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Non tutto della lettera e della sua morte mi è chiaro. Perciò, senza rimuginarci troppo sopra, torno dalla dottoressa Whitmore per chiederle come stavano andando le ultime sedute. "Non sono obbligata a parlare dei miei pazienti con un estraneo". "Non sono un estraneo. Ero il suo fidanzato, e adesso lei è morta, perciò parli chiaro. Com'era lei?". Mi invita a sedermi sulla poltrona mentre lei si appoggia alla scrivania, mettendosi a braccia conserte. "Stava bene. Mi ha anche parlato del suo lavoro, dell'università. Era pronta ad andare avanti".

"Non mi è sembrato. Si è tolta la vita...". "...e lo ha fatto per un motivo. Sì, sono d'accordo con lei però sono dell'idea che la mia paziente stava bene. Prendeva lo Risperdal giornalmente, e lo prendeva davanti a me quindi so che era coerente con l'assunzione dei farmaci". "Prima di fare quello che ha fatto, ha buttato il flacone nel cestino. Era intenzionata a non prenderli più, e non so se li avesse già assunti quando le ho fatto visita". Lei sgrana gli occhi. "Le ha fatto visita?".

"Sì, volevo assicurarmi che stesse bene. Non la vedevo da un po' e...". "Non avrebbe dovuto vederla. Stare lontana da lei era alla base della terapia". "Non capisco" lei torna a sedersi, avvicinando la sedia al tavolo. "Era una ragazza molto forte, ma quando si trattava di lei diventava improvvisamente vulnerabile. Era il suo punto debole". "Pensa che si sia uccisa a causa mia?".

"Non lo penso. Rivederla avrebbe fatto riaffiorare i suoi sentimenti. Non si sarebbe dovuta sentire disarmata a tal punto da non riuscire a vedere una via d'uscita". "Quindi cosa pensa sia successo?". La dottoressa posa fugacemente lo sguardo sullo schermo del computer, per poi tornare con gli occhi su di me. "Cosa le ha detto quando è andato a trovarla?". "Che dovevo andare al matrimonio del mio amico". La vedo pensarci su. "E dopo l'ha baciata, giusto?" annuisco.

"Bene, forse ho capito qual è stato il fattore scatenante". Aspetto che continui a parlare e nel frattempo mi sembra quasi di percepire la sua presenza nella stanza. "Sei tu il fattore scatenante. Tutto ciò che ti riguarda, l'averti incontrato e l'averti amato fino allo stremo fino a realizzare che lei non avrebbe mai potuto avere la vita semplice e felice dei tuoi amici. Si è tolta la vita per liberarti, per salvarti". È proprio quello che mi ha scritto nella lettera, e la dottoressa è riuscita ad estrapolarlo dalla nostra breve riunione. "E se non mi avesse salvato? E se adesso senza di lei mi sentissi più vuoto che mai?".

"Le direi di prendersi il tempo necessario per elaborare il lutto. Potrebbe metterci mesi, come potrebbe trattarsi di anni. Non c'è un limite di tempo per crogiolarsi nel dolore e darsi delle colpe. È bene che sappia che lei non ne ha. La sua ragazza lo avrebbe fatto ugualmente, benché i farmaci stavano iniziando a farle effetto". "Non era più la mia ragazza da molto tempo". La dottoressa abbozza un sorriso. "Magari non fisicamente, ma emotivamente eravate più vicini che mai".

Dopo la visita allo studio della terapista, passa qualche mese e quasi all'improvviso New York viene sommersa dalla neve. Luci e aria natalizia, anche se io non riesco ancora a percepirla. Vado a trovare mio fratello la mattina della vigilia, e scopro che sta molto meglio. Parliamo più adesso di quanto non facevamo quando vivevamo sotto lo stesso tetto. Mi chiede che cosa ho in mente di fare per Natale. "Adam mi ha invitato a stare da lui. Andiamo nella vecchia baita di suo padre". "Sembra una cosa entusiasmante" annuisco. "Sì, ma eviterò la funivia".

𝐕𝐎𝐘𝐄𝐔𝐑 | 𝙂𝙪𝙞𝙡𝙩𝙮 𝙋𝙡𝙚𝙖𝙨𝙪𝙧𝙚 (𝟏) 𝘾. 𝙀.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora