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La faccio accomodare sul divano, offrendole del caffè

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La faccio accomodare sul divano, offrendole del caffè. Ha le spalle che sussultano, il respiro smorzato. Non l'ho mai vista così abbattuta. "Vuoi dirmi che cosa è successo?" scuote la testa, restando con le labbra sulla tazza. "Credo che dovremmo parlare. Di stanotte e di Sylvie soprattutto". Finalmente i suoi occhi incrociano i miei. "Mi dispiace per Sylvie. Io davvero non ne avevo l'intenzione. Quando si tratta di te, perdo il controllo. Non posso essere lasciata, non voglio. Lei ha provato a portarti via da me. Mi sono sentita tradita...". "Io e te ci stiamo facendo del male a vicenda. Siamo tossici".

"No, io penso il contrario. Penso che tu sia capace di tirare fuori il meglio di me" sgrano gli occhi, perplesso. "È questo il meglio di te? Ammazzare la gente? Minacciare?". "No, ti sbagli. Io non ti minaccerei mai. Tu sei la mia ancora. Quello che mi tiene a galla. Ti prego, non abbandonarmi". Termina di bere, lasciando la tazza sul tavolo. La prendo per riporla nel lavabo. "Ti va di fare quel giro in auto?". La vedo annuire mentre si alza faticosamente dal divano. Mi segue all'esterno, commentando la carrozzeria. "Non sembra male, esternamente". Si accomoda sul lato del passeggero, infilandosi la cintura. "Andiamo in un posto tranquillo. Ho bisogno di dirti delle cose" dichiara, mantenendosi pacata. Annuisco, mettendo in moto. Raggiungiamo la periferia in una mezzora. Accosto e lei si sfila la cintura. "Di cosa volevi parlarmi?". "Prima di tutto, voglio che tu mi ascolti senza fare domande. Alla fine potrai commentare". Faccio semplicemente di sì con la testa. Lei si schiarisce la gola, voltandosi di tre quarti verso di me.

"Va bene. In principio voglio parlarti di quello che è successo dopo che ho lasciato casa di mio padre a sedici anni. Ho vissuto da mia zia, la sorella di mia madre. Giusto per poter continuare gli studi. Non volevo restare a Madison. Troppi ricordi, troppo dolore... Un ragazzo che frequentava il mio stesso corso di giornalismo ha iniziato a farmi la corte. Non era il mio tipo. Mingherlino, occhiali, nerd. Mi ero preparata a rifiutare, ma poi mi sono detta che qualsiasi altro ragazzo – più forzuto di lui – mi avrebbe ricordato mio padre perciò lui poteva solo farmi del bene. Ho accettato di andare con lui al ballo della scuola. Si chiamava Alex ed è stato il mio primo, vero ragazzo. Non gli ho mai detto nulla di mio padre. Ero così disgustata da me stessa e da quello che avevo passato, che solo parlarne mi faceva venire la nausea. Così, iniziai ad essere piuttosto laconica con lui. Evitando di parlargli della mia famiglia, l'ho allontanato di più e Alex ha pensato che volessi lasciarlo perché non mi piaceva abbastanza. Beh, il sesso con lui non è mai stato un granché ma non per colpa sua. Per quello che mi aveva fatto mio padre. Non sopportavo di essere toccata da un ragazzo in un certo qual modo. Alex era molto sensibile e così si è tolto la vita. Dopo quell'episodio, mi sono odiata per non essermi fidata di lui..." mi guarda negli occhi, e dopo tanto tempo – forse per la prima volta – scopro un lato di lei vulnerabile, sincero "...così ho scoperto di stare meglio da sola. Mi sono diplomata, sono passata all'università di psicologia ed ho trovato lavoro. Uscivo ogni sera, mi divertivo. Ho incontrato Scott quasi per caso, e sì – come hai detto tu – è una persona che ho amato ma voleva lasciarmi. Come ha fatto Alex, come voleva fare mio padre. Oggi ho scoperto che avrebbe preferito abbandonarmi in qualche orfanotrofio piuttosto che prendersi cura di me".

𝐕𝐎𝐘𝐄𝐔𝐑 | 𝙂𝙪𝙞𝙡𝙩𝙮 𝙋𝙡𝙚𝙖𝙨𝙪𝙧𝙚 (𝟏) 𝘾. 𝙀.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora