Milano era afosa. L'aria irrespirabile e pesante, che ci aveva accolti, si infiltrava nelle narici quasi a volerle otturare per sempre, impedendo di sentire odori, percepire la realtà.
Il naso chiuso si era unito a quel terribile nodo in gola che mi tormentava da ore e dunque, invece che respirare, praticamente boccheggiavo.
Lino aveva notato la mia tensione aumentare ad ogni chilometro che ci avvicinava a Milano, ma non aveva fatto domande. Si era limitato a stringermi la mano un po' più forte, facendomi sentire la sua presenza ed il suo supporto costanti.
A volte silenzi e mani unite sono il miglior rimedio contro la paura.Ore 14.50
Eravamo finalmente arrivati. Avevamo trovato un parcheggio sotterraneo aperto poco distante da casa mia e poi, a piedi, ci eravamo incamminati per raggiungerla. Il rumore cadenzato delle rotelle della valigia sul marciapiede mi riportava alla realtà. Mi faceva capire che non dovevo più vivere in quell'atmosfera quasi onirica, sospesa fra reale ed irreale, che avevo respirato nei giorni trascorsi in ospedale, ma che dinanzi a me si stagliavano infinite possibilità. Bastava scegliere quella più adatta a quel momento della mia vita.
Lino mi stringeva la mano, un po' sudata a causa della tensione, e camminavamo stretti, uniti verso la nostra meta.Pochi minuti più tardi avevamo attraversato il portone d'ingresso del mio palazzo milanese ed avevamo salito le scale.
Casa mia era rimasta esattamente la stessa. Nulla era cambiato dall'ultimo giorno in cui ci ero stata, solo la cassetta delle lettere piena zeppa di posta, che nessuno aveva racimolato, ed un leggero strato di polvere sedimentato sui mobili erano testimoni silenziosi della mia assenza dei giorni precedenti.
Rimettere piede in quei luoghi così uguali a se stessi non faceva più l'effetto di una volta, non era rassicurante, non donava quella sensazione di pace, di essere di nuovo a casa, finalmente.
In quelle mura non sentivo più il sollievo che provavo appena rientrata da una lunga giornata di lavoro, oppure esausta dopo un viaggio, e lanciavo via le scarpe col tacco per riposarmi sulla poltrona, che lacrime e sorrisi ed infinite chiamate su FaceTime aveva pazientemente accolto, silenziosamente ascoltato.
Ero io ad essere cambiata, invece. Non ero più la stessa. Tutto attorno a me il mondo era rimasto identico a se stesso, tutto, tranne me.Lino si tolse la giacca e la posò sul divano. Poi mi si fece vicino, mi prese il viso fra le mani e lo sollevò con dolcezza con due dita, affinché i miei occhi incontrassero i suoi.
Poi mi chiese semplicemente:
<< Come va? >>.
Era una domanda dalle infinite possibili risposte, ma, proprio in quel momento, proprio quando lui me la pose, mi resi conto di non sapere neanche io come stessi veramente. Mi sentivo sopraffatta da emozioni forti e contrastanti. Forse ci sarebbe voluto del tempo per tornare alla vita di sempre, a quella vita "normale" che quando la vivi non ci pensi neanche a quanto sia tutto fuorché classificabile come tale. Solo quando quella presunta normalità la perdi, capisci davvero quanto sia bella, importante, tutta da vivere.<< È tutto un po' strano... però sono a casa, e questo è quello che conta >>, gli dissi infine.
<< Amore >>, mi strinse forte contro al suo petto e quel desiderio che avevo sentito così forte in macchina tornò a farsi più vivo che mai, tornò a nuotare irrequieto nella mia pancia, fra i miei pensieri.
Allora ricambiai la sua stretta e gli tirai leggermente i capelli a direzione della nuca, in modo che il suo volto tornasse a guardare nella mia direzione.
Lo baciai con foga, con passione, come se non ci fossimo mai baciati prima di quel momento, lo baciai con tanta goffaggine e tanto impeto da sembrare una bambina scoperta con le mani nella cioccolata, un'adolescente alle prime armi.
Le mie mani scesero dalle sue spalle fino alle sue braccia, poi risalirono di nuovo fino al colletto della sua camicia, che strinsi fra le dita per avvicinarlo ancor di più a me, come se una vicinanza maggiore fosse possibile per due corpi che ormai aderivano perfettamente l'uno all'altro, senza spiragli di luce a passargli attraverso.
Arrivai, in questo mio breve viaggio esplorativo, sino a toccare i bottoni della sua camicia azzurro cielo. Ne sbottonai uno. Le sue mani raggiunsero immediatamente le mie e le fermarono.
<< Lino, che fai? >>, gli chiesi, staccando la mia bocca dalla sua. L'atmosfera attorno a noi si stava surriscaldando, ma in quel momento, dopo quel gesto, l'aria si fece glaciale e tesa.
<< Voglio che tu sia sicura di quello che stiamo facendo... >>
<< Lo sono >>. Mi fiondai di nuovo sulle sue labbra, ma lui chiuse le sue, impedendomi di tornare a baciarlo. Sorrise, forse della mia tanta voglia di riappropriarmi di quello spazio così intimo che si veniva a creare ogni volta che eravamo a pochi centimetri di distanza. Mi mancava quella intimità tutta nostra, speciale.<< Lino, ma che fai!? Mi fermi di nuovo?! Questa volta non ci sto, mi dispiace! >>.
Mi allontanai da lui, lasciandolo imbambolato a guardarmi, mentre mi dirigevo spedita in camera da letto. Ero arrabbiatissima. Furente.
Iniziai a svuotare la valigia, profondamente amareggiata da quanto successo qualche istante prima. Non avevo un buon rapporto con il rifiuto. Mi era successo troppe volte nel passato e, dopo le parole di disprezzo di Diego, la ferita invece che rimarginarsi, si era riaperta ancor di più.Le sue mani mi trovarono mentre rimettevo a posto l'intimo negli appositi cassetti. Mi strinse per le spalle e posò le sue labbra sui miei capelli. Quell'abbraccio mi sciolse leggermente, invece che spingermi ad allontanarmi ancora un po' di più da lui.
<< Scusa >>, mi sussurrò immediatamente, << non volevo ridere, né tantomeno rifiutarti. Lo sai, Sara, non potrei mai! Volevo solo essere sicuro che... >>.
Lo interruppi immediatamente.
<< Ho paura, Lino. Ho paura che tu possa non provare più la stessa attrazione che provavi per me all'inizio. Ho paura che quello che Diego mi ha fatto... quello che ha cercato di farmi... >>, mi corressi << possa in qualche modo aver cambiato l'idea che ti eri fatto di me >>.Era giunto il momento della verità, di aprire il vaso di Pandora e dirgli tutto, raccontargli la profondità dell'odio che avevo nutrito per me stessa dopo quello che era successo. Era giunto il momento di affrontare quella sensazione di "sporco" che sentivo appiccicata alla mia pelle da quel fatidico giorno.
Dirgli tutto mi avrebbe resa vulnerabile, nuda ai suoi occhi, ma gli avrebbe dato anche modo di capirmi, di poter affrontare quei demoni al mio fianco, invece che lasciare che lentamente ci separassero.<< Sai... dopo quel giorno ho avuto paura che tu potessi non volermi più. Mi sentivo sporca, non degna del tuo amore così puro, pulito. Mi sentivo una pezza vecchia e lercia, pronta per essere gettata via, quasi inutile... >>.
Una lacrima cominciò a rigarmi il viso. Ringraziai che fosse ancora dietro di me e non potesse vederla. Se avessi avuto i suoi occhi di fronte, forse non sarei stata in grado di andare avanti.
Lino non si mosse, allora continuai a parlare.
<< Ho pensato di non meritarti più, di non meritare più quel sentimento così bello che tu provavi per me, perché, anche se non ce lo eravamo ancora detti apertamente, sapevo che quello che provavo io, lo sentivi anche tu. Ho pensato che non avrei mai più potuto affrontare la realtà, che non sarei stata più in grado di tornare a vivere, ad essere quella di prima. Ancora non so se potrò mai ritornare ad essere la Sara di una volta, quella di cui ti sei innamorato, ed a volte penso che ti meriti un amore più semplice, una donna meno complicata, meno "danneggiata" di me... >>.
Smisi di parlare e mi voltai, per guardarlo negli occhi e cercare di capire, almeno dalle sue espressioni, cosa stesse provando in quel momento.
Era ancora silenzioso, ma una lacrima rigava anche la sua guancia sinistra. Gli strinsi le mani fra le mie.
<< Ecco perché il fatto che tu mi abbia fermata prima ha scatenato in me quella reazione. So che lo hai fatto per il mio bene, perché volevi essere certo che fossi perfettamente sicura di voler andare oltre... >>
<< Sono stato uno stupido! >>, mi disse.
<< Tu non sei stupido! >>, ribattei immediatamente.
<< Certo che lo sono. Sono uno stupido se non sono riuscito a farti capire che mi sono innamorato di te dal primo momento in cui ti ho vista, ma che è stato proprio in quei giorni in ospedale, mentre aspettavo che tu ti risvegliassi, che ho capito di amarti veramente. Mi sono innamorato della Sara del prima, ed ho capito di amare la Sara del dopo, quella che tu definisci "danneggiata". Io amo quella Sara e non voglio che parli così di lei. Io ti ho amata e ti amo perché in quella Sara "danneggiata" ho visto la forza, la grinta, la passione, la voglia di vivere, e forse anche la voglia di tornare da me >>.
Asciugai con un dito le lacrime che gli scendevano dagli occhi.
<< Ti amo, Sara. E sono io quello che non ti merita! Che stupido che sono stato! >>
<< Te lo ripeto ancora una volta, tu non sei stupido! Sei la persona migliore che io conosca. E per questo ho lottato per ritornare qui, da te, sperando che mi volessi ancora, e continuerò a farlo, per restare, fino a quando tu lo vorrai >>
<< Per sempre, lo vorrò per sempre >>
<< Anche io, per sempre >>, ripetei.<< Vieni >>, mi prese per mano e mi riportò nell'ingresso, dove era rimasta la sua giacca.
La prese dal divano e frugò per un istante nella tasca. Ne tirò fuori una scatolina di velluto blu navy.
Mi prese un colpo. Non poteva essere veramente quello che credevo fosse!
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Un Lino... è per sempre!
RomanceSara è una giovane donna profondamente delusa dall'amore e sin troppo assorbita dalla carriera. Una telefonata della Lux Vide imprimerà un cambiamento nella sua vita e, grazie al lavoro che la casa di produzione le proporrà, conoscerà lui, Lino Gua...