19. Senza di te

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Il viaggio Napoli-Milano si stava rivelando davvero interminabile. Mi pareva molto più lungo di quello Milano-Napoli, che solo qualche giorno prima mi aveva destinata a quel luogo ed a quell'uomo, che mi avrebbero un po' cambiata la vita.
Continuavo a guardare l'orologio, sperando che mancasse poco all'arrivo, ma, ogni volta, la delusione dello scoprire che mancassero ancora troppe ore mi faceva tracollare.
Avevo scelto il treno al posto dell'aereo perché amavo poter godere delle bellezze del paesaggio durante il viaggio e perché proprio quel dolce dondolio delle carrozze mi aiutava a riflettere.

E ripensavo agli ultimi momenti trascorsi con Lino, prima di partire.
Mi aveva accompagnata in stazione dopo aver pranzato assieme in uno dei tanti localini che solo lui sembrava conoscere. Avevamo mangiato divinamente, nonostante l'atmosfera che ci aleggiava tutto attorno fosse carica di quella tristezza che presagiva la prossima separazione.
Un cameriere, un po' in imbarazzo, gli aveva chiesto di poter scattare una foto con lui da inviare alla sua ragazza, che non ci avrebbe mai creduto che nel locale in cui lavorava da anni fosse entrato proprio lui, Lino Guanciale.
Lino non si sottrasse, anzi fu disponibile e dolce. Chiese al cameriere la ragazza come si chiamasse e gli filmò un breve video di saluto. Il ragazzo non gli aveva chiesto nulla, l'idea era venuta a lui.
Mentre armeggiava con il cellulare del cameriere, mettendo la fotocamera in modalità selfie per poter girare il video, mi lanciò uno sguardo veloce e le sue labbra mimarono la parola "scusa".
Non c'era proprio nulla di cui scusarsi, pensai io, mentre ancora una volta mi sorprendevo a scoprire quanto fosse umano, generoso, speciale.
Mi sentivo profondamente fortunata ad essere lì, al suo fianco. Potevo godere di quella versione di lui che in pochissimi avevano il privilegio di conoscere, di vivere.

Dopo pranzo eravamo saliti sulla sua Giulietta e, tra un bacio e l'altro, ci eravamo scambiati la promessa di sentirci spesso, pensarci tanto, rivederci il prima possibile.
Furono proprio queste le parole che ci dicemmo.
Poi io ero salita sul treno ed avevo preso posto nel vagone di prima classe, nel posto che era stato prenotato per me. Lui, dall'altro lato del vetro, mi salutava ancora. Poggiava la sua mano contro il finestrino, ed io facevo aderire la mia alla sua, nonostante ci fosse ancora quella maledetta lastra di vetro a separarci. Forse era meglio così. Se non ci fosse stata, quasi sicuramente non sarei stata in grado di ingoiare le lacrime, lasciarmele morire in gola.
Con le labbra mi mandò un bacio volante. E poi scandì usando labiale due parole: << mi mancherai>>.
"Anche tu, caro Lino. Anche tu mi mancherai. Da morire", pensai fra me e me.
Il mio sguardo sognante si perse nell'azzurro dei suoi occhi. Flash dei momenti che avevamo trascorso insieme mi passarono davanti, riflettendosi su quel finestrino, e tutti si andarono poi a perdere in quel suo sguardo pieno d'amore, che riusciva a lavar via le sofferenze.

Il capotreno fischiò.
Lino ruppe quell'ultimo pseudo contatto con me e, senza lasciarmi neanche il tempo di rendermene conto, il treno partì ed io andavo via, sempre più lontano da lui.

Le lacrime che prima avevo ricacciato indietro, ora scendevano senza freni ad ostacolarle. Ora che i suoi occhi non erano più incastrati nei miei, potevo finalmente sciogliere quel nodo che mi si era stretto in gola.
<< Signorina, si sente bene?>>, mi chiese una signora seduta al posto di fronte al mio.
<< Sì, signora. La ringrazio. È solo che ho appena salutato il mio... fidanzato... sono solo un po' triste!>>. Mi sembrava quasi assurdo definirlo "il mio fidanzato", quando non ero neanche certa che lo fosse realmente, ma semplificare le definizioni mi parse una buona soluzione per non dover fornire ulteriori delucidazioni.
Lo facevo spesso anche con me stessa. Funzionava.

<< E ci credo, bimba mia! Sarei triste anche io se dovessi lasciare uno così! Su, forza, non ti abbattere! Sono sicurissima che vi rivedrete presto!>>, mi rispose, sorridendomi. Risi anche io.
Trascorremmo qualche minuto a chiacchierare, mi disse che tornava anche lei a Milano dopo qualche giorno trascorso con sua figlia, che dal nord si era trasferita al sud, in controtendenza.
A chiacchierata conclusa la signora, che mi disse chiamarsi Livia e vivere a Cormano, in provincia di Milano, tirò fuori il cellulare dalla borsa ed io feci lo stesso, estraendo però dalla valigia il libro che mi aveva regalato Lino. Presi a sfogliarlo e le mie dita si posarono sui solchi lasciati dalla sua penna mentre scriveva quella dedica sulla prima pagina bianca. Immaginai la sua fronte aggrottata mentre cercava le parole giuste da scrivermi. O forse gli erano venute fuori senza sforzo, di getto, magari erano sgorgate dalla sua mano con la facilità con cui solo i pensieri sentiti sanno affiorare. Non potevo saperlo. L'unica cosa che sapevo era che quelle sue parole mi facevano bene, tanto bene al cuore.

Materialmente quel libro era l'unica cosa che avevo di suo, seppur di lui portavo segni ovunque.
Non ero la stessa di qualche giorno prima. Il mio incedere era cambiato, era divenuto più sicuro e femminile, il mio corpo era diverso, più sensibile e ricettivo, era stato amato dalle sue mani, dalle sue labbra, si rigenerava ad ogni suo tocco. Lui che appagava, leniva, risvegliava desideri. Anche la mia anima iniziava a guarire. Non c'erano più punti di sutura o cerotti a tenere insieme quei pezzi che io o gli altri avevamo frantumato. Le parti instabili di quel puzzle avevano imparato a stare insieme da sole. Erano state rammendate da un sarto espertissimo, che oltre che rimettere insieme, sapeva adornare, apporre merletti e fregi.
Con lui mi sentivo speciale, potenziata, forte, ed in quei giorni si poteva dire che fossi davvero rinata. Se ne accorgeva persino mia madre quando la sentivo su FaceTime. E le mie amiche. Loro lo avevano ribattezzato "Guanciale dei miracoli". Dicevano che era lui il mio toccasana, quell'elemento che avrebbe portato ordine, ed allo stesso tempo un po' di sano scompiglio, nella mia vita.
Pareva stranissimo, ma mi sentivo talmente me stessa che non ricordavo neanche più come fosse essere quella di qualche giorno prima.

Un trillo del cellulare interruppe i miei pensieri.

Mi manchi.

"Anche tu, Lino", pensai. Non sapevo proprio come avrei fatto a stare senza di lui. Una parte di me era rimasta lì, a Napoli con lui. Era in quella stanza d'albergo, in quella piccola enoteca vicina al teatro, giocava a nascondino nell'osteria in cui poche ore prima avevamo pranzato insieme, poi era nella sua Giulietta, che ormai conosceva a memoria l'anatomia dei nostri baci.

Anche tu. Troppo. Dovevi fare una pazzia e salire sul treno assieme a me. Adesso saresti qui ad abbracciarmi. Sei sempre troppo ligio al dovere, Guanciale!

Non me lo dire. Ci vediamo presto, te lo prometto, e nel frattempo... tu pensami!

Ti penso già e ti chiamo appena arrivo.

Brava bimba.

Trascorsi le ore successive immersa nella lettura. Sgranocchiai qualche cracker e poi chiacchierai ancora un po' con la signora Livia. Mi raccontò che sua figlia studiava a Napoli, all'Orientale, e che il suo sogno era di andare a vivere in Cina. Mi chiese anche cosa facessi io nella vita. Le raccontai qualcosa di me. Lei sembrava particolarmente stupita dai miei successi. Disse che avrebbe voluto che sua figlia diventasse proprio come me, crescendo.

Non avevo mai creduto di poter essere fonte di ispirazione o punto di riferimento per qualcuno.
Ma era una bella sensazione.

Scesi dal treno dopo un'altra ora. Milano era oltre le porte della stazione centrale. Ed in fondo mi era mancata. Dovevo ammetterlo.
A volte la odiavo. A volte mi rendeva infelice.
Però mi aveva cresciuta, mi aveva insegnato (a suon di schiaffi ben assestati in pieno viso!) l'indipendenza ed il potere della libertà, mi aveva fatta diventare la donna che ero e per quella, come per tante altre ragioni, le sarei stata grata in eterno.
Inutile negare, però, che l'idea di dover attendere tre settimane per rivedere Napoli e lui, mi faceva impazzire.

Appena l'ascensore si fermò ed arrivai nello spazioso ingresso della stazione, fui travolta dalla folla di gente che correva per afferrare l'ultima coincidenza, per rientrare a casa. I miei pensieri si confusero fra i volti delle persone che incontravo lungo il mio percorso. Per un attimo la mancanza di lui si affievolì, per poi riaffiorare prepotente come non mai una volta che le mie gambe stanche di furono posate sul letto di casa mia.

Sono arrivata sana e salva. Buonanotte, Lino!

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