VI.

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Il giorno seguente, quando ormai mi ero rassegnato a pranzare per sempre da solo, vidi Alice seduta sotto il pino.

-non ti ho visto ieri- mi disse alzando lo sguardo dal libro che aveva in mano, in attesa che le rispondessi.

In quell'esatto momento potei vedere per la prima volta i suoi occhi verdi, così chiari e splendenti da sembrare finti.

-inizia a fare caldo, il sole mi bruciava la pelle- le risposi un po' intimidito dal suo sguardo.

-ah, sei quel tipo di persona tu?-

-cosa intendi?- le dissi inclinando la testa da un lato.

-sei tutto fragilino e terrorizzato dal mondo?-

Lì per lì mi offesi, ma poi mi venne in mente che lei era testimone diretta della mia timidezza, dato che avevamo passato la pausa pranzo seduti accanto per tre mesi e non le avevo rivolto neanche una volta la parola.

-no- risposi, cercando tutto l'orgoglio che mi era rimasto dentro il corpo dopo le sue parole -solo che il sole mi brucia davvero la pelle, e non mi piace scottarmi-

-capisco- disse lei sorridendo maliziosamente.

Poi abbassò lo sguardo verso il terreno e mi disse:

-stai pestando una primula, spostati da lì-

Io mi guardai i piedi e notai che avevo distrutto una piccola piantina di primule.

-oddio, scusami- dissi dispiaciuto.

-perché mi chiedi scusa? Mica hai fatto un torto a me-

In realtà non sapevo perché le avessi chiesto scusa, ma con qualcuno dovevo pur scusarmi, e c'era solo lei nei paraggi.

Così mi spostai, mi sedetti vicino ad Alice e mangiai il mio panino mentre lei leggeva. Da quel giorno iniziammo a salutarci nei corridoi della scuola.

IL CADAVERE DI UNA FARFALLADove le storie prendono vita. Scoprilo ora