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Le sue parole continuano ad echeggiarmi in testa. Sento la delicatezza della sua pelle sotto le unghie e il suo odore nelle narici. Quando mi sento abbastanza rinvigorito, mi rivesto e lascio il suo appartamento. Non mi ha lasciato il numero, ma in compenso mi ha esplicitamente chiesto di farmi rivedere presto. Prendo un taxi per poter ritornare a casa. Trovo Adam sullo zerbino. Le mani nelle tasche dei jeans, gli occhi strabuzzati. "Stessi vestiti di ieri sera e sguardo colpevole. Non sono un profiler, ma non ci vuole un genio per capire dove sei stato". Lo supero, evitando la sua accusa – ahimè – fondata. "Allora, scegli il silenzio o vuoi dire al tuo migliore amico com'è andata la serata?".

"Egregiamente" rispondo, offrendogli del caffè. Lo vedo alzare gli occhi al cielo mentre si siede alla penisola. "Ad un certo punto io e Tom l'abbiamo vista sporgersi su di te. Cosa ti ha sussurrato all'orecchio? Parole graffianti?". Non ricordavo fosse così impertinente. Non ho intenzione di condividere quell'unico momento idilliaco con nessuno. "Adam, non insistere". Sorseggia il caffè, per poi infilarsi di nuovo la giacca. "Peggio per te. Noi volevamo solo aiutarti, e speriamo di esserci riusciti..." mostra una fossetta al lato della bocca, facendo un cenno con la testa "...ah, e a proposito, hai la camicia macchiata di rossetto. Ripeto: non sono un profiler". Intanto che controllo il colletto della camicia, Adam va via. Non sono così bravo a nascondere le cose, ma dovrò esserlo se voglio continuare a fare quello che sto facendo. Sfilo la camicia e scendo nel seminterrato, appendendola insieme alle foto. Un altro ricordo di lei che terrò ben custodito. 

Oggi devo lavorare, anche se la voglia è minima. Sono affaticato per la nottata trascorsa da lei. Ho i suoi segni sulla schiena. Ricordi delle sue unghie che trafiggono la carne. Ho compreso che è abituata a questo tipo di rapporto. Fugace, sanguigno, carnale. Mi ha parlato di un suo ex, di qualcuno con cui ha provato ad avere una relazione seria ma con il quale non è andata come previsto. Quando sono a lavoro, e mi metto seduto al mio laptop, la cerco sui vari siti. Tutti i suoi profili sono impostati su pubblico, come se desiderasse essere guardata. Osservata. Ogni dettaglio della sua anima inquieta e passionale è ben visibile nei suoi post. Devo stringere spesso le palpebre per poter scacciare i pensieri impuri che mi balenano la mente. Andrei da lei adesso e la prenderei proprio come ho fatto stanotte, ma so che non ne avrò il coraggio e finirò a chiudermi nella mia stanza per farmi una sega davanti al computer. Terribile a dirsi. Un trentenne che spreca la sua vita davanti ad uno schermo, a bramare una donna che adesso potrebbe possedere senza il minimo sforzo. 

Sembra che non mi piaccia vincere facile. Un brivido improvviso dietro la schiena, un respiro caldo sul collo e il mio responsabile che mi posa la mano sulla spalla. "Anche oggi scegliamo di aggirarci per i vari siti di incontri piuttosto che lavorare". "Non sono su un sito d'incontri, Garrett". Lui mette a fuoco la foto della ragazza seminuda sul mio schermo. "E allora chi è questa bambola su cui ti rifai gli occhi?".

"Nessuna" chiudo la pagina, tornando al mio lavoro. Alla fine del turno, decido di tornare a casa a piedi. Voglio guardare, assimilare, muovermi. Una volta che sono a Central Park, siedo su una panchina con un libro tra le mani. Con gli occhi che si muovono su e giù dalle pagine, osservo le ragazze camminare a passo svelto con le loro tutine striminzite. Ho sempre odiato l'attività fisica e, da quello che mi ha fatto notare Tom, non ne avrò mai bisogno. Non consumo schifezze, sono vegetariano. Accetterei di andare in palestra, se questo dovesse piacere a lei. Prendo nuovamente il cellulare tra le mani, continuando le mie ricerche. Scorro la sua pagina Instagram. Per mia fortuna non è una ragazza che tiene alla privacy, quindi scopro molte cose senza alcuno sforzo. Lavora come commessa in un negozio di lingerie. Nel mentre studia all'università per poter diventare una psicanalista. 

Ha molte amiche, ma quelle con cui passa più tempo sono Angie e Mary, due coetanee conosciute al campus. Non ha foto con ragazzi, e allo stesso tempo ci sono una marea di commenti da parte di uomini che quasi sicuramente smanettano sui loro arnesi ogni volta che lei pubblica qualcosa. Lo avrei fatto anche io. È una che attira l'attenzione. È una che difficilmente dimentichi. Mi alzo dalla panchina, proseguendo senza meta. Mi ritrovo al suo campus, e per non dare nell'occhio indosso un cappello dei Boston Red Sox aggirandomi per l'università come se fossi uno studente. Mi fingo quello che non sono. Anche io sono stato all'università ma ho abbandonato gli studi perché non mi sentivo all'altezza. Lei è dove pensavo che fosse. Sotto ad un albero, seduta sull'erba a scartabellare un romanzo. Non ne sono sicuro, ma dalla copertina sembra essere Il giovane Holden di J. D. Salinger. L'ho letto un paio di volte. 

È il romanzo preferito dai sociopatici, è così che si dice. Io l'ho trovato un libro complesso, profondamente confuso che fa emergere il carattere emotivo e fragile del protagonista in modo geniale. Mi nascondo dietro ad una siepe, passandomi la mano sotto al mento. Con gli occhi la cerco oltre l'ostacolo cespuglioso che ci separa. È bellissima, pura. Sembra una ragazza qualsiasi, non una poco di buono che ieri notte si è portata a letto un uomo che non conosce affatto. Un ragazzo le si avvicina. Tiene le mani nelle tasche dei pantaloni. I capelli da idiota e gli occhiali a fondo di bottiglia. Sono troppo lontano e non posso origliare quello che le sta dicendo. "Sei nuovo di qui?" domanda una voce femminile. Quando mi volto, ritrovo una ventenne bionda con gli occhi azzurri. Sta parlando con me. "Non ti ho mai visto, ed io ho un occhio esperto. Conosco praticamente tutti in questo campus". "Mi sono appena iscritto" mento, forzando un sorriso. 

"Ah, ecco spiegato il motivo per cui non ti conosco. Io sono Julie" mi porge la mano mentre con l'altra tiene i libri attaccati al petto. Ricambio il gesto, rifilandole un nome falso. Quasi sicuramente mi cercherà nel database scolastico o più semplicemente sui siti internet, proprio come ho fatto io stamattina. "Conosco bene questa università. Vuoi che ti porti a fare un giro di perlustrazione?".

"Sto bene dove sono". Lei sparisce dalla mia vista. Magari l'ho liquidata troppo in fretta e con una frase scontrosa, ma mi stava distraendo. Devo tenere d'occhio il ragazzo idiota che è ancora lì in piedi accanto alla quercia. Tenta inutilmente di portarsela a letto. Le porge la mano e lei la afferra, tirandosi in piedi. Proseguono insieme verso la caffetteria. Sistemo la visiera sugli occhi, seguendoli. Sono abbastanza distante, ma la sento ugualmente ridacchiare alle sue battute melense. Continuo a pensare che è un idiota e che non merita la sua compagnia. Dopo aver bevuto un espresso insieme, lui la lascia da sola seduta nel bar. La guardo ancora un po' ed esito dall'avvicinarmi. Non deve sospettare di nulla. Non le voglio dare un'impressione sbagliata, che alla fine sarebbe quella giusta. Torno a casa prima del tramonto, chiudendomi nella mia camera oscura. Ho ancora qualche foto da sviluppare. Mischio il bleach-fix nell'acqua e quando finisco con le sostanze chimiche, passo al lavaggio del tank. Spengo le luci, rimuovendo la pellicola dal rullino. Verso il bleach-fix o blix nel tank e aspetto quasi sette minuti che si riscaldi.

Ormai mi muovo per la stanza come in una routine inflessibile. Le sue foto sono perfette appese sui fili sottili. Una in particolare, che è ancora nella vaschetta con l'acqua. La afferro con le pinze, appendendola per farla asciugare. Le guardo, orgoglioso e determinato a farne altre. Appena torno al piano superiore, la casa è precipitata nell'oscurità. Ho perso la cognizione del tempo.

Afferro la giacca ed esco, proseguendo sul ponte per poter raggiungere Brooklyn. Sono sotto casa sua. La osservo dal marciapiede mentre si muove su e giù per il soggiorno. Parla al cellulare con qualcuno. Avrei dovuto mettere delle cimici nella sua stanza per poter ascoltare le conversazioni. Ne porto sempre qualcuna nella felpa. Con il mio lavoro al negozio di elettronica ne sono ben fornito. Prendo il telefono, e scorrendo nella sua pagina Instagram scopro un nuovo post. È un selfie, e mette in mostra i dettagli che amo. Il piccolo neo tra i seni, le labbra carnose. Perché la sto rendendo difficile? Potrei bussare alla sua porta e saltarle addosso. Adesso ne ho la possibilità. Quindi perché me ne resto immobile sotto al suo appartamento, con i piedi letteralmente nelle sabbie mobili e le vene in fiamme? Un ragazzo mi supera, guardandomi di sottecchi per il mio abbigliamento in incognito. Abbasso il cappuccio della felpa, decidendo di farmi avanti. In pochi minuti sono sul suo zerbino, con il pugno chiuso pronto a picchiettare sulla porta. 

𝐕𝐎𝐘𝐄𝐔𝐑 | 𝙂𝙪𝙞𝙡𝙩𝙮 𝙋𝙡𝙚𝙖𝙨𝙪𝙧𝙚 (𝟏) 𝘾. 𝙀.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora