30. Famiglia

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L'amaca resse.
La famiglia Guanciale non interruppe.
Mi addormentai fra le sue braccia ed in quello stesso meraviglioso posto mi risvegliai.
Lui leggeva. Fronte corrugata ed occhi fissi sulla pagina.
Mi mossi leggermente, per attirare la sua attenzione. Mi piaceva scoprire cosa avrebbe fatto lui. Come avrebbe risposto ad un mio cenno, ad un mio gesto.
Ci sono risposte inconsce, che il nostro corpo mette in atto in automatico quando amiamo qualcuno. Quelle reazioni così estemporanee, che non è possibile premeditare, già portano in sé il sentore del sentimento, dell'affetto e della cura che riserviamo all'altro. Sono fatti corporei, istintivi, non dominati dalla ragione.
Allora mi stiracchiai leggermente e la sua mano, che giaceva rilassata sul mio ginocchio, si spostò immediatamente verso il mio viso, che si aprì immediatamente in un sorriso grato:
<< Buongiorno, amore! >>.
Mugugnai qualche verso sconnesso e voltai il mio viso verso il suo. Aspettavo che mi baciasse. Gli lasciavo lo spazio per farlo, proprio come lui aveva fatto con me nella nostra prima notte insieme.
E in effetti, se quella notte fare l'amore era stato per noi un fatto del tutto naturale, inevitabile, quasi il prodotto di un istinto animalesco che ci aveva assaliti entrambi, baciarsi, al contrario, era stata una scelta. Una libertà che ci eravamo concessi, che lui aveva lasciato fossi io a scegliere se prenderci, oppure no. L'istinto selvaggio aveva ceduto il passo alla dolce e pura passione.
I baci erano per noi espressione di intimità allo stato puro e significavano, proprio come quella volta a Napoli, nella mia camera d'albergo, che noi sceglievamo di essere lì. Che lo volevamo. Che ci volevamo. Oltre il desiderio. Oltre la passione del momento.

E allora mi baciò, guardandomi dritto negli occhi per qualche istante ancora prima di farlo.
Presi il suo volto così prezioso fra le mani ed accarezzai la sua barba leggermente incolta. I suoi occhi mi raccontavano di viaggi, sogni, desideri, che ero certa insieme avremmo realizzato. La barba era più lunga del solito, mi pizzicava le porzioni di pelle, che con essa entravano in contatto. Si stava preparando ad interpretare un nuovo personaggio, e questo richiedeva un look molto simile a quello sfoggiato dal nonno di Heidi.
Era bellissimo anche così.
Selvaggio e tutto mio.

<< Ti lascio leggere ancora un po' in tranquillità, amore. Vado in casa a vedere se tua mamma e Francesca hanno voglia di un caffè >>, gli dissi, ad un passo dal suo naso.
<< No, resta! Si sta così bene qui! >>
<< Torno presto, promesso! >>.
Gli accarezzai la guancia e poi strinsi una ciocca dei suoi capelli nella mia mano. Tirai leggermente, in modo che il suo volto fosse più vicino al mio.
<< Lino >>
<< Dimmi, amore >>
<< Ti amo tanto. Lo sai, vero? >>.
Mi strinse forte a sé. Sapeva che quello di esprimere i sentimenti a parole non fosse proprio il mio sport preferito, sapeva quanto mi costasse farlo e che, quando lo facevo, era perché davvero avvertivo quelle parole esplodermi così forte nel petto, nella gola, che, anche a costo di forzare la mia volontà, sarebbero venute fuori comunque, a tutti i costi.
<< Ti amo tanto anche io, Sara. Ma ora vai, altrimenti non rispondo di me... di nuovo! >>, mi disse, stringendomi ancora a sé per un lungo istante, << Facciamo che questo... chiamiamolo "bonus relax", lo potrò reclamare più tardi! Non vedo l'ora! >>
<< Ah... non sapevo che fare l'amore in mezzo alla campagna dalle vostre parti si definisse "bonus relax"! >>, dissi, disegnando con le dita le virgolette in aria, << Che terminologia avanguardistica! >>
<< Qui in Abruzzo siamo sempre pronti a coniare nuovi termini... e sperimentare nuove posizioni! >>.
Rise e fece ridere anche me, come sempre, a crepapelle.
Scesi dall'amaca accompagnata dalle sue braccia forti, che tante volte nelle settimane precedenti mi avevano sorretta, spinta oltre i momenti non belli, accompagnata in quegli attimi che avrei voluto dimenticare il più in fretta possibile. Si erano aggrappate a me, mi avevano tenuta saldamente ancorata alla vita, quando le mie forze non erano abbastanza per farlo da sole.
Privata delle sue mani su di me, mi diressi in casa, dove Francesca, Maria Pia e Paolo Clelio giocavano con le costruzioni.
<< Posso unirmi anche io? >>, chiesi al bambino.
<< Sì, zia Sara, finalmente sei arrivata! Ti stavamo aspettando! >>.
Sentire Paolo Clelio rivolgersi a me utilizzando così in fretta quell'appellativo mi commosse profondamente, perché io mi sentivo già parte di quella famiglia, mi sentivo accolta e benvoluta, anche se li conoscevo, a conti fatti, da qualche ora appena.
<< Perfetto, grazie Paolo Clelio! >>.
Mi sedetti accanto al bambino ed alle altre donne della famiglia ed il progetto di costruzione del castello più grande del mondo riprese a ritmo sostenuto. Giorgio e Clelio, nel mentre, guardavano dal divano la Formula 1.

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