorre facendosi strada tra i tronchi degli alberi, superando il fiume e arrivando alle mie orecchie. Il bosco si fa più buio e poco dopo dalle sue chiome uno stormo di corvi punta dritto verso di me. Adesso hanno superato il fiume, tra poco saranno da me.

Chiudo gli occhi aspettando l'impatto ma nell'istante esatto in cui le mie palpebre si uniscono il rumore cessa. Apro velocemente gli occhi. I corvi sono scomparsi. Saranno andati via. Mi giro rassegnato a dover pulire il sangue, ma anche quello è sparito insieme allo stormo. Rimango a guardare il punto accanto alla finestra per qualche istante poi scuoto la testa per scacciare l'accaduto dalla mia memoria e torno in casa. Credo di star impazzendo.
Nel pomeriggio esco e vado a camminare. Ho bisogno di non pensare a nulla. I corvi continuano a tornare, o meglio, li sento morire, sento lo schianto. Ma i loro corpi non ci sono mai. Tornano ogni dieci minuti, anche se inizio a non farci più caso. Il suono dei loro corpi che si schiantano arriva alle mie orecchie anche adesso che sto camminando per le stradine di Tecani. Passo davanti al negozio del signor Hartford e il mio corpo si ferma involontariamente mentre la mia mente rivive ogni istante del mio primo incontro con la bellissima ragazza dai boccoli neri. I miei occhi cercano quei capelli tra le poche persone che popolano il villaggio in un pomeriggio afoso come questo. I bambini più piccoli corrono per le strade schiamazzando, e le madri li controllano dalla veranda mentre cuciono e ricamano vestiti per le donne importanti dei paesi vicini a Tecani. Di Lei non c'è traccia, così continuo a camminare. Giro l'angolo, lasciandomi alle spalle i bambini. Lo stesso angolo dove lei scomparve. Gemma mi saluta mentre mi passa accanto. La sua pancia è una palla rotonda sotto il vestito attillato, ma il suo sorriso esprime tranquillità e gentilezza. Probabilmente non ha paura di morire durante il parto. Ricambio il sorriso e continuo a muovere i piedi. Mi

distraggo a guardare un bambino paffuto. Raccoglie i fiori e saltellando li porta alla madre. i miei occhi sono ancora posati su quel bambino dai capelli biondi con le gote rosse, mentre giro un altro angolo. Vado a sbattere contro qualcosa di morbido. D'istinto mi scuso,ancor prima di alzare lo sguardo.
Una dolce voce femminile si fa strada nelle mie orecchie e mi riempie il cuore. È Lei. «Non fa niente, anzi scusi non ero del tutto concentrata...» Una risata leggera riempie l'aria.
Alzo finalmente lo sguardo e i nostri occhi si incontrano. «Non era la sola ad essere distratta.» La mia voce è gentile e un leggero sorriso la accompagna.
Appena sente la mia voce il suo volto si indurisce per qualche secondo e mi studia.
«Scusi se le sembrerò sfacciata ma...io e lei ci siamo già incontrati?» Il suo viso si è tinto di rosso all'altezza delle guance. Sembra lievemente a disagio ma il sorrisetto sulle sue labbra dice che è divertita.
«Lusingato che se ne ricordi.» Le sorrido e lei abbassa lo sguardo mentre ridacchia
«Sa, mi chiedevo quale fosse il suo nome ma se non vuole...»
«Rosemary, mi chiamo Rosemary.» Studia il mio volto per un istante poi riprende a parlare. «E lei invece?» Sembra sinceramente interessata e le sue labbra rosate piegate all'insù mi spronano a rispondere.
Ho bisogno di conoscere meglio questa donna. «Mi chiamo Oscar, e se non è troppo audace vorrei chiederle di passeggiare assieme uno di questi giorni.»
Il suo volto cambia per qualche istante diventando più

cupo, mi fissa incredula, poi la sua espressione cambia, si apre di nuovo e mi sorride. Si guarda la gonna del vestito rosso che la copre fino ai piedi e parla.
«Certo, mi farebbe molto piacere.»
Mentre torno a casa il sorriso non abbandona mai il mio volto. Ripasso davanti al negozio e ai bambini e la loro gioia sembra aumentare ancora di più la mia. Sono così felice che potrei iniziare a saltellare insieme a loro. Giovedì la rivedrò! Abbiamo deciso di rincontrarci davanti al negozio, come al nostro primo incontro. Tra due giorni alle 18:00, quando il quando il caldo afoso si tramuta in un fresco piacevole, io e Rosemary saremo di nuovo insieme. Svolto l'angolo e mi ritrovo alla via di casa mia. In pochi istanti il sorriso scompare lasciando spazio all'ansia. Due gatti neri stanno grattando la porta d'ingresso della mia casa. Mi avvicino lentamente. Non ho mai amato i gatti, mi fanno parecchia paura. Continuano a grattare. Mi fermo a pochi passi dai due gradini della veranda. Uno di loro si ferma di colpo, si gira e mi inizia a fissarmi. L'altro continua a grattare. Sostengo il suo sguardo per un po, poi anche l'altro, un felino dal manto più scuro del cielo notturno si gira e inizia a studiarmi. Ci stiamo studiando da qualche secondo quando succede una cosa strana. Probabilmente è solo uno scherzo del mio cervello, non sta accadendo davvero.
Il felino più scuro piega il capo verso destra e dalle sue labbra fini esce, come un sospiro, una sola parola. «Ciao.» Faccio un passo indietro, come se quella parola fosse stato un pugno nello stomaco. I miei occhi si sono chiusi e riesco a pensare solo ad una cosa: non è reale. Ripeto queste 3

parole a bassa voce fino a convincermene. Faccio un respiro profondo e lentamente riapro gli occhi. I gatti non ci sono più, scoparsi come i corvi. Salgo i gradini e solo allora mi ricordo della porta. La guardo e mi paralizzo. Non è reale, non può essere reale. Eppure quella parola è lì. Quella singola parola mi rende nervoso . Mi guardo intorno come se mi aspettassi di vedere quei capelli rossi spuntare in mezzo alla strada. È stata lei, lo so. Se voleva spaventarmi ci è riuscita; sono terrorizzato. Non c'è più alcuna traccia della gioia di qualche minuto fa. Il sole sta calando e la strada è deserta. Siamo solo io e quella maledetta parola incisa nel legno: brucia.
Un tonfo. Nella mia testa un altro corvo è appena morto. Apro la porta e la supero il più velocemente possibile. Corro attraverso il corridoio con le lacrime che mi rigano il viso. Non mi lascerà mai in pace? Un altro tonfo. Mi fermo appena entro in camera. Un altro corvo, ne sono sicuro, ma non perdo tempo a controllare. So che non ci sarà un corpo. Mi siedo alla scrivania e rimango a fissare il foglio per un eternità prima di iniziare a scrivere. Aspetto che le lacrime si fermino. Faccio un respiro profondo a occhi chiusi, poi li riapro e scrivo.

Non moriremo maiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora