XXXIV.

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Conobbi una ragazza quando avevo 32 anni. Lei era una designer che lavorava in uno studio vicino al mio e la incontrai un giorno mentre andavo a lavoro.

Ci parlai più di qualche volta prima di notare quanto fosse bella, i suoi occhi neri non avevano nulla a che vedere con quelli di Alice, ma erano comunque affascinanti.

Uscimmo per un po' insieme fino a quando, dopo mesi, lei non mi chiese fin troppe volte di andare a convivere. Allora la lasciai, non perché non mi piacesse, ma perché in fondo, dietro tutto l'amore che lei mi donava, ero sicuro di non sopportarla. La odiavo perché in lei rivedevo me stesso. Avrei voluto amarla, ma io e l'amore eravamo su due piani differenti, e lei non era la scala capace di collegarci.

Ricordo che una notte lei era venuta a dormire da me, fuori pioveva. Non riuscivo a comprendere quali eventi mi avessero portato fino a quel punto della mia vita. Avevo la continua sensazione di aver sbagliato ogni cosa.

Lei mi amava, le stavo vicino e potevo sentire il suo calore. Ma non era altro che quello, puro e semplice calore. Fuori pioveva e faceva freddo, era gennaio, e nonostante si congelasse, ancora non riuscivo ad apprezzare il calore del suo corpo. Quando lei si allontanava da me non sentivo niente, non provavo nulla. Lei non mi mancava affatto, che ci fosse o no per me era indifferente. Forse ero solo stanco, forse gennaio mi aveva fatto penetrare il suo freddo nell'anima. O magari ero solo distante, come le stelle nel cielo.

IL CADAVERE DI UNA FARFALLADove le storie prendono vita. Scoprilo ora