Ci prepariamo la cioccolata calda e ci spruzziamo la panna montata sopra. Ci sediamo sul divano con le gambe coperte da una coperta grigia a guardare insieme un altro episodio di Grey's anatomy che ben presto interrompo. Sento lo sguardo confuso di mia madre bruciarmi la pelle per questo mio atto inaspettato. Mi siedo a gambe incrociate e appoggio la tazza ormai quasi vuota sul tavolino basso di vetro davanti al divano.
«Che succede tesoro?» La voce di mia madre è sorpresa e minimamente spaventata. «Se è per l'esame devi stare tranquilla...» inizia ma io non la lascio finire.
«Non è per quello. Volevo parlarti del diario.» Non ne parlo con nessuno da quando io e Sarah lo abbiamo concluso. Dopo quel giorno ogni cosa sembra perfetta da usare come pretesto per non parlarne.
La sua faccia si fa subito seria. «Va bene.» Appoggia la sua tazza accanto alla mia e porta tutta la sua attenzione su di me. «Cosa vuoi sapere?» Alza le spalle. Credo sia un gesto che facciamo tutti in famiglia, anche io lo faccio spesso e molte volte neanche me ne accorgo.
Il silenzio ci avvolge e io penso bene alle parole che devo usare per infrangerlo. Fisso un punto oltre la testa di mia madre concentrandomi sul flusso di parole che mi scorre davanti agli occhi. Cerco di afferrarne un paio. «Perché nessuno ha fatto nulla?»
Non dice nulla.
La guardo e i nostri occhi si incrociano inchiodandosi l'uno nell'altro. «Tutte quelle persone che» mi schiarisco la voce e continuo. «Erano presenti quando quelle donne...» mi si incrina la voce. «Perché non si sono opposti?»Mia madre accenna un sorriso mentre si stringe nelle spalle. «Non lo so. Greta, tesoro, devi capire che le persone avevano paura.»
«Ma il fatto di avere paura non è una giustificazione valida per uccidere...» inizio a parlare, ma non mi lascia finire. «La paura rende ciechi.» Mi guarda come se io dovessi capire, eppure io non capisco. Solo perché erano spaventati significa che non erano colpevoli? Io non ci credo.
Scuoto la testa. «Sapevano cosa stava succedendo!» Il mio tono di voce si alza di un ottava. «Avevano il dovere di fermare il tutto e invece non hanno fatto assolutamente nulla per interrompere quella lunga serie di omicidi.» Non so perché questo fatto mi susciti tanta rabbia.
Mia madre cerca di tranquillizzarmi. «Comprendo ciò che stai provando.»
Scuoto la testa anche se solo impercettibilmente, ma lei lo nota.
«Davvero, lo capisco.» Non le credo. Come puoi capirmi se nemmeno io so cosa provo? Legge l'incertezza nella mia espressione e la sua muta velocemente. I muscoli si rilassano e le labbra si curvano in un lieve sorriso. Allunga la sua mano verso di me e la poggia sul mio ginocchio. «Lo so perché sono le stesse cose che provai io alla tua età quando lessi quel diario.» Per qualche istante avevo dimenticato che anche lei avesse letto il diario di Oscar. «Ero arrabbiata quanto te, e come te non capivo da dove fosse spuntato questo sentimento.» Il suo sguardo è talmente intenso che credo mi abbia letto nel pensiero rispondendo direttamente alla mia domanda inespressa. «Poi, con il tempo, la rabbia è passata.»
Aspetto per qualche istante che continui a parlare ma leinon lo fa. Mi accarezza dolcemente il ginocchio mentre cerca di rassicurarmi con uno dei sorrisi che rivolgeva a me e a Stacy quando eravamo piccolo e avevamo paura che ci fosse un mostro blu con nove tentacoli dentro l'armadio. La mamma veniva in camera nostra, apriva l'armadio e lasciava che la luce artificiale illuminasse il suo interno. Ci mostrava che nessuno si nascondeva dentro in nostro armadio, spegneva la luce e ci faceva sdraiare entrambe nel mio letto. Rimanevo abbracciata alla mia gemella mentre la mamma, seduta il fondo al letto, ci accarezzava le gambe fino a che non ci addormentavamo.
Sorrido involontariamente a quel pensiero e sento le lacrime salire e minacciare il mio viso di riversarvici sopra. Mi schiarisco la gola mentre cerco di ricacciare indietro. «Come hai fatto a farla scomparire?» La mia voce è stranamente ferma. «Quanto ci è voluto?»
Mi risponde subito. «A dire il vero, il tempo di una chiacchierata.»
La guardo allibita. «E cosa fatto cambiare idea?»
«Tua nonna.» Il suo sguardo si perde oltre la mia testa, tra le fiamme del caminetto. Le manca, lo so. Da piccole ci parlava sempre di lei. Diceva che era una donna ambiziosa e forte, che purtroppo non è vissuta abbastanza per conoscere le sue nipotine. «Mi disse che l'uomo aveva compreso il dolore che aveva inverto e si era pentito. Mi disse che le persone erano cambiate, che una cosa del genere non sarebbe accaduta di nuovo perché le persone avevano capito di aver commesso una cosa orribile, che si vergognavano per questo e che volevano essere migliori.» Parla senza guardarmi, persa tra i suoi ricordi.
«E tu le hai creduto.» Non è una domanda, è evidente chesia andata in questo modo.
Torna a guardarmi. «Certo che lo ho fatto.» La sua espressione mi accusa di non capire la cosa più ovvia del mondo. «Non pensi sia così?»
No, certo che no. Sento la rabbia ribollire e minacciare di esplodere in qualsiasi momento. Come puoi crederlo? Dopo ciò che hanno fatto a tua figlia! «No.» Mi guarda stupita. Davvero non capisce dove voglio arrivare? «Quello che ha detto la nonna è una cazzata!» Sto urlando, non so perché ma lo sto facendo. Mia madre sembra quasi offesa, come se le avessi appena detto di essere la donna più brutta del mondo. «Se le persone fossero cambiate, come ha detto lei, non ci sarebbe stata una guerra mondiale, né la seconda. Non esisterebbero le discriminazioni e la criminalità sarebbe cessata di esistere tanti anni fa. Ma indovina un po'? La gente non è cambiata affatto. Tutti dicono cose come: "Povera gente, chissà cosa ha passato...", "Nessuno dovrebbe essere trattato in quel modo, è meschino e raccapricciante!". Quelle, però, sono e stesse persone che, quando vedono una donna anziana a cui viene rubata la borsetta o un gruppo di teppisti che picchia un senzatetto, cambiano strada e proseguono per la loro vita senza rimpianti.» Mi fermo e riprendo fiato. La fisso qualche secondo e sento le lacrime bruciarmi gli occhi e iniziare a scorrere sul mio viso. Calde gocce d'acqua che mi bruciano la pelle. Mi alzo in piedi senza perdere di vista la donna impassibile seduta sul divano di casa mia. «Sono le stesse persone che hanno ucciso tua figlia.» Questa mia ultima frase la colpisce come una lama piantata nel petto. Le labbra si dischiudono e sul suo volto compare un espressione di puro dolore.Raccolgo il telefono, mi giro e, senza darle il tempo di dire altro, esco dal salotto e corro in camera. Credo che il mio sabato sera non si concluderà nei migliore dei modi. Dopo aver sbattuto la porta, ed essermi assicurata che mia madre lo avesse sentito, mi sono precipito in bagno. Mi chino sul lavello e lascio che l'acqua fredda mi lavi via le lacrime salate dal volto, ma non serve a niente: appena mi tampono il viso asciugandolo, le lacrime riprendono a scorrere senza avvisarmi. Esco dal bagno lasciando la luce accesa; sono troppo stanca anche solo per premere l'interruttore. Vado davanti alle mensole appese sulla parete accanto alla scrivania e guardo la mia preferita: una foto con mia sorella; avevamo otto anni. Quel giorno i nostri genitori ci avevano svegliato all'alba per farci una sorpresa. Ci avevano portate ad un parco divertimenti a poco più di tre ore da Tecani e noi eravamo talmente eccitate che ci siamo messe a canticchiare ogni canzone che passava in radio durante tutto il tragitto; una volta ritornate a casa avevamo entrambe perso la voce. La foto era stata scattata mentre eravamo in file per una giostra; i suoi lunghi capelli castani si univano alle mie ciocche rosse mosse dal vento. Mentre io sorridevo alla telecamera lei sorrideva a me.
Allungo la mano verso la cornice argentata e la afferro il più delicatamente possibile. Rimango a fissare quel sorriso per un tempo indeterminabile a mia volta con un sorriso sulle labbra. Sembra quasi impossibile che quel sorriso si sia spento per sempre; una vita che si è interrotta troppo presto. Stringo la cornice al petto e chiudo gli occhi cercando di rivivere la scena; sperando di rivedere quel tenero volto vivace ancora una volta. Mi sdraio sul letto e piango stringendo la cornice fredda, immaginando diabbracciare lei.
Dopo qualche ora in cui la mia immaginazione aveva iniziato a viaggiare in un'altra dimensione in cui Stacy era ancora al mio fianco, le lacrime cessano di cadere. Il suono delle nocche di mia madre che battono sul legno della porta mi riportano completamente alla realtà, ricordandomi che avevo saltato la cena. Meglio così, non voglio vedere quella donna insensibile. Sento i suoi passi pesanti dirigersi verso la sua camera e il suono della sua porta che si chiude. Mi alzo dal letto senza ascoltare le urla del mio corpo intorpidito. Apro la porta e inizialmente non vedo nulla poi, abbassando lo sguardo, i miei occhi si posano sul cartone di pizza marrone su cui è stato attaccato un post-it giallo con su scritto "Manca anche a me", e un lattina di coca-cola. Il mio stomaco brontola. Prendo tutto e lo porto in camera mettendomi seduta a gambe incrociate sul letto e posizionando il cartone sulle mie ginocchia. Provo a mangiare un pezzo i pizza ma il mio stomaco è completamente occluso. Richiudo velocemente il cartone e le tempie prendono a pulsare incessantemente. Chiudo gli occhi e inizio a massaggiarmi le tempie nel tentativo di far placare il dolore. Schiudo le labbra e, involontariamente, le parole iniziano a fluire velocemente. Immagino il cartone di pizza e la lattina intoccata librarsi in aria per poi posarsi sulla scrivania, e le luci spegnersi. In pochi secondi l'oscurità mi avvolge e il letto, adesso completamente sgombro, è pronto ad ospitare il mio corpo stanco. Mi sdraio crollando addormentata dopo qualche minuto. Abbraccio la cornice che protegge quello scatto così prezioso e lo proteggo a mia volta tutta la notte con le mie braccia. Per qualche istante credo quasi di star dormendocon mia sorella.
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Non moriremo mai
Fantasy❗️ATTUALMENTE SOSPESA❗️ 23 luglio 1612, in un piccolo villaggio della campagna inglese, sette donne vengono bruciate sul rogo. Tra loro c'è Caroline: una giovane strega bramosa di vendetta contro il popolo che ha acclamato la sua morte. Il destino v...