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Sono sulla metro. Dopo aver lasciato la palestra con uno strano senso di vuoto allo stomaco, mi sono diretto alla metropolitana. Durante la corsa, penso a questa lunghissima giornata che sembra non voler finire. Ciò che ha scoperto lo sceriffo mi ha lasciato interdetto. Volevo prendere Scott per i capelli e chiedergli come stanno davvero le cose, ma prima vorrei chiarire la questione con la diretta interessata. Mi ritrovo davanti alla sua porta in meno di trenta minuti. Il vicolo è buio, tranquillo. Una sua vicina di casa si sporge dalla finestra mentre salgo le scale antincendio. La saluto con un fugace cenno della mano. "Non credo sia in casa" dichiara all'improvviso. "Ah" tiro un grosso respiro, guardandomi intorno. "Magari è ancora al negozio. Doveva fare gli straordinari questa settimana". La ringrazio e in pochi secondi rientra in casa, lasciandomi da solo nell'oscurità della notte. Penso se andarmene per poter tornare il giorno seguente. Alla fine resto in attesa, seduto su uno scalino. Una falena mi rasenta la guancia, per poi posarsi sul mio ginocchio. In un millisecondo mi ritrovo rinchiuso, incastrato tra quattro pareti che si stringono intorno a me. Un unico sprazzo di luce, delle dimensioni di un fil di ferro, mi acceca distraendomi dall'attacco di panico che si sta espandendo. "Allora, quattrocchi, non vuoi uscire di lì?" a questa domanda seguono delle risatine beffarde. Mi scuotono, facendomi sbattere contro le pareti. Dallo sprazzo di luce osservo un sorriso asimmetrico, denti storti, naso a patata. "Ti diamo un'ultima occasione, occhialuto. Tra tre secondi dovrai uscire da quell'armadietto altrimenti...". Mi stringo nelle spalle, terrorizzato. Sono abituato a questi atti di bullismo.

Ne sono vittima da quando ero piccolo e quasi mai mi è venuto qualcuno in aiuto. "I tre secondi sono passati, bestia" il ragazzo dal sorriso derisorio abbassa la cerniera dei pantaloni, afferrando il suo membro tra le mani. In pochi secondi piscia davanti a sé, bagnandomi. Mi dimeno, schifato dall'olezzo che inonda lo spazio angusto in cui sono incastrato. Preferisco un po' di pipì sui vestiti, piuttosto che altre cicatrici. La pipì viene via, ti liberi di quella puzza nauseabonda ma le cicatrici restano. Smettono di sanguinare, si rimarginano e col passare degli anni lasci andare i ricordi a cui sono collegate.

"Non vuole ancora uscire. Ti piace l'odore della pipì? Sei un feticista della pipì, quattrocchi?". Tiro un grosso respiro, passandomi la manica della felpa sulla bocca. Infine mi do coraggio ed esco dall'armadietto, cadendo in ginocchio sul pavimento umido dello spogliatoio dei maschi.

Il liceo. Che periodo orribile. Anni trascorsi a studiare, ad uscire con il mio migliore amico nel tentativo di ottenere almeno un minimo della sua popolarità. "Non c'è il tuo amichetto oggi, quattrocchi. Non c'è nessuno che possa difenderti adesso" con i palmi delle mani sul pavimento, uno dei bulli mi lascia l'impronta della sua mano sulla guancia. Un altro mi tira un pugno e immediatamente il sapore metallico del sangue mi si impregna sulla lingua.

"Che visione patetica. Sei una schiappa. Abbi almeno la forza di alzarti. Prova a difenderti" esclama il più alto. "Non può farlo. È troppo pivello". L'altro sogghigna, burlandosi di me. Un ragazzo mingherlino, uno stuzzicadenti con gli occhiali. Così mi definiscono. Nello spogliatoio, quel giorno, pensai che fosse finita. Non avevo il coraggio di ricambiare quei gesti, e così mi lasciai picchiare finché non udii una voce. "Prendetevela con qualcuno della vostra taglia!".

𝐕𝐎𝐘𝐄𝐔𝐑 | 𝙂𝙪𝙞𝙡𝙩𝙮 𝙋𝙡𝙚𝙖𝙨𝙪𝙧𝙚 (𝟏) 𝘾. 𝙀.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora