Capitolo 13

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«Credo non ci sia un modo giusto per iniziare a raccontarti la verità, ma prima di incominciare questa lunga storia devi promettermi che qualsiasi cosa io ti stia per dire tu non scapperai. Ti sto avvertendo, non sarà un cosa semplice da digerire. Dovrai essere forte e ascoltarmi fino alla fine. Dopodiché, se vorrai, ti lascerò il tempo di pensare a ciò che ho detto da solo. Infine, quando avrai deciso come procedere con la tua vita, io rispetterò qualsiasi tua scelta.» Mentre parlava la sua espressione è rimasta impassibile, costantemente seria.
Deglutisco e mi sembra di mandare giù un peso enorme. «Dovrò essere sincero se mi chiederai qualcosa?» Le mani iniziano a sudare sotto lo sguardo severo di Rose. Non la ho mai vista così. In questo momento assomiglia assomiglia a...Caroline.
«Dovrai essere estremamente sincero, a partire da adesso.» La tensione nella stanza è palpabile. «Va bene, se proprio devo essere sincero...» una risata nervosa e gutturale mi esce dalla bocca. Magari ridendo riuscirò ad alleggerire la tensione che ci circondo. «Mi stai spaventando.» Ma lei non ride con me e poco dopo anche la mia sottospecie di risata si spegne.
Mi metto seduto con la chieda appoggiata ai cuscini e cerco di sembrare il più serio possibile. «Sono pronto.»
Studia il mio viso per un po' prima di parlare, cercando di capire se sono serio o meno. «Bene allora, possiamo cominciare.» Chiude gli occhi per tre secondi e poi li riapre. «TI ho detto che mi sono trasferita a Tecani il giorno prima di incontrarti davanti a quel negozio.» Si ferma e mi fissa, quasi cercasse una conferma di quello che ha appena detto.

«Ti ho mentito. La prima volta che sono stata in questo villaggio ci fu un raduno di uomini davanti a sette roghi. Avete ucciso sette donne.» La sua voce è disgustata ma ferma.
«Non erano semplici donne erano...»
«Streghe! Lo so, ma il punto è: cosa vi avevano fatto per essere uccise così brutalmente durante il vostro spettacolino?» Sta di nuovo urlando.
«Non ti è piaciuto. Adesso sono consapevole del fatto che probabilmente abbiamo, ho sbagliato ma non posso tornare indietro e sto pagando per quello che ho fatto!» La sua espressione cambia in un istante, adesso è sorpresa. Apre la bocca per parlare ma io la interrompo subito. Ho parlato troppo. Non posso permetterle di chiedermi delle spiegazioni sulla condanna che sto scontando per quello sbaglio. «Io ti ho vista quel giorno. Tra la folla. Avevi un'espressione triste e dolorante, poi sei scappata poco dopo che hanno appiccato il fuoco.»
«Come hai fatto a notarmi?» Ho la sua completa attenzione. «Io ero sul palco. Sono stato io a dare l'ordine di appiccare il fuoco.» In poco tempo gli occhi le si riempono prima di rabbia e poi di lacrime. Trattiene un singhiozzo e si copre la bocca con una mano. «Mi dispiace, so di aver sbagliato...» «Questo è il minimo.» Scosta la mano dalla bocca. I suoi occhi sembrano non essere mai stati toccati dalle lacrime. Adesso è ritornata seria. «Non importa quello che hai fatto quel giorno, non più. Ora fammi andare avanti con il racconto.» L'unica cosa che riesco a fare è annuire. «Ti ho detto che sono venuta qua per scappare dal marito che la mia famiglia aveva deciso per me, ma la verità è un'altra.» Indugia un secondo, come se non fosse più sicura di

volermi rivelare il suo segreto. «Ti dissi che abitavo nei boschi a est di Tecani, ma nemmeno questo è vero. Vivevo in una cittadina molto lontana da qui, a circa una settimana a cavallo. L'unica cosa vera che ti ho detto sul mio passato prima di Tecani è che stavo scappando, ma non dal mio futuro marito, ma dalle persone che vivevano in quella cittadina. Là come a Tecani avevano iniziato a dare la caccia alle streghe e da circa due mesi, ogni mercoledì e ogni domenica a mezzogiorno, 10 donne dai capelli rosse venivano uccise. Venivano legate l'una all'altra attorno ad un albero, e bruciate vive davanti a centinaia di uomini, donne e bambini. Lo facevano per far stare al sicuro le persone. Per farli sentire forti.» Abbassa lo sguardo e inizia a giocherellare con i suoi capelli, attorcigliando una ciocca nera attorno al dito bianco come il latte. Respira profondamente e mi guarda con gli occhi lucidi. «Mia madre è stata uccisa davanti ai miei occhi. Ho sentito le sua urla strazianti esplodermi nel cervello. La sua bocca dilaniata da un grido disperato che si univa ad altre nove voci. Quando il fuoco è stato spento, lei non era più mia madre, era solo un corpo carbonizzato, irriconoscibile. Volevo correrle incontro, salutarla un ultima volta ma dovevo nascondermi. Io e mia sorella abbiamo visto la scena dalla finestra di una casa abbandonata. Si affacciava sull'enorme piazza al centro della cittadina.»
La curiosità a la meglio e la domanda esce involontariamente dalle mie labbra. «Come si chiamava il luogo in cui vivevi?»
«È irrilevante.» Dalla sua espressione capisco che non ha intenzione di dirmelo. «Stavo dicendo: ci nascondemmo in quella casa e osservammo tutto dalla finestra del secondo

Non moriremo maiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora