21. Un ritorno inaspettato

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Marano sul Panaro (MO).

Ero arrivata da qualche minuto nella campagna modenese e già il profumo della natura incontaminata si era infilato prepotentemente nelle mie narici, poco abituate alla salubrità dell'ossigeno puro, perché sin troppo use all'aria satura di smog milanese.
Mancavano ancora pochi tornanti e poi sarei arrivata a destinazione. L'autista mi aveva recuperata in stazione a Modena e, con estrema facilità e maestria, date sicuramente dalla conoscenza dei luoghi, si era orientato fino a Marano Sul Panaro, un comune abitato da circa 5000 anime nell'entroterra modenese.

Appena giungemmo al casale di campagna, che mi sembrò molto più desolato e mal tenuto di quanto apparisse nelle foto che mi erano state inviate, l'autista spense il motore, inserì il freno a mano, scese dall'auto e recuperò il mio bagaglio dal cofano della vettura. Scesi anche io, affrancandolo dal peso delle borse che mi ero portata dietro e ringraziandolo. Lui si rinfilò al posto di guida e ripartì, lasciandomi sola in mezzo alla grande aia antistante il casale. Il sole mi batteva dritto in faccia così prepotentemente che nemmeno gli occhiali riuscivano a schermarlo ed io faticavo persino a vedere cosa ci fosse appena davanti a me. Capii che qualcuno mi si stava avvicinando solo perché potevo sentirne chiaramente i passi sul selciato.

<< Buongiorno, Sara >>.
Quella voce mi fece venire i brividi.
Erano anni che non la sentivo ed in quel momento tornava prepotente a colpire le mie orecchie.
Schizzai indietro immediatamente, come chi si avvicina troppo ad una fiamma e si scotta.
<< Sara, che ti prende? Non mi saluti nemmeno? >>.
Indietreggiai ancora. Il mio corpo era fuori controllo, sembrava rispondere istintivamente al suo sempre di più avvicinarsi a me.
<< Dove te ne vai? Vieni qui, salutiamoci come persone adulte! Smettila di fare la ragazzina, su! >>.
Non sapevo cosa fare. La sua presenza mi turbava. Immediatamente riaffiorarono ricordi che avrei voluto dimenticare, ma che si ostinavano invece a rimanere lì, abbarbicati nei meandri della mia coscienza, come annidati sul fondo di una bottiglia che nessuno era riuscito mai a scrostare!

Era Diego.
Era l'uomo che più avevo amato nella mia vita ed anche quello che più mi aveva fatta soffrire.

Frugai nella borsa alla ricerca del mio telefono, solo per scoprire che in quel posto dimenticato dal mondo non c'era campo.
Mi voltai allora verso di lui. Non gli avevo ancora rivolto la parola, non lo avevo ancora guardato negli occhi, ma mi feci forza, perché scappare non si poteva. Non conoscevo il posto, non conoscevo nessuno. Ci avrebbe messo un attimo a ritrovarmi, se solo le sue intenzioni fossero state quelle che i suoi occhi iniettati di rabbia e disprezzo mi facevano presumere.
Ripetei dentro di me, come fosse un mantra, che io ero più forte di lui, di quel suo sguardo che pensavo potesse arrivare a perforarmi il cuore, perché gia lo aveva fatto una volta, io ero più forte dell'idea che avevo, che lui mi conoscesse a menadito. Perché non era vero. Lui non mi conosceva affatto.
Il tempo che avevo trascorso con me stessa prima, e con Lino poi, mi aveva mostrato chi fossi veramente. Quella versione di me che tanto mi piaceva, che tanto mi rendeva orgogliosa, fiera di me stessa, lui non la conosceva affatto.
Nessuno avrebbe potuto strapparmela via.
Nemmeno lui.
Nemmeno i suoi occhi fissi su di me, che, nonostante tutto, sembravano ancora in grado di far vacillare le certezze.

Presi il coraggio a quattro mani ed iniziai a parlargli:
<< Buongiorno, Diego! >>.
<< Ah, allora non hai perso l'uso della parola!? Ce la fai ancora a mettere due parole in fila! >>
<< Ce la faccio benissimo, stai tranquillo! Non devi più preoccuparti per me adesso! Me la so cavare da sola! >>
<< Di questo non sono molto sicuro. Io mi preoccupo sempre per te... anche se non ci vediamo, anche se tu hai cambiato vita e sei di un altro. Io sono sempre qui, ad un passo da te! Lo sai, vero? >>.
Quelle parole mi fecero rabbrividire, ma non osai provocarlo ulteriormente, poiché sapevo che lì, da sola, praticamente senza contatto con il resto del mondo, non avrei avuto scampo se lui si fosse alterato.
<< Dimmi perché sono qui. Devi ristrutturare il casale, vero? >>, cercai di cambiare argomento, sperando di distrarlo.

Era molto cambiato dall'ultima volta in cui lo avevo visto, quando ci eravamo lasciati e mi aveva costretta a tornare a casa a piedi sotto la pioggia battente.
Era ingrossato leggermente, i capelli erano diradati, gli abiti sciatti, e sembrava molto più brusco ed intrattabile di un tempo. Mi dava l'idea di un uomo che, laddove non arrivava con le buone, ci riusciva comunque usando la violenza. E questo mi faceva paura.

<< Sì. L'ho avuto in eredità da mia zia, la zitella, ed appena uscito dal notaio, ho subito chiamato il tuo studio per chiedere di dare a te il compito di rimetterlo a nuovo. Sai, ho saputo che adesso frequenti i bellocci della televisione e quindi ho detto fra me e me: "fammi un po' vedere Sara come si è ridotta, adesso che la da a tutti, cani e porci". Ti trovo bene però, sei in gran forma! >>, disse, indugiando con sguardo viscido e pervertito sulle mie curve.
Se gli occhi di Lino su di me scatenavano rivoli di piacere, quelli di Diego provocavano solo disgusto.

Mi chiesi come avessi fatto a stare con un uomo del genere per così tanto tempo, senza accorgermi di chi veramente fosse.
La risposta era una sola. Bastava guardarmi attraverso i suoi occhi come in uno specchio, perché quelli di Diego riflettevano esattamente il valore che io davo a me stessa.
Da quando quel valore era cambiato, si era esponenzialmente accresciuto, le sue parole non erano più in grado di ferirmi. Erano solo le parole di un povero disadattato, che aveva bisogno di sottomettere una donna, di farla sentire una nullità, pur di sentirsi lui grande e forte.
Non lo era. Non era né grande, né forte.
Era solo un pover'uomo, un uomo che dalla vita non faceva altro che prendere schiaffi, collezionare delusioni.
Nondimeno, ero da sola con lui, persa nel nulla, e questo non mi faceva stare tranquilla.

<< Ti ringrazio per il complimento. Che ne dici ora di fare un giro nella proprietà? Così vediamo insieme cosa si può fare per riportarla a nuovo!? >>.
Assentì e ci incamminammo assieme all'interno del casale. Dopo aver visionato le varie stanze e dopo aver sentito lui che mi raccontava come le avrebbe trasformate in "scannatoio per le sue pollastre", testuali parole, raggiungemmo l'ampia terrazza, che affacciava sulla vallata e da cui si poteva vedere distintamente il paese.

Sentii il mio cellulare vibrare nella borsa.

Un miracolo.
Lassù il cellulare prendeva.

L'aria libera da costruzioni ed alberi si sarebbe forse rivelata la mia unica via di salvezza.
Ringraziai di aver tenuto il telefonino in modalità silenziosa e mi affrettai a richiamare Diego, che nel frattempo si era messo a spostare delle tegole rotte, poco distante da dove mi trovavo io.
<< Diego, mi faresti un favore? Sono stata una stupida ad aver messo queste scarpe, mi fanno scivolare! Potresti tornare tu un attimo giù e prendere dalla mia borsa il metro? Ho paura di cadere e farmi male! >>
<< Sei sempre la solita! L'ho sempre detto io che sei un disastro! Non ho mai conosciuto un essere umano più inutile di te! Torno subito e tu nel frattempo non fare altri danni, sono stato chiaro? >>
<< Stai tranquillo, me ne sto qui buona buona e ti aspetto! >>.
Ero del tutto remissiva con lui, forse perché mi rendevo conto che questo era l'unico modo rimastomi per tenerlo calmo.
Sembrava stesse funzionando.
L'ultima cosa che mi restava da fare era impedire che le sue parole si infiltrassero dentro di me, colpissero le mie debolezze... ah e, ovviamente, telefonare a qualcuno, perché mi portasse via di lì.

Un Lino... è per sempre!Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora