XIX.

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L'ultimo giorno del mio terzo anno di liceo eravamo seduti sotto il pino alla pausa pranzo, lei leggeva un libro molto pesante e rilegato con una copertina rigida mentre io ascoltavo il rumore del suo cuore battere leggermente contro il mio braccio poggiato sul suo petto.

-a te non fanno tristezza i re?- mi disse di colpo, interrompendo la sua lettura e chiudendo il libro con il pollice all'interno per tenere il segno.

-in che senso?- le chiesi confuso.

-i re, sai cosa sono i re no?-

-certo che lo so-

-bene, non ti fanno pena?- disse guardandomi in faccia.

-no, perché? dovrebbero farmi pena?-

-non è che dovrebbero, ma io quando penso ai re del passato vengo pervasa da una tristezza incredibile, sono figure molto affascinanti-

-che siano affascinanti concordo, ma a me non fanno pena-

-perché?- mi chiese, questa volta con tono curioso.

-beh, innanzitutto la maggior parte di loro erano dei bastardi, poi erano ricchi in tempi in cui tutti morivano di fame-

Lei attese un attimo prima di rispondermi, come se stesse organizzando il discorso nella sua mente.

-ma tu stai parlando dei re cattivi, io intendo i re normali, quelli che provavano a fare le cose giuste per i loro sudditi-

-e ti fanno pena-

-si!- rispose lei con enfasi -in fondo loro avevano un grande potere in mano, ma nessuna conoscenza approfondita delle cose, provavano a governare il loro regno ignari della vastità del mondo e della scienza. Sai che molti re sono impazziti per questa responsabilità? È una cosa seria-

-mi dispiace per loro- dissi con tono neutro.

-secondo me è per questo che erano accecati dall'oro e dai gioielli. Le ricchezze erano l'unica cosa che potevano davvero controllare-

-hai ragione- le dissi un po' indeciso.

-ecco, ora inizi a capire. Pensaci ogni tanto, a questa cosa che ti ho detto-

Poi fra di noi tornò la calma e passammo il resto della pausa pranzo in silenzio.

IL CADAVERE DI UNA FARFALLADove le storie prendono vita. Scoprilo ora