4. Killer Queen

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She's a Killer Queen, gunpowder, gelatin

Dynamite with a laser beam

Guaranteed to blow your mind [...]

In conversation, she spoke just like a baroness [...]

Perfume came naturally from Paris

[Queen]

***

La musica aveva cessato di diffondere attivamente nelle loro orecchie e ora echeggiava in lontananza, ovattata. Corpi sconosciuti, confusamente illuminati dalle luci stroboscopiche, saltellavano a tempo tutt'intorno, sovraeccitati, e percuotevano l'aria satura di calore umano con un pugno chiuso.

Non v'era modo che Camila potesse fermare le mani avide di Lauren. Come se poi volesse realmente separarsi da esse! Si lasciò esplorare come un nuovo continente, oscuro e zeppo di spiacevoli incognite. Frattanto che il cuore le impazzava nel petto, le palpebre calate, le labbra aride, ella mugolava in sordina, in segno di apprezzamento.

- Sfacciata - sibilò, riposando il capo all'indietro.

Quelle mani sapevano come toccarla, dove scivolare e dove stringere. Sembravano conoscerla. Se avessero potuto parlare, l'avrebbero chiamata per nome; nome che rimaneva ancora ignoto, aleggiante nell'aria come un cattivo pensiero.

- Noi diciamo cheeky -.

- Da me vuol dire anche altro -.

Tra i suoi lunghi riccioli bruni Lauren trovò un varco per posare le labbra sul suo collo, fugacemente. Fu in quel momento che riconobbe il sentore che l'aveva incatenata anche a distanza di sicurezza: Chanel numero cinque, un velo di sudore dovuto all'atmosfera calda della discoteca e una punta di pericolo, quasi impercettibile.

- Americana? – ritentò, ispirata dall'accento.

- Generico -.

Camila catturò i suoi polsi, guidandoli lontani dal proprio corpo. Si lasciò sfuggire un gemito sordo, al passaggio della sua bocca sul proprio collo, stavolta lascivo. Adorava gonfiare di potere e superbia le vittime, sentirsi vulnerabile nelle mani che avrebbe reciso come erbacce, baciare labbra che avrebbero sanguinato, aprirsi la via verso un cuore che avrebbe estratto da un petto immobile e poi esibito come trofeo.

- Cuba – mormorò distrattamente Lauren, ripensando al luogo che non aveva mai contemplato di persona ma cui sentiva di appartenere.

Ogni tenaglia si ruppe. La testa si confuse di nuovo, vorticando finché non riemerse nell'assordante realtà e scosse da sé ogni traccia della malia. Il profumo francese era svanito; al suo posto, un'enorme stanchezza.

Quando riaprì gli occhi, la sconosciuta si era volatilizzata. Normani la prese sottobraccio.

- La festa è finita, Jaguar - sentenziò, trascinandola fuori dal locale.

***

La sommità del furgone non era mai stata così piatta e oppressiva. Molte altre volte aveva saputo vederci le stelle. Non berrò più, promise. Sapeva tuttavia che non sarebbe stato più di un fragile proposito e che ci sarebbe ricascata di nuovo, tra un paio di decreti al massimo.

Tutt'altro che euforica, se ne stava semidistesa sulla panca di sinistra, la testa pulsante sul grembo di Lucía, che, ancora lucida, le accarezzava premurosamente il viso. Allyson invece dormiva sul sedile del passeggero, ben assicurata dalla cintura. Accanto, Normani guidava dolcemente, responsabile della sorte di altre quattro vite, oltre alla propria.

Ormai alle tre di notte, gran parte di Londra taceva. Le calde fiammelle dei lampioni che si intrufolavano oltre il vetro del parabrezza si schiantavano contro l'abitacolo, morendo in un battito di ciglia. Parevano lucciole catturate da vellutati guanti di ladro.

Esse cessarono di creare scompiglio negli occhi dei passeggeri quando Normani spense il motore. Ella scosse delicatamente Allyson, mentre la liberava dalla cintura. Discesa dal furgone, si premurò di sostenerla fino all'ingresso di casa, al confine tra Islington e Haringey.

- Bellezze! - esclamò, una volta che fu di nuovo al volante. - Non pensate che vi porti tutte in braccio -.

Dinah sì, magari, meditò Lauren, stringendo le labbra per non verbalizzare i propri pensieri e tradire l'amica. Si tirò a sedere, abbandonando il grembo di Lucía, nel tentativo di vegliare ancora un po'.

Il furgone ondeggiava di quando in quando ed ella cominciava a esserne nauseata. Ma anche vomitando l'anima, non avrebbe ricucito lo squarcio che le si era aperto in mezzo allo stomaco. Si augurava passasse con una buona dose di sonno e che i postumi non fossero troppo severi con lei.

***

8, Moon Street, Islington


Quando aprì la porta del quartier generale, chiavi in una mano, Gauloise ardente nell'altra, Shawn sedeva sul sofà consunto con in viso lo stesso cipiglio che adottava sua madre Sinuhé quando si arrischiava a tardare di qualche minuto oltre l'orario consentito. Ma ai suoi occhi risultava soltanto ridicolo e colmo di un nostalgico rimpianto che purtroppo doveva ancora lenire e sanare.

- Che c'è da guardare? - sputò, brusca, mentre scalzava gli stivali sulla soglia e ciabattava verso la cucina in cerca di un bicchiere d'acqua fresca.

- Avevi detto che non avresti tardato più delle due -.

- Detesto quando ti metti a chiocciare come un genitore -.

- Devo ricordarti che mezzo mondo ti cerca per sbatterti in gattabuia? -.

- Ma mezzo mondo, come dici tu, non sa nemmeno che faccia abbia e come mi chiami. Sono l'Ombra del Diavolo, io -.

Shawn sbuffò gravemente e accavallò le gambe.

- Mi chiedo perché diamine continui a seguirti in ogni cazzata - masticò, più rivolto a se stesso che ad altri.

Ma Camila l'aveva ben udito. Difatti, vuotò il bicchiere in un solo sorso e marciò, tronfia, sino al salotto.

- Perché mi ami - ribatté, certa d'ogni lettera. - E sai bene di non potermi avere, quindi queste cazzate, come le chiami tu, - il suo dito indice compì un presuntuoso giro su se stesso - rappresentano un ottimo compromesso -. Gli si avvicinò felinamente, fino ad arrivare a un palmo dal suo naso. Posò ambo le mani sulle sue ginocchia. - Tu non mi tradiresti mai, dico bene? - soffiò, suadente come solo lei sapeva essere. Al lieve cenno affermativo del canadese, abbinato a una lenta salita del pomo di Adamo, soggiunse, sorniona: - Vuoi sapere le novità o no, dottorino? -.

***

143, Petersham Road, Richmond


Poteva anche essere colpa della sbornia colossale che aveva rimediato, ma se calava le palpebre e comunque non riusciva a pigliare sonno, e anzi, sentiva ancora i fianchi della cubana misteriosa contro i propri e la sua fragranza Chanel era pressoché ovunque, tanto nella testa quanto sottopelle, allora doveva ammettere di avere un problema, un grosso problema; che fossero le quattro di notte o meno.

Si girò prona: l'incapacità di quantificare visivamente la superficie del soffitto le dava una certa noia meditativa.

Un calore sibillino si addensava al centro dei suoi palmi premuti sotto il cuscino. Così come sgorgava da essi, al pari di una strana magia nera, così aleggiava tutt'intorno, s'intrufolava tra le onde del suo crine disciolto, fluiva lungo le scapole e la colonna e poi, tiepida sfera tentatrice, le penetrava le viscere.

Di quel passo non sarebbe mai riuscita a riposare. Il corpo poteva cedere sì, alla necessità, ma la mente non avrebbe arrestato la sua corsa verso la tentazione finché non l'avesse soddisfatta, finché non ne fosse stata irrimediabilmente ebbra.

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