Capitolo 30

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Apriamo gli occhi in perfetta sincronia. Le mie mani si abbassano lentamente lasciando le tempie di Sarah e ricadendo sulla morbida coperta che riscalda il materasso. I palmi delle mani mi bruciano ma ignoro il dolore. I nostri occhi si incrociano e rimangono incastrati.
Le parole lottano per uscire dalle mie labbra dischiuse, ma qualcosa le trattiene. «Io...» sussurro.
Sarah non mi chiede di concludere la frase e rimane immobile, tanto da pensare se respira ancora.
Come ho potuto fare...quello?
«Loro...» una sola domanda imperversa nella mia mente. Ma perché non riesco a dirla ad alta voce? Ho paura della risposta, ecco perché. Sii forte, mi dico. Espiro rumorosamente e cerco il coraggio. Ci metto qualche minuto a trovarlo. «Stanno tutti bene?» All'improvviso, butto fuori le parole velocemente.
Sarah rimane in silenzio. Il suo silenzio è come un'accoltellata nel petto. Non si muove. Non risponde. La mia migliore amica si è trasformata in una statua dai capelli biondi.
Sento gli occhi gonfiarsi per il peso delle lacrime. Cerco inutilmente di ricacciarle nel luogo da dove sono venute. «Sarah.» La chiamo ma lei non accenna a voler rispondere. «Ho ferito qualcuno?» A parte la signorina Richards, vorrei dire, ma non lo faccio.
Sento una lacrima calda rigarmi la parte destra del volto. Mi solca la pelle e si lascia dietro una strada di fuoco che, lentamente, mi scioglie la carne. Quella piccola e apparentemente insignificante goccia d'acqua si fa strada sulla mia guancia, talmente lenta da farmi chiedere se non

si sia solidificata. Le lacrime che si versano quando si è pentiti sono le peggiori. Tutto il risentimento, la rabbia e l'odio che si prova contro se stessi per quello che si è fatto si concentrano in quelle piccole gocce che, dopo essersi battute per scappare , oltrepassano la barriera formata dalle ciglia e iniziano la loro corsa verso il basso e, infine, prendono fuoco e ti bruciano la pelle come fossero lava incandescente. Quelle lacrime lasciano segni invisibili agli altri ma che solo tu puoi vedere. Quei segni non se ne vanno mai; rimangono li, a ricordarti i tuoi sbagli. Lentamente, molto lentamente, Sarah scuote la testa. «Solo lei.» Il suo tono di voce è talmente basso che sento a stento le sue parole.
Non c'è bisogno che dica il suo nome. Sappiamo entrambe di chi sta parlando: la signorina Richards.
Annuisco. «Lei...» mando giù il groppo che mi si era creato in gola. «È grave?» Mi torturo le dita delle mani mentre aspetto la risposta.
Si stringe nelle spalle. «Tutto quello so è che l'hanno portata in ospedale e che si è rifiutata di tornare ad insegnare nella nostra scuola.»
«Capisco.» Sussurro. Ha lasciato la scuola a causa mia. Il senso di colpa si riversa su di me forte come uno tsunami. Mi tornano in mente le parole che ha pronunciato prima che l'aggredissi: "Erano solo delle donne! Dannazione Greta, fattene una ragione: sono morte! Erano streghe. Facevano cose orribili! Forse è meglio che siano morte tutte...". Forse, alla fine, è un bene che non voglia più mettere piede alla Handry.
Finalmente trovo la forza di abbassare gli occhi. Sento i suoi occhi d'argento che scavano solchi nel mio corpo ogni

volta che vi si posano. Come può anche solo guardarmi dopo ciò che ho fatto?
«Mi dispiace...» è banale, lo so, ma è il minimo che io possa dire. Nella mia testa si crea un uragano di parole. Cerco di afferrarne alcune. «Io non so perché lo ho fatto. Ho...» scuoto la testa mentre cerco di trovare qualcosa di sensato da dire. «Ho solo perso il controllo. Non volevo fare male a nessuno, lo giuro.»
Torno a guardarla e scopro che anche dai suoi occhi hanno iniziato a fuoriuscire delle lacrime. Dubito, però, che le sue lacrime brucino come le mie.
«Lo so.» Dice seria. Prova a sorridere ma le sue labbra si increspano e formando una smorfia.
Le mie labbra si dischiudono senza che io me ne accorga, e un rivolo di parole ne esce furtivo. «Perché sei tornata?» Mi fermo.
Lei mi guarda confusa.
Continuo a parlare. «Come hai potuto anche solo concepire l'idea di farlo dopo tutto quello che è successo oggi, dopo tutto quello che io ho fatto?» Come può essere ancora qui, seduta davanti a me? Perché non è ancora scappata via da me?
«Sono tornata qui verso le undici di sera. Tu dormivi ancora.» Abbassa lo sguardo e prende a tormentarsi una ciocca di capelli biondi annodati dal vento. «Mi sono seduta e ho aspettato, ma tu non ti svegliavi. Credo di essere crollata.»
Guarda la scrivania nel punto in cui il suo corpo cadeva addormentato solo qualche decina di minuti fa. Seguo il suo sguardo. La rivedo addormentata. La testa poggiata sulle braccia intrecciate. Sorrido al pensiero. Sembravi così tranquilla.
«Sarah.» La guardo aspettando che lei ricambi. Non lo fa. Decido di proseguire ugualmente. «Hai paura di me?» Le parole mi escono supplichevoli. Ho bisogno di sapere che almeno lei non ha paura di me. Io ho paura di me stessa. Lei si volta. «Oh Greta...» sussurra tristemente.
Si protende verso di me e mi getta le braccia al collo. Sento i suoi singhiozzi e i suoi sospiri sommessi contro la spalla. Mi stringe per un paio di minuti e io ricambio la stretta incastrando il mio viso nell'incavo del suo collo. Si allontana e si posiziona con il viso a pochi centimetri dal mio.
Mi poggia i le mani sulle spalle. «No. No, non ho paura di te.» Mi sorride, e stavolta il suo sorriso è sincero. Ricambio il sorriso e l'abbraccio.
È così che mi sono svegliata la mattina successiva: abbracciata a lei. Non ricordo di essermi addormentata. Sarah dormiva ancora al mio fianco quando ho aperto gli occhi. Ho spostato lo sguardo in direzione dell'orologio: erano quasi le otto del mattino. Avevo dormito solo poche ore ma non mi sentivo stanca.
Mi sono alzata dal letto attenta a non svegliare la ragazza che ancora viaggiava nel mondo dei sogni. Anche io al suo posto non avrei voluto svegliarmi. Si sta comodi tra le braccia di Morfeo; anche se, ogni tanto, per divertirsi, accoglie tra le sue braccia dei mostri per tenerti compagnia e loro, a loro volta, si divertono a spaventarti.
Ho sceso le scale e sono entrata in cucina. Nel forno c'erano ancora gli avanzi della cena della sera precedente. Ho riscaldato il pollo e le patate arrosto e poi le ho mangiate in

silenzio seduta al tavolo della cucina. Dopo, mi sono diretta in salotto e ho lasciato che il mio corpo si stendesse sul divano. La mia mano si è stretta intorno al telecomando e la televisione ha preso vita.
Ho ripensato al corpo inerme che era steso proprio su quel divano solo poche ore prima. Era così diverso da quello che adesso ha preso il suo posto. Eppure era talmente simile. Mi sono seduta lasciando solo il ricordo di quel corpo ad essere disteso e ho continuato a guardare distrattamente quello che passava sullo schermo.
È così che ho passato le ultime tre ore: divano, televisione e ricordi rubati. Andava tutto bene, almeno fino a quando non è arrivata lei.
Mia madre annuncia la sua presenza battendo con violenza le suole delle sue ciabatte sul freddo marmo delle scale. Drizzo le orecchie per cogliere l'esatto momento in cui si affaccerà nella stanza in cui mi trovo; pochi istanti dopo quel suono arriva. Non mi giro verso la sagoma di mia madre. Lei sa che io so che lei è qui, e questo basta. In silenzio, muove qualche passo nella stanza e si viene a sedere accanto a me. Mi sposto di lato in modo da lasciare quanto più spazio possibile tra di noi. Continuo a guardare dritto davanti a me verso lo schermo luminoso.
Mi guarda. «Buongiorno.»
Sospiro e mi volto verso di lei. Prima le parlo e prima mi lascia in pace. «Buongiorno.»

Non moriremo maiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora