31. Fra le sue braccia

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La nostra breve permanenza in Abruzzo volgeva già al termine. Era triste pensare che avremmo avuto ancora qualche ora di gioco con Paolo Clelio e le sue costruzioni, una serata a base di buon vino e arrosticini ed una colazione in famiglia, e poi saremmo dovuti ripartire. Lino avrebbe fatto ritorno a Napoli, sul set di "Non dirlo al mio capo", ed io, dopo più di un mese di assenza, sarei partita da sola alla volta di Milano, dove il mio lavoro mi attendeva. Il periodo del congedo per malattia si era esaurito, tristemente.
Sapevamo che prima o poi sarebbe successo, che i nostri lavori ci avrebbero spinti verso direzioni opposte, ma sapevamo anche che, nonostante tutti i chilometri a separarci, noi, ad impegni conclusi, saremmo sempre stati in grado di convergere verso lo stesso punto. Ritrovarci. Ce lo eravamo promessi proprio la notte in cui quell'anello al dito aveva assunto il valore che ogni promessa porta con sé. Quella, nello specifico, voleva dire che noi eravamo per sempre. Io e lui. Insieme.
Perciò quell'ultima serata da trascorrere tutti insieme prese a non sembrar più così terribile o temibile. Me lo aveva ricordato lui qualche tempo addietro del resto, il tempo che si può spendere con chi si ama non va mai sprecato nel pensare a quanto brutto sarà essere lontani appena si riparte, ma va vissuto appieno, in tutta la sua bellezza.

Paolo Clelio era ancora indaffarato a costruire il torrione con mamma Francesca e papà Giorgio. Lino abbracciava sua mamma, che non faceva altro che fare la spola tra cucina e salotto, portando con sé vettovaglie di vario tipo, che io e lui avremmo dovuto portare con noi per il viaggio del ritorno. Ci sarebbero bastate per i prossimi due anni, pensai, data la quantità di cibo, vino ed altro ben di dio che la signora Maria Pia depositava vicino alla porta d'ingresso, perché non ci dimenticassimo di portar tutto via con noi. Lino strinse sua mamma forte a sé, quasi a volerle impedire l'ennesimo viaggio. Risero assieme, complici e felici.
Mi voltai per cercare con lo sguardo papà Clelio, ma lui era già fuori, dinanzi al barbecue ad arrostire carne. Al sol pensiero di mangiare arrosticini anche per cena la mia bocca già salivava.
Mi avvicinai a Maria Pia, anche se mi dispiaceva rompere quel momento così dolce con il suo primo figlio, e le chiesi di indicarmi dove fossero le stoviglie e l'occorrente per preparare la tavola. Lei avvolse anche me in un dolce abbraccio e mi disse, non rispondendo esattamente al mio quesito di partenza:
<< Sono proprio felice che tu sia qui >>.
Quelle parole così spontanee ed estemporanee mi emozionarono profondamente ed allo stesso tempo mi ricordarono Lino, i suoi modi, le sue uscite improvvise. C'era tanto di sua madre in lui ed ero sicura che, conoscendo meglio Maria Pia, ancora tante altre cose di lei avrei ritrovato in lui.
<< Grazie, Maria Pia. Qui mi sento a casa! >>.
Ci tenemmo strette ancora per qualche istante in quell'abbraccio, a cui Lino assistette da vicino, orgoglioso e felice.
<< Bene! >>, mamma Maria Pia ruppe il contatto ed il silenzio, << Ora questo signorino qui >>, ed indicò Lino, << Ti mostrerà dove sono tutte le cose che servono per prepare la tavola, se ancora se lo ricorda, e poi ti darà anche una mano! >>
<< Va bene, mamma! >>, disse Lino e mi sembrò di essere ritornata indietro negli anni ed aver potuto ricevere il dono di vederlo bambino, ubbidiente e gentile, come sapevo essere stato. Un regalo dopo l'altro, insomma!
Maria Pia mi fece l'occhiolino, complice, e con una leggera spintarella ci spedì in cucina, dove, presumevo, avremmo trovato tutto quello di cui avevamo bisogno.
Lino mi mise un braccio attorno alle spalle ed uniti raggiungemmo la credenza, per prendere la tovaglia ed i piatti. Ci volle poco perché iniziasse un gioco di rincorse e strusciamenti vari. Stendemmo la tovaglia sul massiccio tavolo della cucina insieme e poi, mentre posava i piatti al loro posto, arrivai dietro di lui e lo bloccai tra me e il tavolo, con la scusa di dover posizionare le posate proprio lì accanto, in quel preciso momento. Una volta disposti coltello e forchetta al loro posto, le mie mani risalirono lungo le sue braccia, si spostarono sul suo petto, percorrendo i tratti che quella camicia azzurra, che gli stava così bene, nascondeva.
Si girò verso di me: << Hai deciso di farmi impazzire, vero? >>.
Annuii, morendomi il labbro.
<< Se qui ci fossimo solo io e te, lo sai che saresti già nuda, sì? E che io, a questo punto, sarei in ginocchio davanti a te a baciarti... proprio qui >>, mi disse, spostando un dito lungo il mio jeans e fermandolo nel punto esatto in cui le mie cosce si univano, nascondendo la mia intimità.
<< Poi ti bacerei qui >>, aveva spostato le sue dita fra le mie gambe, lungo le mie cosce.
<< E poi risalirei qui >>, le sue dita avevano raggiunto il mio ombelico.
<< Ed anche qui... oh, sì, qui ci trascorrerei delle ore intere! >>, disse sorridendo, mentre le sue dita disegnavano cerchi sulla mia maglia, in direzione dei miei seni.
<< Per ora, però, ti dovrai accontentare di qui >>, mi disse, mentre avvicinava le sue labbra alle mie.
Fu un bacio ricco di passione, di un desiderio che doveva essere per forza di cose represso, rimandato ad un posto più consono, ad un momento di maggiore intimità.

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