Capitolo 24

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Apro gli occhi e la luce inonda già la stanza. Strano, non ricordo di aver lasciato le serrande alzate ieri sera. Mi copro gli occhi per proteggerli dalla luce e per poco non lascio cadere la cornice argentea che ho stretto tra le braccia tutta la notte. Scosto le coperte liberando il mio corpo dal calore da loro emanato. Mi stiracchio e mi alzo dal letto. Cammino per la stanza fino alla portafinestra; la spalanco facendo entrare l'aria fredda nella mia camera. Esco sul terrazzo e mi stringo nelle braccia per combattere l'aria gelida. Per fortuna non c'è vento. Chiudo gli occhi e punto il volto verso il cielo lasciando che il sole riscaldi la mia pelle chiara con il suo calore. Rimango lì per un paio di minuti prima di rientrare nella stanza; lascio le portefinestre aperte. Sento il telefono trillare e mi avvicino alla scrivania dove lo ho lasciato prima di addormentarmi.
"Greta! Sei sveglia?" (09:46)
Chi diavolo si sveglia così presto la domenica mattina? Sarah. Non ho mai capito come faccia ed essere tanto mattiniera.
"Richiamami appena puoi, dormigliona!"
Sorrido al messaggio della mia migliore amica. Le rispondo subito.
"Non è vero che sono una dormigliona!"
"Oh, si che lo sei! Scommetto che ti sei appena svegliata." "E se le cose stessero così...?"
La immagino mentre alza gli occhi al cielo con il sorriso che le spunta sul viso.
"Beh, controlla l'ora!"
Mi sorprendo di non averlo fatto prima. Alzo lo sguardo sulla parte alta dello schermo e la mia bocca si dischiude

per lo stupore. Ho dormito quasi fino alle 11:52?
Chiamo Sarah e ci accordiamo per vederci nel pomeriggio dato che si sente nettamente meglio. Finita la chiamata ripongo la cornice sulla mensola stampandoci un bacio sopra prima di lasciarla andare. Mangio i resti della "cena" di ieri sera e mi preparo.
Trenta minuti dopo sono davanti alla porta di camera di mia madre, dalla quale quest'ultima sembra non essere ancora uscita. Attacco sulla sua porta un post-it verde dove le dico che sarò a casa di Sarah e che tornerò per cena. Scendo le scale di marmo mentre mi infilo un giacchetto sopra la felpa della tuta bianca. Apro il portone e esco di casa, mi incammino verso quella della mia migliore amica sotto la protezione del sole e con le cuffie nelle orecchie.
Dopo venti minuti di camminata trovo Sarah che mi aspetta sull'uscio di casa sua con il sorriso già stampato in faccia. Ci salutiamo e andiamo direttamente in camera sua. La casa è deserta: i suoi genitori hanno portato il piccolo Jeremy e i suoi amichetti ad un parco giochi fuori Tecani. Sarah si stende sul letto mentre io mi siedo sul piccolo pouf azzurro in mezzo alla stanza. Iniziamo a parlare del più e del meno e, un'ora dopo, siamo scosse entrambe dalle risate. Sarah sembra stare bene e questo mi rincuora.
«Quindi domani verrai a scuola?» La mia è quasi una supplica.
Esita. «Non lo so...»
«Dai! Frequentare le lezione senza di te è talmente noioso.» Roteo gli occhi al cielo per enfatizzare.
«Pensa al lato positivo» la guardo per capire dove vuole andare a parare. Lato positivo? Quale lato positivo? Non ci sono lati positivi. «Domani escono i voti dell'esame di

algebra!»
Sento il mio viso sbiancare. «Allora devi venire assolutamente.» Mi alzo e vado verso di lei quando vedo che inizia a scuotere la testa sorridendo. «Sono seria!» Mi inginocchio davanti al letto e lei scoppia a ridere. Lotto contro me stessa per non fare la stessa fine. «Se domani dicono i risultati» inizio a scuotere la testa. «Avrò bisogno di sostegno quando mi comunicheranno di non averlo passato!»
Sarah torna seria. «Oh tesoro...» la sua voce è calma ma divertita. «Sono sicura che lo hai passato, devi stare tranquilla.» Mi sorride; è un sorriso sincero, caldo.
Le sorrido anche io. «E poi non vorrai mica lasciare il tuo amato Klaus un altro giorno senza di te, vero amica mia?» Dico mentre mi alzo per tornare a sedermi sul pouf.
Sarah fa una faccia sconvolta. «Come osi?» Si porta una mano al petto entrando perfettamente nella parte. Scoppiamo a ridere. Ad un certo punto mi lancia un cuscino; mi colpisce in faccia e ridiamo ancora più forte. Una volta tornate serie riprendo a parlare. «Quando ti deciderai a parlargli?» Schivo un piccolo pupazzo rosa che mi passa accanto alla testa e, divertita, torno a guardare la mia migliore amica che nel frattempo si è seduta chiudendo le braccia attorno alle gambe.
«Non ne ho idea.» Si stringe nelle spalle. «Forse ho solo paura...» Guarda un punto alle mie spalle con espressione persa.
«Paura di cosa?» Ridacchio ma lei non mi risponde. «Ehi» le rilancio il pupazzo e lei sorride per poi mettersi a giochicchiare con esso. «Metà scuola ucciderebbe per avere la tua attenzione anche solo per un giorno e sono certa che è

lo stesso per lui quindi perché...»
Mi interrompe. «No.» Dice bruscamente mentre torna a guardarmi. «Quello che mi piace di lui è proprio il fatto che lui sia diverso dagli altri. Per la prima volta un ragazzo non mi sbava dietro e questo mi piace; significa che lui non da troppa importanza alle apparenze. Non gli importa che io sia la ragazza più bella della scuola o la più popolare e questo un po', se devo essere sincera, mi spaventa.» La conosco abbastanza bene da sapere che non si è appena vantata, ma ha solo espresso un dato di fatto. Lei è davvero la ragazza più bella che io conosca. «Ho paura che se io ci iniziassi a parlare a lui non piacerebbe quello che ho dentro. Non voglio che lui pensi che io sia solo un bel faccino con dei capelli biondi e gli occhi grigi.» Abba lo sguardo sulle sue mani. «Voglio credere di essere più di questo.» Le trema la voce.
Vedo le lacrime rigarle il viso. «Oh tesoro...» Mi alzo e le vado in contro e la abbraccio. «Tu sei più di un bel faccino. Sei una persona fantastica; sei la persona migliore che io conosca! Non sottovalutarti.» Sospiro e sento i suoi singhiozzi sul mio collo. «Mai.»
Dopo averla consolata e distratta con un film, torno a casa. Mentre percorro l'ultimo tratto di strada mi tornano in mente gli argomenti di cui ho parlato con Sarah e mi rendo conto di non averle parlato della discussione con mia madre. Meglio così. Anche se avrei voluto avere una sua opinione, sono felice di non averle detto niente; probabilmente l'avrei solo caricata del peso del mio problema. Non sapevo neanche che lei stesse così per Klaus e che a causa sua avesse pensato di non essere abbastanza.

Avrei dovuto rendermi conto che qualcosa non andava. Sarah non ha mai auto problemi ad agganciare un ragazzo e non mi era nemmeno passato per l'anticamera del cervello che non avesse ancora parlato con Klaus di proposito. Pensavo solo che stesse aspettando che fosse lui a rivolgerle la parola, ma evidentemente mi sbagliavo.
Arrivo davanti alla porta di casa e giro la chiave nel chiavistello. La porta si spalanca e entro. Le luci sono ancora spente, segno che mia madre non è ancora uscita dal suo nascondiglio. Tendo le orecchie per sentire qualcosa che mi confermi che sia in casa ma non sento niente. Probabilmente dorme. Lascio le luci spente, appendo il giacchetto all'appendiabiti e salgo le scale dirigendomi verso camera mia. Preparo i libri di scuola per il giorno seguente e metto lo zaino accanto alla porta. Mi stendo sul letto e mi riposo per trenta minuti prima di sentire il cigolio della porta della camera di mia madre che si apre. I suono dei suoi passi riempe il silenzio che mi circonda. Controllo l'ora e mi accorgo che è quasi ora di cena. Inizio a prepararmi mentalmente al possibile scontro con Ethel. Dopo dieci minuti mi alzo dal letto e allungo la mano per prendere il post-it giallo che mia madre mi aveva lasciato il giorno prima. Lo metto nella tasca dei pantaloni della tuta, poi prendo la lattina di coca-cola e il cartone della pizza ancora parzialmente pieno e vado verso la porta. Dato che ho le mani piene decido di utilizzare la magia per aprirla. Pochi istanti dopo inizio a scendere le scale.
Mi fermo davanti all'entrata della cucina. «Sono pronta.» Bisbiglio e poi faccio il mio ingresso.
Mia madre non da cenno di essersi accorta della mia presenza; si limita a stare seduta al suo posto e a mangiare

dei sandwich in silenzio. Vedo che ha apparecchiato per due e questo è un buon segno. Lascio il cartone e la lattina sul piano cucina. Raggiungo il tavolo, mi siedo e allungo una mano verso un piatto al centro del tavolo dove sono stati posizionati i sandwich. Ne prendo uno e lo addentro, anche se in realtà non ho molta fame. Mangiamo in silenzio, senza neanche guardarci. Stiamo entrambe con gli occhi puntati sul nostro piatto. Finisco la mia cena e rimango qualche minuti a pensare al da farsi. Che fare; alzarsi e andare in camera senza dire niente o provare a iniziare una conversazione che molto probabilmente sfocerebbe in un litigio? All'improvviso mi ricordo del post-it che tengo in tasca e capisco quello che devo fare. Mi alzo e sospiro. Prendo il mio piatto e lo metto nel lavabo. Torno indietro e mi fermo a fianco di mia madre. Tiro fuori il post-it dalla tasca e rimango a guardare quello che c'è scritto per qualche secondo, poi lo appoggio accanto al piatto di mia madre con la scritta " manca anche a me" bene in vista.
«Lo so.» Dico senza guardarla.
Sento le lacrime pizzicarmi gli occhi chiedendo il permesso per uscire. Mia madre sospira e, quando con la coda dell'occhio vedo che sta per girare la testa verso di me, mi giro e esco dalla cucina. In qualche modo riesco a trattenere le lacrime fino a quando non sento sbattere la porta di camera mia dietro di me, poi mi abbandono al dolore del ricordo di mia sorella e piango.

Non moriremo maiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora