Capitolo 32

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Solitudine, è una parola affascinante sapete? Anche il modo in cui le persone vivono questa condizione lo è. Ognuno reagisce in modo diverso: alcuni individui temono la solitudine, altri la abbracciano e la accettano. Io non riesco a fare nessuna di queste tre cose.
Mi sento sola. Completamente e tremendamente sola. Manca solo un giorno alla fine della mia reclusione. Solo un giorno alla riunione dove decideranno se sono degna o meno di possedere dei poteri.
Non credo di essere pronta a perderli. Alla fine, li ho appena scoperti. Ho utilizzato i miei poteri troppe poche volte, non voglio perderli. Grazie a loro ho sentito la voce di mia sorella e ho paura che, se me li dovessero togliere, sarebbe come perderla una seconda volta. Non voglio sperimentare quel dolore di nuovo.
La tentazione di utilizzare la magia mi ha tormentata e tenuto compagnia in questi lunghissimi giorni. Però, non ho mai ceduto. Dopo essere entrata senza problemi nella mente di Sarah, non ho più usato i miei poteri. Non so perché non lo ho fatto, ma, forse, ho solo paura di perdere di nuovo il controllo.
Non parlo con nessuno da quasi due settimane. Credo di non sapere più nemmeno come si fa. Mia madre mi evita, o almeno credo sia quello che sta facendo. Si è chiusa in camera sua; non esce mai se non per andare in cucina durante la notte. Il rumore de suoi passi mi sveglia sempre, e per sempre intendo le poche volte in cui riesco a dormire. Ogni volta che chiudo gli occhi vedo una bambina: Stacy. Lei mi guarda, sorride, mi dice che andrà tutto bene, poi si gira e se ne va lasciandomi sola nell'oscurità.

Non sento la voce di Sarah da quando ha lasciato casa mia la mattina dopo che ho aggredito la signorina Richards. Mi hanno proibito di parlarle; è stata mia madre a farlo, la penultima volta che mi ha parlato. Quel giorno, dpo che Sarah se ne è andata, mia madre è entrata in camera mia. «Le streghe anziane ci controllano. Se parli con Sarah, loro scopriranno che lei sa della nostra esistenza e questo la metterebbe in guai seri. Tu non vuoi che lei soffra, giusto?» Non ha aspettato che rispondessi e ha proseguito. «Quindi tu non le parlerai. In queste due settimane deve sembrare che lei non sia mai entrata a far parte della tua vita.» Mi ha guardata severamente. «Hai capito?»
Ho annuito e lei se ne è andata.
L'ultima volta che le ho parlato, invece, è stata la sera dello stesso giorno. Stavamo risalendo le scale dopo aver cenato quando mi ha afferrato per un braccio facendomi fermare. Mi sono voltata e mi sono scontrata con i suoi occhi seri. Mi ha lasciato andare il braccio e ha incrociato le braccia al petto.
«Le anziane mi hanno riferito che hanno provveduto ad alterare i ricordi di tutte le persone presenti all'aggressione in modo da non far ricadere la colpa su di te. L'unica su cui non lo hanno fatto è Sarah. Loro non sapevano che era lì. Almeno sotto questo aspetto, sei salva.» Ha detto calma. Subito dopo aver finito di parlare si è voltata e se ne è andata in silenzio. Sono rimasta qualche secondo immobile prima di correre in camera mia e chiudermi dentro.
Se non fosse per il calendario appeso sopra la scrivania non saprei nemmeno che giorno sia. I giorni sembrano tutti uguali quando fai sempre le stesse cose. La mattina o la notte- dipende quando gli incubi mi lasciano andare-

appena sveglia faccio una doccia. Ne faccio molte, di docce. Mi aiutano a non pensare. Dopo la doccia mi rimetto il pigiama. Apro la portafinestra, esco sul terrazzo e guardo il cielo e il profilo delle case di Tecani. Ogni tanto scorgo qualcuno che passeggia o porta fuori il proprio cane. Non passano molte macchine e, se passano, non rallentano mai tanto da permettermi di scorgere chi si trova al suo interno. Ogni tanto, mentre guardo ciò che si trova all'esterno di casa mia, penso a come potrebbe essere la mia vita da essere umano. Ogni volta che lo faccio, però, mi arrendo dopo pochi secondi. Non sono nata per essere umana, sono nata per essere una strega e non permetterò che la mia identità mi venga portata via. Durante il resto della giornata mi siedo sul letto e provo a leggere o a fare qualsiasi cosa pur di non pensare ma, puntualmente, mi ritrovo a piangere tenendo in mano la foto di mia sorella.
Qualche volta mi torna in mente quello che ho fatto nell'aula di storia. Come hanno potute delle parole scaturire in me una tale reazione? Erano parole insensate e sbagliate certo, ma non era certo la prima volta che le sentivo. Nella mia testa, ormai, si è formata un'ipotesi: leggere il diario di Oscar, sentire le parole sotto la pelle delle mie dita mentre accarezzavo le pagine per sfogliarle, mi hanno resa più consapevole di quella ingiustizia. Più ci penso, più mi rendo conto che, per quanto mi penta di aver perso il controllo, non mi pento di aver detto determinate cose; tutto quello che ho detto in quell'aula, lo pensavo- e lo penso tutt'ora- veramente. Sono consapevole di aver sbagliato ad aggredire la professoressa ma, in un certo senso, se lo è meritato. Le parole hanno importanza, sono forti. Non si può pensare di dire qualcosa senza essere pronti alle conseguenze. Da quando ho perso il controllo, però, ho imparato a reprime la rabbia. Non so come, ma adesso riesco a trattenere il sentimento che riaffiora in me ogni volta che ripenso alle parole che sono uscite dalla bocca di alcuni individui in quella classe. Quindi grazie signorina Richards, alla fine è riuscita ad insegnarmi qualcosa di utile.

Il cielo scuro della sera mi chiama a se, vorrebbe che io volassi verso di lui. Per qualche istante sento il corpo leggero quasi mi dimentico di essere sul balcone di camera mia. La brezza serale mi rinfresca la pelle. Il cielo è limpido e i piccoli puntini luminosi che noi chiamiamo stelle stanno iniziando a decorarlo. La luna sembra guardarmi. La sua debole luce illumina le strade di Tecani e avvolge tutto come se lo volesse proteggere. Sorrido a quell'enorme sfera e quasi mi sembra di vedere la sua superficie che si increspa e ricambia il mio sorriso.
Sento lo scatto della porta e mi volto d'istinto. Appena capisco che è mia madre torno ad osservare il profilo della città. Sento i suoi passi avvicinarsi alla porta finestra e poi fermarsi. Sento il suo sguardo sulla nuca. Il mio corpo si irrigidisce. Passano i minuti ma lei non dice niente. Guardo la luna e rompo il silenzio. «Hai intenzione di dire qualcosa o rimarrai lì a fissarmi per sempre?» La mia voce è rauca e quasi irriconoscibile per le mie orecchie. Sembra passata una vita dall'ultima volta che ho detto qualcosa ad alta voce.
«Domani ci sarà la riunione.» Risponde lei.
Ridacchio. Che suono strano. «È tutto ciò che riesci a dire?»

«Si, beh...» sospira. «Domani mattina alle nove in punto vedi di essere pronta per la riunione.» Mi dice con voce piatta.
Sento i suoi passi mentre si dirige verso la porta ed esce dalla mia camera. Rilasso i muscoli.
Guardo le stelle e una di loro mi fa l'occhiolino.

Non moriremo maiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora