14. La resa dei conti

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L'aria di Napoli era insopportabilmente afosa. O forse era solo l'ansia che mi attanagliava ad impedirmi di respirare tranquillamente.

Io e Lino passeggiavamo mano nella mano lungo un corso nei pressi del mio albergo. C'era gente seduta ai tavolini dei bar, nonostante fosse ormai notte fonda. Ostentavamo un certo grado di serenità, ma eravamo entrambi consapevoli che fosse solo di facciata.
Io serena non lo ero affatto.

Ad un certo punto non ce la feci più a far finta che tutto stesse filando liscio come l'olio. Sganciai la mia mano dalla sua e mi sedetti su di una panchina poco distante. Lui mi si avvicinò, restando in piedi di fronte a me. Mi sfiorò la guancia sinistra con un dito ed io sollevai il mio sguardo, che immediatamente incrociò i suoi occhi. Sembravano sereni, inspiegabilmente per me, che ero tesa come una corda di violino.
Lui, dal canto suo, sembrava perfettamente in pace con se stesso e con il mondo.

Pensai di essere la sola a subire uno smottamento interiore tanto profondo e forte da stare male fisicamente.

Iniziai a pormi mille domande. Erano interrogativi su di lui, sulle motivazioni celate dietro tutta quella sua nonchalance, su quello che mi avrebbe detto, e, per impedirmi di continuare a rimuginare e macinarci sopra, mi decisi a parlargli schiettamente:
<< Lino, non ho più voglia di camminare! Adesso dobbiamo parlare. Dai, siediti!>>.
Non si fece pregare. Si mise a sedere al mio fianco e mi prese una mano fra le sue, stringendomela forte.
<< Sara, Sara, Sara... ma quanto sei testarda, eh!? Non sai proprio aspettare! Ti ho chiesto di rimandare questo discorso solo perché volevo essere più calmo quando lo avremmo affrontato. Sai, quella valigia pronta, vicino alla porta, mi ha fatto riaffiorare alla mente una serie di brutti ricordi, di immagini che ho cercato di dimenticare...>>, si interruppe, ma io non intervenni ad inframezzare il suo discorso con le mie parole.
Mi ero ripromessa di bere le sue di parole e di cercare di assimilarle, di digerirle come meglio mi riusciva. In religioso silenzio.
<<... sai, non è la prima volta che mi trovo in una situazione come questa. Molte delle mie storie sono finite a causa della lontananza, delle mancanze, delle assenze, ma la motivazione di fondo delle mie rotture... è sempre stata il mio lavoro. Sono tanto impegnato, forse troppo! La mattina mi sveglio in un posto e magari la sera sono da tutt'altra parte. Dormo in macchina, viaggio costantemente. Sono a teatro, sono sui set, sono in tv. Il tempo che mi resta per me stesso e per le persone che amo è davvero poco, pochissimo. Ma è una mia scelta... ed ho imparato a conviverci. Mi sono ripromesso solo una cosa: dedicarmi anima e corpo alle persone che amo nel momento in cui le ho vicine. Questo la mia famiglia lo sa e lo accetta. Ho capito che per raggiungere i miei obiettivi qualcosa la devo sacrificare...>>.
Si interruppe nuovamente.

Avevo subodorato le cause del suo raffreddarsi, del suo procrastinare il famoso "dobbiamo parlare", ma le sue parole così sincere mi spiazzarono ugualmente, perché si stava fidando di me, mi stava aprendo l'ennesima piccola porta di accesso sul suo mondo. Ora mi restava solo da capire se lo stesse facendo per giustificare un distacco definitivo, oppure no.

Riprese a parlarmi, le sue mani erano strette ancor più forte attorno alla mia.
<< ... e l'ho fatto tante volte. Ho sacrificato l'amore. Ci sono state due donne importanti nella mia vita, una delle due la volevo addirittura sposare! Poi lei mi ha detto che non ce la faceva più a vedermi una volta ogni due mesi o più. Voleva una famiglia, voleva un uomo presente, un compagno su cui poter fare affidamento sempre. Uno che non lasciasse tutto irrisolto perché doveva scappare a recitare a mille chilometri di distanza. Con entrambe i dissapori si trasformavano in lunghi silenzi, in ammutinamenti addirittura, in un mix di amarezza e livore, fino a quando non si arrivava all'inevitabile rottura definitiva. Erano sfinite dal mio ritmo di vita. Da me>>.
Ancora una volta si fermò, come per cercare di riorganizzare quei pensieri, che scorrevano veloci nella sua mente, in un discorso di senso compiuto.
<< ... ed ora sono qui di nuovo, Sara. Mi trovo di nuovo allo stesso bivio. E se in questi ultimi anni sono sempre riuscito ad impormi di non mettere più una donna nella condizione di soffrire per me, per avermi al suo fianco, io con te non ci riesco. A te sento di non riuscire a rinunciare. E non è per il sesso, anche se ormai lo hai capito quanto la tua pelle nuda mi faccia impazzire. Non è perché sei così bella. È per i tuoi occhi. Questi tuoi occhi verdi mi hanno fregato. Stregato. Li guardo e vedo la tua anima. Non hai filtri, non hai muri, anche se cerchi in tutti modi possibili di sollevarli per proteggerti. Persone così pure come te non se ne trovano più. Ed io vedo la persona speciale che sei. Vedo quanto sei bella dentro. Ho visto quanto ami la tua famiglia, con quanta dedizione ti applichi sul lavoro, quanta passione ci metti. Ho capito che quello che hai te lo sei sudata a suon di sforzi e di rinunce. E, per questo e mille altri motivi, so perfettamente quanto io sia fortunato ad essere qui con te in questo momento. Questi due giorni assieme a te sono stati fantastici. Non stavo così bene con una donna da troppo tempo. Mentre cenavamo ho pensato a cosa sarebbe stato giusto fare...>>.

Ecco. Ora arrivava la parte dolente. Ero davvero pronta ad assorbire il suo rifiuto? E, per converso, ero davvero pronta a tuffarmi con lui verso l'ignoto, qualora mi avesse detto che voleva stare con me?
Paura ed ansia ormai mi asserragliavano completamente.

<< Sara, io... ho pensato di lasciare a te la scelta. Io ti ho detto quello che penso di te e anche quanto la mia vita sia complicata. Ora sai tutto. E ora tocca a te scegliere se provarci, o archiviare questi giorni come ricordi di una stupenda passione, di una grande connessione di spiriti e corpi>>.
Si zittì. Restava in attesa di un mio cenno.

Mi alzai di scatto dalla panchina. Non potevo credere a quello che le sue parole stavano scatenando in me.
Se fino a qualche minuto prima ero certa che parole di quel tipo mi avrebbero spinta a saltargli al collo, urlante di gioia, un secondo schiaffo di realtà mi colpiva in pieno viso.
Mi aveva detto che il suo lavoro aveva distrutto tutte le sue relazioni precedenti. Ed allora, cosa c'era di così diverso fra me e lui, che lui non avesse già avuto con un'altra donna, prima di conoscere me? Perché proprio io, proprio noi, saremmo stati in grado di superare tutte quelle difficoltà che avevano sfasciato tutti i suoi legami precedenti? Cosa c'era di tanto speciale che ci univa?
Non potevo credere che per le donne con cui era stato, o anche solo per quelle due che lui riteneva davvero importanti, non avesse mai pensato di cambiare stile di vita. Il suo lasciare a me la scelta era come dirmi: "io sono questo. Questa è la mia vita e non ho alcuna intenzione di cambiarla. Che fai? Ci stai? Ti adatti?".
Pensai che fosse troppo comodo spiattellare tutte quelle verità e poi lasciare a me il compito di decidere cosa fare di noi! Non volevo che tutta la responsabilità di una fine o di un inizio ricadesse sulle mie spalle, sulle mie scelte, e non potevo credere che lui potesse veramente essere così freddo da accendere e spegnere i sentimenti così, come se lo si potesse fare premendo un semplice interruttore. Non riuscivo a concepire il fatto che per lui fosse così facile rinunciare a me, a come eravamo stati, a quel noi, anche piccolissimo ed embrionale, che si stava creando, qualora avessi deciso di dirgli che no, non avevo voglia di fare un salto così pericoloso con lui.
Le sue parole mi facevano pensare che per lui avermi o non avermi al suo fianco fosse la stessa cosa. Io, dal canto mio, non riuscivo proprio ad immaginare che dal giorno dopo sarei stata a Milano e che tutto sarebbe finito!

Mentre mi parlava lui sembrava sereno.
Io, al contrario, mi arrovellavo il cervello per cercare di decidere, soppesare le opzioni. Mi chiedevo come mai non fossi già fra le sue braccia, che erano il luogo in cui più avrei voluto stare al mondo, ma mi ostinassi a camminare avanti e indietro sul marciapiede da chissà quanti minuti. Mi voltai verso Lino. Era ancora seduto su quella stessa panchina e si teneva il volto stretto fra le mani. Guardava in basso e sembrava stanco, terribilmente stanco.

Forse non era poi così sereno come sembrava.

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