capitolo 1

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5:30 am

Questa è l'ora in cui la mia sveglia inizia a suonare.

"Troppo presto per iniziare una giornata lavorativa" penserebbe chiunque, tranne che un chirurgo.

Ebbene sì, io, Sakura Haruno, lavoro presso l'ospedale di Konoha e non solo, sono uno dei più famigerati chirurghi della città...chi l'avrebbe mai detto? Non io di certo.

Con ancora gli occhi chiusi mi dirigo in bagno per prepararmi ed una volta uscita mi soffermo sulla figura riflessa allo specchio della mia stanza. Osservo il mio viso pallido e i miei occhioni verdi. Ormai sono una giovane donna, sembra sia scomparsa quell'innocenza adolescenziale. Il mio volto si è allungato, i miei tratti sono più marcati e le guance non sono più adornate da un quel lieve rossore.

Mi spazzolo con decisione i miei capelli corti. Ricordo ancora come mi aveva spogliata con gli occhi quando mi vide col mio nuovo look e quindi ho deciso di tenerli corti, così che una volta tornato, avremmo ripreso proprio dove ci eravamo interrotti e poi mi fanno sembrare più grande, più seria, seppur il loro bizzarro colore...

Saresti fiero di me?

Non sono più io quella ragazzina piagnucolona di anni fa, proprio come volevi tu, sono diventata forte. Non ho più paura del mondo, e questo lo devo a te. chissà adesso che cosa starai facendo, sei mi stai pensando almeno un pò.

mi ritrovo a sorridere accarezzando il mio riflesso.

A volte è come se lo sentissi accanto a me, potrei giurare che se chiudessi gli occhi, riuscirei addirittura a sentire il suo profumo ed è vero, mi manca.

Ogni giorno più di quello prima prima ma sempre meno del giorno dopo.

MI manca, in ogni momento, mi manca. E' un dolore continuo, non va a ondate. Lui mi manca sempre. E' nei miei occhi pieni di lacrime, nei miei singhiozzi silenziosi prima di andare a dormire, è nella mia sala operatoria, nel mio posto vuoto nel letto, nella mia casa, nel mio cervello, nel mio cuore...ma quand'è che tornerà?

In questi anni non ho abbandonato la mia abitudine, cioè quella di guardare le stelle. Mi piace pensare che in base alla brillantezza di quella stella, di Sirio, posso assicurarmi che lui stia bene, ma Sirio non mi aiuta, perché ogni giorno, sembra che brilli sempre di più.

Ad essere onesta, ho pensato più volte di andare da lui, non m'importava della guerra, volevo solo vederlo, anche da lontano. Mi sono ritrovata più volte a preparare una valigia, stanca di quel dolore lancinante che provavo nel petto, ma questo avrebbe solo dimostrato quanto io fossi debole. L'avevo presa come una sfida personale. Mi aveva promesso che sarebbe tornato e io gli ho promesso che l'avrei aspettato, sempre. E così mi aggrappavo a questa promessa e mi ritrovavo ad alzare lo sguardo, a cercare Sirio, a cercare qualcosa che potesse ricondurmi a lui.

Manca così poco che perfino i secondi sembrano infiniti.

I primi giorni sono stati i peggiori, non parlavo, non mangiavo, niente. L'unica cosa che ero in grado di fare era piangere e buttare qualsiasi cosa avevo tra le mani contro la sua figura. Se ne stava lì, davanti a me, appoggiato al muro oppure ad una porta, con le braccia conserte, con la faccia incredibilmente seria. Mi fissava. Era contrario di come io stessi proseguendo senza di lui, mi aveva chiesto di continuare a sorridere, di continuare a vivere e io mi sgretolavo proprio davanti ai suoi occhi. La mattina mi fissava e la notte mi parlava.

Mi accarezzava, mi prendeva in giro per ogni minima cosa, il pigiama di campanellino in primis, ammetteva che anche io gli mancavo, rideva e Dio ogni sera pregavo di non risvegliarmi più, ma invece, puntualmente, la sveglia suonava e io mi giravo di scatto dall'altro lato del letto, accarezzando il cuscino accanto a me, proprio dove dormì prima di andare via, con la speranza che quel lato l'indomani si riempisse, che ritornasse da me.

una promessa è una promessaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora