13. Uno schiaffo di realtà

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Ci rivestimmo in fretta, mentre i nostri occhi ancora si cercavano in quella stanzetta angusta ed immersa nella penombra. Quel luogo così intimo, così suo, adesso sapeva anche un po' di noi.
Prese la mia mano destra e se la poggiò sulla spalla, in modo che potessi sorreggermi a lui per infilare le scarpe col tacco, senza rischiare di perdere l'equilibrio.
<< Come farei senza di te!?>>, gli dissi sorridendo. Un po' lo stavo prendendo in giro, un po', forse, iniziavo a pensarlo per davvero. Speravo lui cogliesse solo la vena ironica. Per la seconda ammissione non ero ancora pronta. Non era ancora il momento.
<< Smettila di fare la simpaticona, Sara! Tanto non ci casco!>>.
Questa volta rideva anche lui.

Mi prese per mano ed uscimmo correndo da teatro, ridevamo ancora come due bambini. Incrociammo alcuni colleghi di Lino lungo il percorso che dai camerini portava al palcoscenico e poi alla sala, ci guardarono come se fossimo degli svitati. Ormai ci capitava ovunque! Che ci potevamo fare!? Stare insieme ci rendeva così... assurdamente felici! Forse lo eravamo per davvero. Più di quanto ci saremmo mai potuti aspettare.

Si era fatto parecchio tardi. Erano le 23.40 ed io avevo una fame da lupi, soprattutto dopo quello che era successo poco prima in camerino.
Del resto erano due giorni che bruciavamo troppe calorie e ne ingerivamo troppo poche!
Lo stomaco aveva iniziato a brontolare insistentemente.
Bloccai la nostra corsa, tirando Lino leggermente per un braccio:
<< Lino, fermati! Devo fare una cosa!>>. Si voltò verso di me e mi guardò con aria interrogativa.
Tirai fuori il cellulare dalla borsetta e composi il numero della pizzeria che l'autista mi aveva segnalato poche ore prima. Lui mi fissava ancora, seguendo ogni mio gesto con lo sguardo.
<< Sara, ma che fai?>>, mi disse, sorridendo.
Gli intimai a gesti di fare silenzio.
<< Buonasera, senta avrei bisogno di ordinare due pizze! Le migliori che avete, mi raccomando! Sa, è la mia prima pizza napoletana!>>.
La faccia di Lino si fece ancora più divertita, adesso rideva proprio a crepapelle.
Chiusi la chiamata con la pizzeria, che mi assicurò che avrebbero consegnato tutto direttamente in albergo e nel minor tempo possibile. A quel punto lo rimbeccai:
<< Ehi tu, cosa ti ridi? Dopo tutta questa attività fisica che mi fai fare, credi che non sia giusto che io mi nutra? E poi è la prima volta che vengo a Napoli, ed ancora non ho assaggiato una vera pizza napoletana! Mi hai tenuta sempre sigillata in camera da letto!>>
<< Ah, beh, allora hai pensato di rimediare così... ordinandone una a mezzanotte! Hai fatto bene, soprattutto a prenderne due! Avrai bisogno di energie per quello che ho intenzione di fare con te stanotte!>>.
Le sue parole innescarono rivoli di piacere, che si mossero burrascosi fino al mio bassoventre.

Lui rideva ancora, sembrava genuinamente divertito. Gli sferrai un leggero pugno nello stomaco, per farlo smettere di ridere di me, ma lui, che aveva già previsto la mia mossa, era già pronto a pararlo, afferrando le mie mani. Mi strinse a sé e mi baciò, così, con quel suo sorriso che si posava lieve sulle mie labbra, le quali replicarono la stessa identica curvatura sulle sue. Sentivo i suoi denti premere contro le mie labbra, stava ancora ridendo.
Mi sembrava felice.

Arrivammo in albergo e le pizze erano già lì in reception ad attenderci, calde e fumanti.
Lui le prese e ci infilammo in ascensore per raggiungere camera mia.
I cartoni impedivano il contatto diretto fra i nostri corpi, ma le nostre mani erano perfettamente intrecciate. I nostri corpi comunicavano fra loro, anche a distanza. Si cercavano, si desideravano.
Aprii la porta e gliela tenni aperta, in modo che riuscisse anche lui ad entrare in camera.
Notò subito la mia valigia pronta.
<< Che ci fa questa qui?>>.

Sentii uno schiaffo di realtà colpirmi in pieno viso, mentre pensavo a cosa dirgli.
Come poteva un semplice oggetto come quello stravolgere completamente l'atmosfera di una serata fino a quel momento allegra e spensierata?
Quella valigia lo aveva fatto. Aveva interrotto le risate, placato il divertimento, raffreddato il desiderio. Aveva spinto entrambi a riflettere su cosa sarebbe stato di noi. A confrontarci, infine, con la realtà, per quanto dura e cruda si sarebbe potuta dimostrare.
Era una domanda, quella, che avevo cercato di nascondere nella parte più recondita della mia mente, e che ora riaffiorava in superficie con la prepotenza di cui solo le questioni irrisolte sanno armarsi.

<< Domani torno a Milano, Lino!>>.
Mi sembrò che le mie parole non facessero altro che esprimere a voce un fatto abbastanza ovvio. Ma, proprio quando le pronunciai, le esternai, quel momento del distacco che aleggiava nell'aria, che entrambi sapevamo avremmo presto dovuto affrontare, lo resero reale, tangibile. Finalmente evidente ed altrettanto inevitabile. Tristemente.
Lui aveva già capito, aveva già fatto due più due.
Lo stesso schiaffo di realtà, che poco prima aveva colpito me, sembrava accanirsi questa volta sul suo bel viso, che non era più così sereno come qualche minuto prima.
<< Ok. Che ne dici se ceniamo e poi ne parliamo?>>, mi disse.
<< Ci sto!>>, gli risposi, sorridendogli. Cercavo di smorzare la tensione, anche se dentro di me non facevo altro che pensare che procrastinare il momento del supplizio ci avrebbe solo rabbuiato e fatto andare la cena per traverso.
Così fu, infatti.

Ci sedemmo al tavolino e mangiammo quelle pizze squisite silenziosamente. Ci scambiammo parole di circostanza, chiedendoci come fossero andate le nostre giornate, ma senza mostrare grande interesse.
Lino sembrava teso, perso nei suoi pensieri ed io lo ero altrettanto.

Dopo cena, l'atmosfera si fece ancora più pesante.
Lui si spostò sul terrazzino e si accese una sigaretta. Sembrava pensieroso. Io rimasi ancora qualche minuto lì a sistemare il disordine che avevamo creato sul tavolo e gettai nel piccolo bidoncino sotto la scrivania i rifiuti. Rassettai il tavolino, rimettendo le sedie al loro posto. Dopo quella sera non sarebbero più servite. Quella stanza d'albergo non si sarebbe più popolata dei nostri corpi vogliosi, delle nostre risate irrefrenabili, delle nostre parole sussurrate e di quei nostri nomi, urlati nel momento di massimo piacere.

Sentii le sue mani circondarmi e stringermi, proprio mentre spingevo l'ultima sedia al suo posto, sotto il tavolo.
<< Ti va se andiamo a fare due passi, Sara?>>, mi chiese. Il suo tono di voce era di nuovo sereno.
Mi fu subito chiaro cosa stesse accadendo.
Aveva preso la sua decisione. Adesso gli doveva essere chiaro cosa fare di noi.
Quella sua scelta un po' mi faceva paura.

Non avevo nessuna voglia di uscire di nuovo. Avrei tanto voluto restare con lui in camera, magari con le nostre gambe intrecciate, nudi a letto, a fare l'amore. Non avrei voluto affrontare quei problemi. Avrei preferito sentire le sue labbra sfiorare i miei capelli mentre mi accoccolavo contro il suo petto, ancora una volta, sazia di tanta passione. Forse l'ultima volta.
Invece dissi soltanto: << Certo, andiamo!>>.

Non aveva senso rimandare.
Era giunto il momento di affrontare la realtà.
La bolla in cui ci eravamo rifugiati in quelle due bellissime giornate era ufficialmente scoppiata.

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