23. Un rifugio dai problemi

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Era giunto il momento di affrontare la realtà: quello che mi era successo, e quello che sarebbe potuto succedere se solo non fossero arrivati gli agenti di polizia a salvarmi, mi aveva cambiata e, forse, non sarei mai più stata la stessa di qualche giorno prima.

Erano già trascorsi due giorni da quel terribile pomeriggio ed io non avevo fatto altro che dormire, collegata alle macchine, che ronzavano tutto attorno al mio letto d'ospedale.
Medici, paramedici ed infermieri entravano ed uscivano a turno dalla mia stanza, confabulavano fra loro. Non riuscivano proprio a capacitarsi di cosa ci fosse di sbagliato in me, di cosa fosse andato storto. Sulla carta le mie condizioni di salute erano ottimali. Mi avevano persino fatto una risonanza magnetica al cervello, al fine di escludere cause organiche sottese al mio stato di totale mancanza di reattività agli stimoli esterni, ed anche lì non c'era nulla che non andasse. Per grazia ricevuta non avevo subito gravi traumi o violenze fisiche, perciò si poteva escludere una compromissione degli organi interni o delle funzioni vitali. A parte qualche livido ed un occhio ancora leggermente tumefatto, i miei valori erano perfettamente nella norma. Già questo al personale sanitario sembrava sufficiente perché io mi alzassi dal letto e, senza troppi problemi o inutili paranoie, ritornassi a condurre la vita di sempre.
Non era così, purtroppo.
Essere in salute fisicamente non era sufficiente, non si traduceva automaticamente nello star bene per davvero. Perché c'era l'altra parte da prendere in considerazione, quella che molto spesso viene trascurata, rinnegata: era la mia mente quella che non voleva rispondere.

Il mio cervello stava affrontando la lotta più dura, stava provando a cancellare, a reprimere ciò che mi era successo, e le forze gli venivano meno, perciò si rifugiava in un sonno talmente pesante, che era quasi impossibile risvegliarlo. Ed io ero con lui, a lottare, perché lui era in me.

Nei rari momenti di veglia, in cui il peso delle mie palpebre si alleggeriva leggermente e si creava un piccolo spiraglio perché il mondo esterno vi si potesse infiltrare, riuscivo a distinguere le voci di chi si avvicendava al mio capezzale e, fra tutte, quella di Lino mi faceva scendere le lacrime, tanto dolce, premurosa ed infinitamente preoccupata era.
Ma io non volevo rispondere alle domande, non volevo dover dare spiegazioni.
Non volevo ricollegare quello spinotto alla presa che mi avrebbe riconnessa al mondo.
Si stava così bene in quel limbo.
Non c'erano monti da scalare, oceani da attraversare.

Una psichiatra era venuta a trovarmi il giorno prima, ma non aveva potuto fare granché, dato che il mio totale mutismo ed il mio stato di incoscienza negavano ogni possibilità di contatto, di connessione. Mancava la scintilla che riattiva, che rimette in moto.
Se ne andò ripetendo quello che tutti gli altri medici non avevano mai smesso di dire alla mia famiglia, alle mie amiche ed a Lino sin dal primo momento: una specie di shock aveva colpito il mio sistema e nulla poteva riportarlo al normale funzionamento, se non io stessa. Dovevo essere io a scegliere di farlo funzionare nuovamente, stava a me a tornare ad abitare quel corpo, ormai del tutto martoriato dagli aghi.

Lino era con me ogni giorno.
Potevo sentirlo interrogare i medici e fare a me domande a cui sapeva già che non avrei risposto. Non perdeva la calma con loro, non demordeva con me, continuava a parlarmi, nella speranza di risentire la mia voce.
Avrei tanto voluto che un suo bacio mi ridestasse come era accaduto a Biancaneve col principe, dopo aver mangiato la mela avvelenata, ma lì di avvelenato oramai c'era solo il mio cuore, che non riusciva più a distinguere il bene dal male, l'affetto puro dalla violenza, l'amore dalla morte.
Buio e luce si mischiavano in un torpore che non lasciava scampo.

<< Sara, amore, svegliati ti prego! Non ce la faccio a vederti così, attaccata a queste macchine. Vorrei tanto aiutarti, ma non so più cosa fare. Ti prego, Sara! Ora conto fino a tre e... e tu ti svegli, d'accordo? >>.

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