Capitolo 25

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I miei occhi si aprono quando un suono assordante proveniente dal mio telefono irrompe nella mia testa. Allungo il braccio e pongo fine a quella tortura. Mi metto seduta e mi prendo la testa che pulsa tra le mani. Controllo l'ora e mi accorgo per una volta di essermi alzata in anticipo. La sveglia sarebbe dovrebbe suonare tra più di venti minuti. Controllo il telefono e scopro che il suono che credevo fosse quello della sveglia era in realtà una chiamata della mia migliore amica. Non sono pronta per una conversazione adesso. Decido di scriverle.
"Tesoro, che succede? Tutto bene?"
Quando vedo che non risponde inizio a preoccuparmi. Sarha non mi chiama mai così presto, sa perfettamente che io, a differenza sua, a quest'ora dormo ancora. Aspetto ma dopo cinque minuti lei non ha ancora risposto. Inizio a digitare un altro messaggio ma lei mi precede.
"Si, tutto apposto. Comunque buongiorno Rossa!"
Sospiro per il sollievo e un sorriso si apre sul mio volto. "Quindi, giusto per capire, mi hai svegliata venti minuti prima che suonasse la sveglia per?"
"Oh si, quasi dimenticavo. Ti ho chiamata per dirti che oggi vengo a scuola e che quindi ti aspetto davanti all'entrata." "Tu...ti odio."
"Pensavo fossi felice di rivedermi a scuola!"
"Certo, ma dovevi proprio svegliarmi così presto per dirmelo?!"
"Controlla l'orologio Rossa, non è più tanto presto!" Guardo l'ora e mi accorgo che effettivamente ha ragione. Sono passati più di quindici minuti da quando mi sono svegliata.

"Ti conviene iniziarti a preparare o farai dardi."
La immagino mentre sorride guardando lo schermo luminoso del suo telefonino.
"Ci vediamo dopo. Questa me la paghi!"
Poso il cellulare e inizio a prepararmi.
Venti minuti dopo sono in macchina con mia madre diretta a scuola. Nessuno ha ancora detto una parola e, appena salite in macchina, ho acceso la radio per evitare silenzi imbarazzanti. Tra cinque minuti saremo arrivate quindi ora o mai più.
«Sai» la vedo quasi trasalire. Non si aspettava parlassi per prima. «Oggi diranno i voti degli esami di algebra.» Mi contorco le dita ma non la guardo.
«Ah si?» Dice impassibile.
«Già.»
La conversazione finisce così e pochi minuti dopo scendo dalla macchina e lei riparte. Sospiro e m'incammino verso l'entrata di scuola. Scorgo una tasta bionda e sorrido vedendo la mia migliore amica. Devo ammettere che oggi è veramente molto bella; non direi mai che è reduce dalla febbre. Le arrivo di fronte e lei mi abbraccia. Entriamo a scuola e ci dirigiamo verso l'aula di inglese.
Le ore sono passate lentamente. Ogni mio pensiero era rivolto non alla lezione ma all'esame di algebra. Spero di averlo passato. Ero talmente distratta che i professori mi hanno ripresa almeno cinque volte questa mattina. Poi, finalmente, è arrivata l'ora di pranzo. Tutti gli studenti del mio corso iniziano a riversarsi nei corridoi e a correre verso i figli appesi sul muro dell'aula di algebra. Un gruppo di

studenti sono già accalcati intorno ai fogli; alcuni piangono, altri esultano e alcuni si abbracciano.
Inizio a tremare. «Non voglio guardare.» Gli studenti iniziano a dileguarsi e rimeniamo in pochi.
Sarah mi mette le mani sulle spalle e mi costringe a guardarla negli occhi. «Stai tranquilla, lo hai superato di sicuro!»
«No! Non lo ho superato, me lo sento.» Inizio a camminare avanti e indietro mentre mi mangio le unghie della mano destra.
«Vuoi che guardi io?» Mi chiede Sarah.
Annuisco lievemente e lei si appresta a guardare i fogli appesi al muro bianco.
Si gira verso di me e sorride. «Sei passata!» Esclama e per poco non mi metto a piangere dalla gioia.
Mi si avvicina e mi abbraccia. Come due deficienti iniziamo a saltellare emettendo dei versetti striduli. I pochi studenti rimasti nel corridoio girano le teste verso di noi e si mettono a ridacchiare.
«Te lo avevo detto Rossa!»
Ci fermiamo e le stampo un bacio sulla guancia. «Ti voglio bene Sarah.» Non sono molte le volte che lo dico.
Si fa seria e poi sorride. «Anche io.»
Ci guardiamo per qualche secondo e un gruppetto di ragazzi dell'ultimo anno iniziano a esclamare battendo le mani a tempo. «Bacio, bacio!» Ci mettiamo a ridere e ci separiamo.
«Dato che state esultando deduco che abbiate superato l'esame.» Una voce roca e sicura ci fa sobbalzare .
Io e Sarah ci giriamo e incrociamo lo sguardo di Klaus. «Ciao ragazze, io mi chiamo Klaus.» Ci sorride.

Non mi ero accorta che si fosse avvicinato, e credo neanche Sarah data la sua espressione scioccata. È la prima volta che sentiamo la sua voce e devo ammettere che non è niente male. Lui sta sorridendo guardando Sarah, la cui faccia ha preso il colore di un pomodoro.
«C-c-ciao.» Balbetta lei sorpresa. «M-mi chiamo S-s- sarah.» Mi cerca con lo sguardo per ricevere aiuto ma io scuoto la testa.
«Ciao Klaus, piacere Greta.» Mi sorride e poi torna a guardare Sarah. «Io vado in mensa» mi rivolgo a Sarah. «Ti aspetto lì.»
Lei mi guarda e spalanca gli occhi. Mi avvicino a lei e le do un bacio sulla guancia, poi le sussurro all'orecchio. «Te l'avevo detto che me l'avresti pagata.»
Lei mi lancia uno sguardo assassino mentre mi giro e mi avvio verso la mensa lasciandoli soli. Rido tra me e me. Mi ammazzerà, ma n'è valsa la pena.
Arrivo in mensa e, dopo aver fatto la coda e preso il pranzo, mi siedo ad un tavolo libero. Tiro fuori il libro di storia e inizio a sfogliare le pagine sul capitolo della caccia alle streghe, che oramai so a memoria, in vista della lezione successiva. Dopo circa venti minuti Sarah fa il suo ingresso in mensa; si avvicina al tavolo come una furia ma, appena si siede, inizia a sorridere. Lascia cadere lo zaino per terra e si copre il viso sorridente con le mani.
Lascio perdere storia e mi concentro sulla mia migliore amica. Devo sapere cosa le ha detto. «Allora?» Chiedo incitandola a parlare.
Si scopre la faccia e il suo sorriso quasi mi acceca. «Vuole conoscermi!»

Esulto. «Vai ragazza!»
Battiamo il cinque quasi involontariamente e subito dopo ci fissiamo incredule per poi scoppiare a ridere.
Torno seria e le chiedo: «Non ti ha detto altro?» Vuole proprio che le levi le parole di bocca eh. Beh può star certa che lo farò.
«Beh in realtà...» distoglie lo sguardo dal mio e inizia a giocare con una ciocca di capelli dorati.
«"In realtà" cosa?» Non risponde. «Sarah non tenermi sulle spine!» Le do una botta leggera sul braccio.
«Aia!» Esclama.
Ridacchio. «Non esagerare.»
«Ok, non mi hai fatto male, ma avresti potuto! Io sono fragile.» Mi fa gli occhioni. «E ti ricordi di quella volta in cui Leah mi ha...»
Roteo gli occhi al cielo mentre sorrido. «Capito, scriverò "non tirare colpetti sul braccio" sulla lista delle cose da non farti, ma adesso non cambiare discorso.»
Mi guarda e ridacchia, rido con lei ma poi mi ricompongo, torno seria e le lancio uno sguardo investigatore.
«Eh va bene.» Dice esasperata, ma poi non dice più nulla. «Quindi?» Mi vuole far uscire di testa?
«Mi ha chiesto di uscire!» Sbotta finalmente.
«Oddio non ci credo, sono così felice per te!» Le prendo la mano e la stringo.
«Credici mia cara, perché qui» tira fuori un bigliettino dalla tasca e lo sbatte sul tavolo. «Ho il suo numero di telefono! Mi ha detto di chiamarlo o di scrivergli per organizzare l'uscita.» Dice fieramente.
«Visto, ti facevi troppe paranoie!»
Ride e io la seguo unendomi a lei.

Indica il libro che non ho ancora tolto dal tavolo. «Cosa hai lì?» Mi chiede ad un certo punto.
«Il libro di storia.»
«Giusto, oggi è il giorno della "preparazione alla gita".» Dice imitando alla perfezione la voce della nostra professoressa di storia. «Ma su cosa vuole che ci prepariamo se ogni anno ci portano a vedere gli stessi musei?»
Alzo le spalle mentre mangio un pezzo di pane.
«Sei pronta ad una lezione di due ore in cui spiegheranno come le tue antenate siano state uccise senza pietà?»
«Wow Sarah, che tatto.» Non riesco a trattenermi e ridacchio.
Ogni anno la stessa storia. In maggio tutti gli studenti, dal primo all'ultimo anno, visitano i musei di Tecani dedicati alla caccia alle streghe; poi, finita la gita, il professore o la professoressa consegnava un tema da fare sull'importanza del non dimenticare e sulle discriminazioni. Ovviamente, come per ogni compito in classe, occorre una preparazione, quindi ogni santo anno tutti gli studenti si devono sorbire una lezione di due ore sulla caccia alle streghe. Cosa che sarebbe anche interessante, se non fosse che ogni anno si dicono esattamente le stesse identiche cose dell'anno precedente e di quello prima ancora.
Il suono della campanella segna la fine della pausa pranzo e tutti gli studenti si riversano fuori dalla mensa per andare alla loro prossima lezione. Io e Sarah li imitiamo e andiamo verso l'aula di storia.

Non moriremo maiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora