Capitolo Dodici

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"L'amore è vaporosa nebbiolina formata dai sospiri; se si dissolve, è fuoco che sfavilla scintillando negli occhi degli amanti; s'è ostacolato, è un mare alimentato dalle lacrime degli stessi amanti. Che altro è esso? Una follia segreta, fiele che strangola e dolcezza che sana."

(Romeo e Giulietta- W. Shakespeare)


Dopo una serie di balli concessi alle sue ammiratrici, ero finalmente riuscita a parlare con Ced. Lo avevo convinto a concederne un paio anche a Rose, che non aveva un accompagnatore. Prima di lei, si era visto costretto a ballare anche con Cho che, a quanto sembrava, fremeva dalla voglia di farlo.

Sospirai e scossi la testa, non era una novità che le ragazze stravedessero per Ced e se da una parte mi sentivo lusingata a sapere che tra tante lui aveva scelto proprio me, una tra le Serpeverde con la reputazione peggiore, dall'altra era sfiancante. Mi fidavo di Ced, ma dover tenere sempre gli occhi aperti per distinguere quali tra le notizie erano false o vere, non faceva davvero godere la festa.

Uscii sul pianerottolo, leggermente riparato dalla caduta della neve per inspirare un po' d'aria fresca. Nonostante fosse coperto, il freddo pungente scavò rapidamente nelle guance accaldate dal tepore interno e fui costretta a coprirmi con la tunica che avevo lasciato ricadere lungo le spalle.

Camminai un po', i tacchi echeggiarono sul marmo. In precedenza mi era parso di sentire dei singhiozzi, sembravano provenire proprio da lì, dietro il muro in pietra ricoperto da un sottile strato di gelo, così svoltai l'angolo. Tuttavia, non mi sarei mai aspettata di trovare Pansy. Feci per andarmene, ma tornai sui miei passi, sospirando. Per quanto la detestassi, l'educazione impartita dai miei non mi permetteva di rimanere indifferente davanti a una ragazza piangente.

Chissà, magari aiutarla in un momento di difficoltà l'avrebbe resa più rispettosa nei miei riguardi. L'orgoglio di Serpeverde ha instaurato anche un po' di narcisismo in ognuno, no? Ne avrebbe tenuto conto.

"Va tutto bene?" Chiesi cauta, rimanendo comunque a una certa distanza. Non eravamo amiche.

"Cosa ne vuoi sapere tu, McLaird." Alzò di poco il viso; il suo trucco era rovinato dal pianto e i capelli erano leggermente in disordine.

"Come non detto." Mi voltai per tornare indietro, almeno non potevo dire di non averci provato.

"Aspetta, non te ne andare." Pronunciò tra un singhiozzo e l'altro.

Mi chiesi dove fossero le sue amiche, in quel momento. Perché, in primo luogo, non avesse chiesto aiuto a loro. Ma poi ricordai che anche io preferivo soffrire in silenzio, senza mostrare a nessuno il mio dolore e ipotizzai che il suo orgoglio glielo impedisse. Su questo eravamo simili, almeno.

Mi sedetti accanto a lei, rimanendo comunque a debita distanza. Il marmo della panchina era gelido e il freddo trapassò persino il tessuto, sino a scavarmi nelle ossa. Mi strinsi di più nella mantella e mi voltai a guardarla. Non disse altro.

Rimanemmo in silenzio per un po', la quiete interrotta solo dai suoi lievi singhiozzi, così tornai a guardare il panorama. Immaginai che non mi sarebbe piaciuto se qualcuno fosse rimasto a fissarmi mentre esprimevo il mio dolore.

La neve sembrava congelare ogni cosa, fermare il tempo e renderlo sospeso nella calma che emanava. Da lì si poteva vedere il campo di Quidditch e la Foresta Proibita che si estendeva per acri.

Dovrei dire qualcosa?

Non conoscevo Pansy, affatto. In realtà non avrei mai preso in considerazione nemmeno l'idea di consolarla, se non altro fino a quel momento. Tuttavia, non provai imbarazzo; per qualche assurda ragione, quello fu il momento più intimo che io e Pansy Parkinson avessimo condiviso nei quattro anni della nostra misera conoscenza.

Blood Traitor || Draco X ReaderDove le storie prendono vita. Scoprilo ora