Il sole inizia a calare lasciando il posto alle tenebre che minacciano di inghiottire tutto. Raccolgo la sacca e ci ripongo ogni cosa che ho portato con me. Il vento si è spento già da tempo ma il leggero verso del fiume arrabbiato non mi ha lasciato solo neanche per un secondo. Attraverso il prato e imbocco il sentiero delimitato dal bosco. Ho finito di scrivere ore fa. Il vento si era arrestato e il sole riusciva finalmente a scaldarmi con i suoi delicati raggi. Mi sono sdraiato sull'erba fresca e leggermente pungente facendomi avvolgere da quel tepore. Avevo appena passato ore a rimuginare su l'accaduto di questa mattina e volevo lasciarmi tutto alle spalle. Mi sembrano passati anni da quando ho visto il dolce viso di mia moglie, eppure è passato così poco. Sdraiato su quel prato ormai morente ho pensato a lei. Lei che mi stava aspettando a casa bramosa di una spiegazione. Spiegazione che io non potevo darle. Non avrebbe senso dirle la verità. Non capirebbe,si spaventerebbe e correrebbe via di casa lasciandomi solo con i miei incubi. Sdraiato sul quel prato ho pianto lacrime per quella bambina a cui ho impedito di crescere, di innamorasi e di avere una famiglia, a cui ho impedito di vivere. Sdraiato sul quel prato ho urlato a Caroline di lasciarmi in pace. Con gli occhi pieni di lacrime e la gola in fiamme la ho cercata, e lei era lì, seduta ai piedi di un albero con un'espressione tranquilla. Mi guardava, ma era diversa. Questa volta sembrava che fosse felice e compiaciuta. È questa quello che voleva? Vedermi crollare? Probabilmente si. Per paura non lo avevo mai fatto, ma ho pensato: "Mi sta rovinando la vita e sembra non essere intenzionata a fermarsi quindi cosa ho da perdere?". Quindi ho raccolto
tutto il coraggio che mi era rimasto e, approfittando di quel suo momentaneo periodo di tranquillità, le ho parlato, più o meno... Ho provato a farlo. Provavo a domandarle delle cose, anche le più stupide: "Come stai?", "Avevi una famiglia?", "Dove vivevi?","Colore preferito?", "Cosa ti piaceva fare?". Lei non mi ha mai risposto. Si limitava a fissarmi con un leggero sorriso quasi sincero. Ho smesso di torturarmi distogliendo lo sguardo e lo ho puntato sul cielo azzurro. Qualche respiro dopo stavo di nuovo disteso, lasciando che il sole asciugasse le mie lacrime silenziose che percorrevano un percorso invisibile fino ad arrivare al suolo. Poi, anche il sole ha iniziato ad abbandonarmi e ora, mentre cammino verso la città, l'oscurità sta provando ad abbracciarmi. Da quando quel giorno,nella piazza di Tecani, l'oscurità mi mette ansia poiché la associavo a Lei, ma adesso Caroline è ovunque ed associarla ad una sola cosa mi sembra stupido.
Salgo i due gradini della veranda e mi immobilizzo davanti alla porta. Ho camminato il più lentamente possibile, cercando di posticipare questo momento. Non ero pronto ad affrontarla e non lo sono tutt'ora, ma devo farlo. Devo parlarle. Non posso certo stare fuori tutta la notte e ricomparire domani mattina pensando di lasciarmi tutto alle spalle e facendo finta che tutta questa giornata non sia mai esistita. Anche se non so come iniziare un discorso, ne so se sono pronto per farlo, mi faccio coraggio e busso alla porta. Nessuno mi apre ma so che Rose mi ha sentito. Busso ancora e dopo qualche minuto la porta si spalanca. Mia moglie è qua, finalmente davanti a me. Appoggio la sacca per terra senza smettere di guardarla. Faccio un passo versodi lei con l'intenzione di abbracciarla e scusarmi di essere scappato, ma prima di poterlo fare noto i suoi occhi. Mi aspettavo che pretendesse una spiegazione ma i suoi occhi sono solo tristi, non arrabbiati come pensavo. I capelli le ricadono in ciocche scompigliate sulle spalle coperte da una camicia da notte bianca. Gli occhi arrossati mi dimostrano che ha pianto, tanto. Allungo una mano verso di lei e il suo corpo si irrigidisce. Lei prova a far finta di nulla ma io la conosco. Abbasso la mano lentamente lasciandola ricadere lungo il mio corpo.
Apro la bocca ma le parole escono come un bisbiglio. «Mi dispiace.» È l'unica cosa che riesco a dire.
Rimaniamo in silenzio a guardarci per un lasso di tempo che sembra infinito. Riesco a percepire la sua tristezza. La consapevolezza di averla causata io e di non poter fare nulla per cambiare le cose mi uccide. Distolgo lo sguardo per evitare che capisca, leggendomelo negli occhi, che ci sono delle cose che non le ho detto.
Abbasso lo sguardo e mi concentro sulle mani che tremano, ma non posso fare nulla per fermarle. «Io...» la mia voce trema quasi quanto le mie mani ma non mi importa. «Non ti farei mai del male. Spero tu lo sappia.» Alzo lo sguardo su quella piccola donna dai boccoli neri, la pelle chiara e i lucidi occhi verdi. Mi guarda per alcuni secondi. Distolgo lo sguardo per non farle vedere che sto per piangere ma un attimo dopo è tra le mie braccia, che la stringono talmente forte che ho paura di farle male. Allento leggermente la presa senza lasciarla andare e pianto la testa tra i suoi capelli. Un singhiozzo corre fuori dalla sua bocca e e le lacrime, che cercavo di trattenere, rincorrono quel suono lasciandosi alle spalle i miei occhi.«Scusami, mi dispiace.» La mia voce è un sussurro in mezzo a tutti quei singhiozzi. «Mi dispiace...»
Con le piccole mani mi stringe a se mentre si lascia andare ad un pianto di frustrazione. Siamo ancora sulla soglia di casa e le persone che rientrano dopo una giornata di lavoro ci guardano incuriositi.
Le bacio la testa e mi scosto leggermente da lei quel tanto che basta per permetterle di alzare la testa e guardami in faccia. «Andiamo dentro.» Giro la testa indicando con il mento le persone che passano in strada.
«Va bene...» Ha la voce rotta e pronuncia quelle parole con una voce talmente bassa che se non fossi così vicino a lei non la avrei sentita.
Annuisco e lei fa qualche passo indietro per permettermi di chiudere la porta. Raccolgo la sacca e torno a guardarla. Il suo viso di adesso è come una pugnalata nel petto e mentre la guardo mi sembra di rivederla in mezzo alla folla, quasi una vita fa. Il suo viso ha la stessa espressione di allora, triste e dolorante. Non le ho mai chiesto se quel giorno lei mi avesse notato o meno. Non mi sono mai nemmeno chiesto per quale motivo fosse triste quel giorno. Mi trattengo dal domandarglielo mentre andiamo in camera. Non è il momento giusto per soddisfare le mie curiosità. Si siede a gambe incrociate al centro del letto mentre io poso le mie cose. Appoggio la sacca sulla scrivania e inizio a svuotarla. Con la coda dell'occhio vedo Rose guardare il piccolo libro che ho appena posato sulla scrivania. Non le ho mai parlato della mia sottospecie di diario e sopratutto non le ho mai detto cosa ci scrivo. Ovviamente sa della sua esistenza. Innumerevoli volte si è svegliata vedendomi alla scrivania intento a scrivere quando fuori all'albamancavano ancora molte ore. Ogni volta che ha provato a parlarne, però, io ho svicolato cambiando discorso. Ma si fida di me e, non avendole dato il permesso, non lo ha mai letto. Una volta me lo disse, forse per rassicurarmi, e io le credetti, e le credo ancora. Se lo avesse fatto probabilmente adesso mi crederebbe pazzo e, in questo momento, non sarebbe sul mio letto. Forse sono veramente pazzo, ma mi piace pensare il contrario. Vado verso la finestra. Il buio ormai ha invaso le strade e i pochi ritardatari le percorrono per tornare nelle loro casa e dalle proprie famiglie. Il mio sguardo si posa sul fiume, agitato dal vento che fino a oggi pomeriggio lo ha fatto arrabbiare con le sue raffiche gelate. Allungo la mano per chiudere la finestra ma la voce di mia moglie mi ferma. «No, ti prego lasciala aperta...» strano ha sempre voluto che la chiudessi, ero io che di solito la lasciavo aperta per avere qualcosa da guardare durante le notti insonni. «Ho scoperto che mi piace svegliarmi con la luce leggera del sole mattutino.» Una risata leggera le esce dalle labbra. È un suono così adorabile. Ha un sorriso contagioso che attacca anche le mie labbra facendole piegare all'insù in un ampio sorriso dolce e sincero.
Oggi non c'è tanto freddo quindi la accontento e la lascio aperta. Mi spoglio e appoggio i vestiti sulla sedia. Domani ci sarà tempo di sistemarli. Indosso la camicia da notte e mi sdraio sul letto. Rose si sdraia al mio fianco. Copre entrambi con le coperte e cerca la posizione perfetta per stare il più comoda possibile. Ha la testa appoggiata sul mio petto e le gambe incrociate alle mie. Ha occupato tutto il lato sinistro del mio corpo appropriandosene e utilizzandolo come cuscino. Le accarezzo i capelli con la mano sinistra perchè so che questo gesto la rilassa, mentre con la suamano disegna piccoli cerchi sul mio addome con l'indice. «Ti devo parlare di una cosa, solo che...» prende un lunga boccata d'aria come se cercasse di calmarsi. «Non so da cosa cominciare...»
La sua voce sembra preoccupata ma adesso non sono nelle condizioni di iniziare un discorso. «Sono sicuro che per parlare di questa cosa si possa aspettare domani.» La mia voce è inaspettatamente dolce.
Lei sospira e aspetta qualche secondo prima di parlare. «Hai ragione, scusa.» Dalla voce sembra avvilita e questo mi preoccupa. Dovrei preoccuparmi?
«Ehi!» Le poggio due dita della mano libera sotto il mento e la faccio girare verso di me. Adesso ha smesso di piangere ma la sua faccia è tutt'altro che tranquilla. Forse dovrei davvero preoccuparmi. «Non devi scusarti, anzi scusami tu ma è stata una lunga giornata e non sono in grado di affrontare una nuova conversazione adesso. Ne parleremo domani, va bene?»
Mi sorride e annuisce debolmente.
Guardo fuori dalla finestra. Probabilmente è ora di cena ma io ho lo stomaco completamente chiuso. «Hai mangiato?» «No, non ho fame, ma se vuoi vado a...»
La interrompo con un bacio leggero. Un bacio dolce. Solo un piccolo modo per dimostrarle il mio affetto. «Va bene così, pensiamo solo a riposare, ok?» Come risposta sfodera un sorriso e quella sua tipica espressione dolce torna ad addobbarle il volto.
Anche se siamo stati lontani un solo giorno mi era mancata, e il sorriso che spunta sulle mie labbra è la conseguenza di quel pensiero. Lei sorride, le bacio la fronte e si gira, rimettendosi con la testa sul mio petto.
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Non moriremo mai
Fantasy❗️ATTUALMENTE SOSPESA❗️ 23 luglio 1612, in un piccolo villaggio della campagna inglese, sette donne vengono bruciate sul rogo. Tra loro c'è Caroline: una giovane strega bramosa di vendetta contro il popolo che ha acclamato la sua morte. Il destino v...