Capitolo 17

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Il sole è vicino a tramontare e l'aria si è fatta più fredda. Busso alla porta e in pochi secondi mi ritrovo ad osservare gli occhi arrossati di mia moglie, dove luccica la speranza, accompagnata dalla paura.
«Ciao.» La mia voce debole e incerta rompe il silenzio che ci circonda.
«Ciao.» Mi saluta. Ha la voce rotta, gli occhi gonfi e il naso arrossato. Si sposta di lato per lasciarmi entrare.
Muovo qualche passo all'interno della casa ed appoggio la sacca su una sedia di legno rotta che avremmo dovuto buttare tempo fa. Mi giro verso mia moglie che, nel frattempo, ha chiuso la porta e incrociato le braccia al petto. Ci separano solo due passi.
Esita qualche istante prima di parlare ancora. «Oscar, devo sapere cosa hai deciso.»
Unisco le mani dietro la schiena e sposto il peso del mio corpo su un lato e,dopo un respiro profondo, parlo. «No, non devi andartene.»
Vedo passare sul suo volto prima l'incredulità e poi la pura felicità. Il suo corpo si blocca per qualche secondo, lasciando che la mente metabolizzi le mie parole. Quando sembra aver compreso la mia serietà, un sorriso le cresce sulle labbra. Percorre velocemente la distanza che ci separa e mi getta le braccia al collo. Sprofonda la testa nel mio petto e le lacrime cominciano a scorrerle sul viso, mentre il suo corpo è scosso dai singhiozzi. Non dice una parola. Come posso voler abbandonare questa donna?
Dopo un abbraccio durato svariati minuti, Rosemary ha esaurito le sue lacrime e ha sciolto l'abbraccio. Ci siamo

diretti in cucina, dove abbiamo consumato la cena in completo silenzio, fatta eccezione per alcuni commenti riguardanti il cibo. Dopo la cena Rosemary si è lavata e io mi sono dedicato alla scrittura. Infine, ci siamo messi a letto, dove Rose si è addormentata all'istante. Non abbiamo parlato ne dell'essere che le cresce nella pancia ne tanto meno dello spettacolo di oggi. A dire il vero, non abbiamo parlato affatto.
Adesso è notte fonda e, in lontananza, si sentono i lupi che adulano la luna dai boschi. Rosemary dorme profondamente al mio fianco dandomi le spalle. Allungo la mano e afferro una candela e dei fiammiferi, la accendo e mi accerto che mia moglie stia ancora dormendo. Mi alzo dal letto il più silenziosamente possibile e mi dirigo verso la scrivania dove, poche ore prima, avevo preparato il necessario per questa notte. Indosso i pantaloni bucati sulle ginocchia che ho strappato una settimana fa, e una maglia bianca macchiata di tè. Mi metto i calzini bucati che uso per stare in casa e le mie vecchie scarpe di cuoio. Poi preparo la scrivania. Vi appoggio la candela, inondando di luce i panni che Rose ci ha appoggiato sopra. Li piego e li ripongo nell'armadio, sgombrando la scrivania. Apro il secondo cassetto e ne tiro fuori il diario, una lettera e il ritratto di Caroline. Piego in due quest'ultimo e lo metto all'interno del diario e, sopra di esso, posiziono la lettera. Mi giro verso mia moglie, persa nel mondo dei sogni, e imprimo quella scena della mia mente. I boccoli neri che spuntano dalla trapunta azzurra, illuminati dalla luce fioca della candela. Rimango a contemplare questa donna per qualche minuto, poi, spengo la candela con un soffio leggero e mi dirigo verso la porta di casa senza fare rumore.

«Addio.» Guardo casa mia per l'ultima volta prima di voltarmi e andare incontro al mio destino.
Comincio a camminare imperterrito e mi fermo solo quando mi ritrovo davanti ai due roghi non utilizzati. Intorno alla piazza, il villaggio sembra dormire. Nessun rumore o voce lo attraversa. Ci sono solo io, il buio, la piazza e i due roghi inutilizzati. Mi metto davanti a quello più vicino alla pedana dove io stesso ho annunciato la morte di donne innocenti. Le loro voci e il loro volto sono impresse nella mia mente. Sento costantemente le loro urla nella mente. Loro sono sempre con me, anche in questo momento non mi lasciano in pace. Sento i loro occhi puntati su di me, ma intorno a me non c'è nessuno.
Sospiro. «Diamo inizio allo spettacolo.»
Mi avvicino al mucchio di legni che ho davanti e infilo la mano nella tasca destra dei pantaloni. Tiro fuori il pacco di fiammiferi e un vecchio libro di cui ho perso alcune pagine anni fa. Mi guardo intorno un ultima volta. L'oscurità mi circonda avvolgendomi. Non c'è vento.
Giro intorno alla catasta di legni cercando varco, anche piccolo. Ma non lo trovo. Sbuffo e decido di crearolo da solo. Spero soltanto che la struttura non ceda. Strappo qualche foglio dal libro, appoggio il libro per terra e mi metto i fogli sotto braccio. Prendo un fiammifero e lo accendo, poi do fuoco ai fogli e li butto tra i legni. Aspetto fino a quando non vedo il fumo che inizia a uscire da quest'ultimi. Il fuoco è stato appiccato. Sento gli angoli della bocca sollevarsi. È giunto il momento. Prendo il libro e gli do fuoco. Lo posiziono dentro al varco e rimango a guardare la legna più bassa che inizia ad essere inglobata

dalle fiamme. Lancio il pacchetto di fiammiferi dietro di me e chiudo gli occhi. Coraggio fallo. Li riapro e muovo un passo verso il rogo. Mi levo le scarpe. Le fiamme mi sfiorano le gambe e il calore inizia a riscaldare la mia pelle.. Salgo sulla piccola pedana e stringo le mani intorno al palo dove gli uomini amano legare donne che loro comunemente chiamano mostri. Sfortunatamente non si rendono conto che i veri mostri sono loro. Sento il calore che mi avvolge i piedi e i miei occhi si serrano. Respiro profondamente nel tentativo di non urlare. I miei vestiti iniziano a polverizzarsi e l'odore di carne bruciata mi invade le narici. Stringo il palo talmente forte che quasi non sento più le mani. Il mio corpo si inarca mentre trattengo un urlo.
«Guardami.» Un sussurro.
A quelle parole i miei occhi si spalancano e il mio sguardo si posa sui folti capelli rossi di Caroline. Si avvicina a me, alza la gonna del vestito blu e bianco e sale sul rogo. Non sento più il caldo. Anche lei sembra non accorgersi delle fiamme. Guardo in basso e le vedo avvolgerci fino alla vita. Il suo bel vestito si sta sgretolando. Sento le lacrime bagnarmi il volto mentre riporto lentamente lo sguardo verso l'alto. Mi soffermo sulle mie mani dalle nocche bianche. Lei se ne accorge e posa le sue mani sulle mie. Alzo la testa e fisso i miei occhi ai suoi.
«Va tutto bene.»
Ha la voce ferma e un'espressione impassibile, ma io ormai che ho imparato ad osservarla. So come capirla. Studio i suoi occhi per qualche istante e lo noto. Noto quella cosa velata dietro i suoi occhi:l'odio. Anche se non me lo ha mai ammesso esplicitamente so che mi odia, che mi disprezza. Le lacrime iniziano ad aumentare ma non per il dolore,

quello l'ho spesso provato da quando la ho vista. Se non fosse per l'odore potrei giurare di non essere avvolto dalle fiamme. Piango perché so che quello che prova è giusto, perché sono un essere che non merita di vivere.
«Non ho paura di morire. Me lo merito.» Chiudo gli occhi e lascio che le fiamme mi avvolgano completamente.

Non moriremo maiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora