6. Onda d'urto Guanciale

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Ero arrivata a Napoli da poche ore e, neanche il tempo di assaggiare una pizza come si deve, mi ritrovai catapultata sul set della fiction "Non dirlo al mio capo".
Doriana mi fece conoscere il regista, i tecnici, i produttori, gli scenografi, le costumiste e le truccatrici... e chi più ne ha, più ne metta. Io sapevo solo di non ricordare già più nemmeno un nome fra quelli che mi erano stati detti. Ad un certo punto stringevo mani per inerzia. Non era una cosa molto professionale da fare, ma davvero non ce la facevo più.
Fiaccata dal continuo ruotare come una trottola tra uno spazio e l'altro mi sedetti, ed intorno a me, improvvisamente, tutto quel mulinare di gente, che sembrava muoversi come intrappolato in un frullatore impazzito, si interruppe.

Fino a pochi secondi prima sul set la confusione regnava sovrana, finché qualcuno non si rese conto che lui stava arrivando.
Non appena lo videro sbucare con il suo solito zainetto di pelle marrone in spalla, tutti iniziarono a correre, a darsi gomitate, a riordinare, cercando di dimostrarsi affaccendati. Lui invece, in perfetta tranquillità, salutò tutti con un ampio sorriso, che mise in mostra una dentatura inferiore non perfettamente allineata, e si richiuse la porta del suo camerino alle spalle.
Allora tutti ripresero a respirare normalmente, come se fino all'istante prima fossero rimasti in apnea.
In tutto ciò c'ero io, che li guardavo affascinata e stupita.
Non capivo le ragioni di tutta quella tensione, come potesse un uomo come lui generare così tanto sconvolgimento nei suoi collaboratori, soprattutto perché tutti quelli che lo conoscevano mi avevano assicurata fosse una persona affabile e comprensiva, mai scorretto o scontroso, ma sempre disponibile e professionale.
Ricordai, come fosse un flashback, quello che era successo qualche giorno prima in teatro. Medesima reazione.

Ancora sotto effetto della terribile "onda d'urto Guanciale", mi si avvicinò Giorgia, la costumista.
<<L'abbiamo scampata bella, Sara!>>
<<In che senso?>>
<<Lino! L'hai visto? È arrivato con venti minuti d'anticipo e noi non siamo ancora pronti!>>
<<E va bene, dai, non penso sia un grosso problema!>>
<<Certo che lo è! Il regista e la produzione non fanno altro che ripeterci ogni giorno che dobbiamo considerarlo la vera star dello show, che attorno a lui tutto deve essere sempre in ordine e perfettamente a posto, che tutto si deve muovere seguendo i suoi ritmi! Adesso lo senti il produttore esecutivo, se viene a sapere che al suo arrivo non eravamo ancora pronti!>>
<<Giorgia, non mi sembra il tipo che si mette a fare la spia. E poi, detto sinceramente, non capisco cosa abbia di tanto speciale. È un essere umano come noi, ha due braccia, due gambe, occhi, naso...>>.
Giorgia arrossì all'improvviso ed iniziò a farmi strani cenni con il viso. Non capivo cosa le stesse prendendo.
<< Giorgia, c'è qualcosa che non va? Non ti senti bene? >>.
<< La nostra cara Giorgia sta benissimo, stia tranquilla! Faceva quelle facce solo perché alle sue spalle c'è nientepopodimeno che "l'essere umano come noi" di cui stavate parlando! >>.
Mi voltai di scatto e c'era proprio lui di fronte a me: Lino Guanciale in persona. Completo di aria di sfida.
Non ci fu modo di non arrossire leggermente, ma ce la misi tutta per non far notare più di tanto il mio grande imbarazzo. Glissai completamente su quello che io e Giorgia ci stavamo dicendo poco prima.
<<Buongiorno! Molto piacere di conoscerla, io sono Sara, la set designer!>>, gli dissi, allungando una mano sperando che me la stringesse, togliendomi dall'imbarazzo di rimanere così, con l'arto appeso nello spazio d'aria creatosi tra me e lui.
<<Buongiorno, Sara! Sono Lino... ma questo penso che lei lo abbia già intuito!>>, mi disse, con tono leggermente sprezzante, ma comunque accogliendo la mia mano nella sua e stringendola vigorosamente.
Io non abboccai alla sua provocazione, che mi voleva contrita e vergognata. Il rossore in viso di qualche minuto prima era già svanito. Se aveva voglia di giocare, anche io sapevo farlo benissimo. Erano mesi ormai che mi allenavo a tenere gli uomini sul filo del rasoio, per paura di rimanerci fregata.
<<È davvero un piacere conoscerti, Lino. Posso darti del tu, vero?>>.
Lui sembrò un tantino stupito dal mio non cedere alle sue provocazioni, ma subito ritornò perfettamente impassibile, mascherando anche la minima sorpresa con un sorriso beffardo e divertito.
<<Certo che possiamo darci del tu, Sara. Anzi, che ne dici di chiuderla con i convenevoli e passare a parlare di cose serie?>>, mi disse.
<< Oh sì! Non attendevo altro!>>.
Non potevo essere la sola ad aver avvertito che dietro alla professionalità che le nostre parole ostentavano, una certa tensione, di natura non meglio specificata, tra noi si iniziava a generare. L'aria che ci separava sembrava come carica di elettricità.
<<Bene! Direi di fare un giro sul set e vedere se le nostre idee si allineano. Che ne dici?>>
<<Perfetto, andiamo>>.
Iniziammo a muoverci sul set, stando attenti a non inciampare nei cavi che affollavano il pavimento.
Arrivammo nella grande stanza che avrebbe ospitato lo studio dell'avvocato Enrico Vinci e prendemmo a confrontarci sull'arredamento, sulla divisione degli spazi, sulla disposizione dei mobili, sui punti luce da inserire, su quali dettagli di stile meglio si attagliassero al personaggio.
Nei vari set che avevo frequentato non avevo mai trovato un attore che volesse essere così coinvolto nella preparazione degli spazi in cui il personaggio che avrebbe interpretato si sarebbe mosso. Il che mi spinse a chiedergli:
<<Senti Lino, a questo punto sarei curiosa di sapere da te che idea ti sei fatto di Enrico, come pensi che lui si muoverebbe nello spazio, quale stile secondo te gli si addice maggiormente. Vorrei che il suo studio legale, proprio come i suoi vestiti, gli calzasse a pennello. Io un pensiero ce l'ho, ma mi piacerebbe sapere cosa ne pensi tu! >>.
La sua analisi lucida, psicologicamente accurata ed ugualmente secca, priva di fronzoli, mi colpì:
<<Guarda Sara, Enrico Vinci, per come la vedo io, è un uomo che fondamentalmente cerca qualsiasi pretesto per nascondere quello che veramente è, forse perché in fondo ha paura di conoscere il vero se stesso, di penetrare in quella parte di sé che cerca di reprimere. Si circonda di oggetti di lusso, di belle donne, ha una macchina sportiva, una casa ultramoderna e superaccessoriata, ma penso che, nel profondo, si debba sentire molto solo, non in pace con se stesso. Il rapporto che instaurerà con Lisa tirerà fuori dei lati di lui che ha cercato di nascondere, reprimere appunto, e si troverà in difficoltà a lasciarsi andare, a lasciarsi trasportare da delle emozioni che non prova da troppo tempo. È un uomo infinitamente fragile ed allo stesso tempo duro, rigido, un po' il tipo bello ed impossibile che non si lascia mai afferrare veramente. È questo quello che penso debba trasparire dal suo atteggiamento, dal suo stile, come dai luoghi che abita>>.
Mi sorpresi nel constatare che le sue idee si allineavano perfettamente con le mie. Era esattamente quella che lui descriveva l'immagine che avevo ricostruito del personaggio nella mia mente.
<<Bene, la tua visione non si discosta di molto dalla mia! Dunque ti chiederei di fare uno step ulteriore con me, se ti va ed hai ancora qualche minuto di tempo da dedicarmi...>>, gli dissi, usando parole volutamente vaghe e velatamente provocatorie. Avrei potuto volergli proporre di tutto in quel momento. Lui mi sembrò sereno, pronto a qualsiasi evenienza.
<<Certo, ho ancora un'oretta di tempo prima di dover scappare a teatro>>
<<Ci vorrà molto meno, non preoccuparti!>>.
Mi fece strada verso il suo camerino, che era certamente più spazioso della stanzetta che avevano destinato a me.
Mi fece sedere vicino a lui, scostando una delle due sedie posizionate di fronte al grandissimo specchio, e facendomi accomodare. Una mossa da vero galantuomo, pensai.
Io tirai fuori una cartellina piena di fotografie e fogli dalla borsa. Nonostante da molti anni l'era del digitale avesse preso il sopravvento, non riuscivo proprio a separarmi dalla carta.
<<Ecco qui. Ti mostro alcune delle bozze che ho creato mentre pensavo all'arredamento da ricreare all'interno dello studio legale Vinci. Vedi, ci sono anche delle foto di oggetti che ho trovato su internet, che secondo me rendono ancor meglio l'atmosfera ed il vibe che vogliamo creare attorno al personaggio. Ho pensato, però, che nonostante la scelta maggioritaria debba ricadere su oggetti ipertecnologici, industriali e moderni, qualche tratto sentimentale debba restare. Ecco perché vedi le vecchie foto di famiglia incorniciate, una macchina da scrivere vecchio stile, delle poltrone leggermente usurate, proprio perché vissute...>>
<<Non avrei potuto rendere l'idea che avevo in testa meglio di così, Sara! Hai trasformato in pezzi di arredamento esattamente quello che penso di Enrico Vinci. C'è quel giusto mix tra modernità, sensualità e lato selvaggio e sprezzante che lo contraddistinguono e la sua sensibilità nascosta. Ti faccio i miei complimenti, davvero! Doriana mi aveva detto che eri eccezionale e devo ammettere che, in questo caso, aveva perfettamente ragione!>>
<<Grazie Lino, significa molto questo tuo complimento. Ma ora ti lascio andare, avrai ancora tante cose da sbrigare!>>, gli dissi mentre riponevo a posto i fogli e facevo per alzarmi dalla sedia. Lui imitò i miei movimenti e si alzò, stirandosi con le mani la camicia azzurra, che si era leggermente stropicciata.
<<Grazie a te Sara. È stato davvero divertente trascorrere questo tempo assieme!>>.
Ero sul punto di afferrare la maniglia della porta del suo camerino, quando sentii una mano posarsi sulla mia spalla. Mi bloccai e, stupita da quel gesto, mi voltai. I nostri sguardi si incrociarono. Sembrava quasi in imbarazzo.
<<Stavo pensando... Ti va di venire a teatro questa sera, Sara? ... Pensavo che... insomma... a fine spettacolo potremmo andare a bere qualcosa assieme! Che ne dici?>>. Pronunciò le ultime parole tutte d'un fiato.
Rimasi sorpresa dalla sua proposta, non me la sarei mai aspettata! Certo, avevo avvertito una strana tensione fra noi mentre ci parlavamo, ma non ero ancora riuscita a decifrarla. Poteva essere l'inizio di una simpatia, come un'insofferenza l'uno nei confronti dell'altra, che si sarebbe risolta in una forma di sopportazione e pacifica convivenza sino alla fine del nostro lavoro assieme. Per questo ero rimasta volutamente eccessivamente professionale nel mio atteggiamento, velando qualsiasi provocazione e rendendola indiretta.
Mi voltai verso di lui:
<<Grazie per questo invito, Lino! Accetto molto volentieri! >>.
Mi ero appena buttata. Avevo appena valicato il confine delle mie sicurezze. Ed ora? Cosa sarebbe successo una volta fatto il salto?

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