34. Di fronte ad un bivio

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Lino mi stringeva a sé ed io accarezzavo i suoi capelli distrattamente. Se le mie mani sfioravano la sua pelle, le sue spalle e le sue braccia, come se non fosse successo assolutamente nulla, la mia mente era già proiettata fuori casa sua, immersa in pensieri che preferivo non condividere con lui in quel preciso istante.
Sapevo perfettamente che i miei dubbi, le mie reticenze, lo avrebbero rattristato. Non me li avrebbe fatti pesare, avrebbe capito, come aveva sempre fatto, ma non sopportavo che la mia paura di un momento (perché speravo si trattasse solo ed unicamente di quella!) finisse per rabbuiarlo o fargli dubitare anche per un secondo dell'amore che provavo per lui.
Preferivo digerire i miei sentimenti, analizzarli per conto mio, magari farlo anche dinanzi ad una bella tazza di caffè con Sofia ed in una chiacchierata su FaceTime con mia mamma, e poi affrontare la questione con lui. Confrontarmi con le donne della mia vita mi avrebbe certamente rasserenata, mi avrebbe aiutata a rimettere tutti i tasselli al proprio posto. A ridimensionare, a ridurre tutto alle giuste proporzioni.
I giorni trascorsi con Lino in Abruzzo mi avevano aiutata a venir fuori da un periodo nero, anzi nerissimo. La sua famiglia mi aveva investita di tutto quell'affetto che mi era mancato nell'ultimo periodo, ma non riuscivo ancora a rimuovere completamente quanto fosse successo con Diego. I ricordi non erano scomparsi, erano solo saldamente sigillati in un baule che avevo spinto in fondo alla memoria, e che ogni tanto dalle serrature lasciava sfuggire qualche piccolo dettaglio, qualche minuzia, che tornava prontamente a tormentarmi. Ed a farmi dubitare di essere forte, capace, degna. Soprattutto di quell'amore.
Era un continuo sforzo alla ricerca dell'equilibrio il mio. E Lino in questo si era dimostrato essere quella variabile che di volta in volta, ad ogni oscillazione, era in grado di correggere i miei sbilanciamenti. Questa volta, però, c'era lui di mezzo e, proprio per questo, era necessario che io tornassi a lottare di nuovo da sola.
Forse stavo sbagliando a non coinvolgerlo, ma
posta dinanzi ad una decisione così importante, proprio come nei momenti in cui mi sentivo messa alle strette perché assalita da dubbi e paure, avevo imparato che dovevo essere io per prima a comprendere. A comprendermi. Dovevo essere io a scavare in me stessa per capire la natura profonda delle mie paure, le cause scatenanti dei miei timori, e, soprattutto, sarei stata sempre io a dover decidere del mio futuro ed a lottare perché prendesse la piega che io avevo scelto. Non avrei mai sopportato l'idea di vivere una vita distante dai miei sogni o orchestrata da qualcuno che non fossi io.
Dunque, nonostante tutto il supporto e l'aiuto del mondo, quelle paure dovevo affrontarle da sola, prima che con lui, dovevo scavare io nelle mie risorse e ritrovare il coraggio di prendere la vita per le corna, per poi riportarla sotto il mio controllo.
Quello che mi era successo mi aveva fatta crescere, mi aveva resa forte, ma anche infinitamente fragile ed insicura. Mi faceva dubitare di me stessa, delle mie capacità e del mio valore.
Sarei stata una buona madre?
Sarei stata una moglie all'altezza di un uomo come Lino?
Ero davvero la donna che lui avrebbe voluto al suo fianco per tutti gli anni a venire?
Sarei stata in grado di rifarmi una vita a Roma?

E poi c'era quella vita a Milano a cui ero legatissima, quella a cui non vedevo l'ora di far ritorno.
C'erano i miei viaggi nelle metropolitane, il mio scapicollarmi per arrivare in ufficio in orario, i progetti che i capi mi assegnavano, l'adrenalina che sentivo scorrere veloce nelle vene ogni volta che ricevevo un complimento sul lavoro, il ticchettio delle scarpe col tacco nei corridoi dell'azienda e quello che mi portavano su, a casa, c'erano quelle Louboutin nuove, che da quando ero uscita dall'ospedale non avevo più indossato, e poi c'era casa mia, la mia poltrona vicino alla finestra, le chiamate con mia madre la sera tardi, i calici di vino rosso e le cene sulla veranda... e poi la nebbia, quella densa ed onnipresente nebbia milanese.
Mi sarebbe mancata persino quella.

Quei pensieri mi accompagnarono per tutto il tragitto che dalla Garbatella mi condusse fino in stazione. Lino era parecchio taciturno e, nonostante i miei maldestri tentavi di celare quei conflitti interiori, aveva capito perfettamente che qualcosa fosse andato storto. Scesi dalla Giulietta e lui prese le valigie dal baule posteriore.
Mi soffermai a pensare agli ultimi minuti che avevamo trascorso in casa sua. Lui intento a rovistare negli armadi per preparare la valigia per Napoli ed io seduta in terrazza, con lo sguardo perso nel nulla. In retrospettiva, pensai che avrei di gran lunga preferito trascorrere quegli ultimi minuti fra le sue braccia, inaugurando quel letto così morbido e confortevole, ma nella vita non si può vivere di rimpianti. Lo annotai mentalmente e, nel farlo, ricordai le esatte parole che mi diceva sempre mia nonna: " Sara, a nonna, nella vita è sempre meglio vivere di rimorsi che di rimpianti!".
I rimorsi dimostrano che per lo meno ci abbiamo provato ad essere felici.

Strinsi fra le braccia il corpo del mio uomo, facendo aderire ogni possibile centimetro della sua pelle alla mia. Respirai il suo profumo buono. Registrai in memoria tutti i suoi tratti, i dettagli di quel suo volto stanco ed un po' preoccupato. Mi seccava non poterlo rivedere per così tanti giorni, ma forse la distanza mi avrebbe aiutata a capire meglio, a prendere la giusta decisione.
Ci baciammo a lungo, incuranti del capannello di gente assiepato tutto attorno a noi, diretti tutti, proprio come me, al binario 8.
Gli strinsi le mani nelle mie e lo guardai negli occhi. Lino prese a parlare:
<< Amore, non so bene cosa ti stia frullando in questa testolina>>, sorrise, mentre mi batteva con due dita sulla fronte, << ma sappi che io ci sono, che a me puoi dire tutto, che se hai qualche dubbio, se hai paura, possiamo parlarne. Senza problemi! Lo sai, vero? >>.
E come avrei mai potuto dirgli che avevo un dubbio così grande che avrebbe messo in crisi anche lui?
Volevo essere mamma? Volevo essere moglie? Volevo lasciare Milano? E tutto questo per lui?
Non lo sapevo ancora.
Confessare dei dubbi così essenziali, dei dubbi che andavano contro tutto quello che ci eravamo detti negli ultimi tempi, contro tutto quello che avevamo sognato di realizzare assieme, contro quella che era la sua idea di futuro, mi sembrava un fatto di una crudeltà inaudita, perciò rimasi in silenzio.
Alla fine dissi solamente: << Lo so, amore, lo so. Non ti preoccupare. Ti amo>>. Lo strinsi in un abbraccio che sapeva tanto di cose definitive. Di addio.
<< Fai buon viaggio. Ti amo >>, mi rispose.
Gli feci un occhiolino e mi infilai nella carrozza 13, mentre una lacrima scorreva sulla mia guancia.

Ero in confusione.
Estrema confusione.

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