XLIV.

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Seguii la bara fino al cimitero. Era una giornata nuvolosa, il sole era nascosto dietro le nuvole.

Non potevo fare a meno di pensare alla dissoluzione dell'essere tramite l'umida terra. L'infinito giaceva dinanzi a te, Alice, e non ti muovevi, non potevi muoverti. I tuoi occhi erano chiusi come il passato.

Quando fecero scendere la bara notai che il cimitero del paese, in cui non ero mai stato, aveva un vasto giardino.

Il verde ti accompagnava nel grande giorno. C'era un fresco innaturale provocato dai pini. E mentre compivi l'ultimo moto che avresti fatto in questo mondo, un gelo glaciale mi invase le ossa. Tu, che con gli altri non eri mai riuscita a starci, ti ritrovavi immersa in un mare di polvere, parte delle loro anime, senza ricordo alcuno, forse neanche d'esser vissuta.

Ancora oggi resta un tremore fragile nell'aria, un suono leggero che porta il vento, in grado di ricordare al mondo, una volta ancora, il tuo nome.

"Scusami, Alice" pensavo mentre il prete diceva delle parole in suo onore "so che non puoi più sentirmi, ma tutto ciò che ho pensato di te negli ultimi tempi, dimostra quanto io sia incapace ad amare. E tu, che non hai mai preteso nulla, ora sei sola, più lontana che mai, con una rosa sul corpo ad accarezzarti un'ultima volta.

Te ne sei andata, parte della mia vita. L'assenza è più rumorosa della presenza. L'immaterialità scevra di calore produce una linfa malinconica, mentre il sole sorge fra le nuvole, incapace ormai di proiettare la tua ombra su questa fredda terra."

IL CADAVERE DI UNA FARFALLADove le storie prendono vita. Scoprilo ora