33. Giants

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Those eyes used to know me, it's been way too long

You are the moon and the stars, and all they gaze upon

Time won't ever move slowly, what you waiting on?

[Dermot Kennedy]

***

Toronto, Ontario

Inverno


Lauren controllò l'indirizzo sulla cartolina per quella che doveva essere la quarta volta: 81, Bayview Avenue. Erano passati quasi dieci minuti da quando il taxi l'aveva lasciata lì, sul ciglio innevato della strada. Le automobili continuavano a sfrecciare ad alta velocità, incuranti dei rischi che l'asfalto gelato portava con sé, producendo un vento che la scuoteva in brividi molteplici.

Coraggio, si disse, mentre raggiungeva i faggi spogli del viale alberato, sulla sponda opposta della carreggiata. Era lì per perseguire i capricci del proprio cuore, nient'altro. Non v'era timidezza d'animo abbastanza tenace da arrestarla.

Camila doveva sapere; meritava, con un ragionamento che sarebbe apparso alquanto distorto a coloro che non annaspavano nel medesimo oceano di sentimenti, la possibilità che le aveva negato a Londra, chiamandola involucro vuoto, senza averle riconosciuto un nucleo di bontà e speranza.

Così adottò un passo più disinvolto e celere. Ti amo ancora, avrebbe potuto dirle. Sei dentro di me una fiamma che non si affievolisce e che mi tortura per essere continuamente nutrita.

Non aveva, in realtà, benché la minima idea di come la faccenda si sarebbe risolta; e non osava certo figurarsi un'altra delusione, un'altra deriva patetica che l'avrebbe costretta a molto più che a una corsa notturna in solitaria o al veder sorgere il giorno attraverso i riflessi ambrati di un bicchiere alcolico. Non era forse stata la stessa Camila a dirle che l'avrebbe aspettata?

Diamine, avrebbe dovuto cogliere prima quel germoglio d'amore e non lasciare che migrasse in un altro continente! Poteva essere tardi, a quel punto. A ormai un anno di distanza, il fuoco poteva essere mutato pacificamente in brace ed essersi spento in via definitiva.

Lauren strinse forte il proprio bagaglio e varcò l'ingresso dell'ambulatorio. Si accomodò, in attesa, su una solida poltroncina. Nel disimpegno che precedeva due porte chiuse, che recitavano, rispettivamente, Ms. Maya Duval, pediatra, e Mr. Shawn Mendes, psichiatra, figurava soltanto una donna bionda con in grembo una bambina di pochi anni, semiaddormentata.

- Salve - salutò, educata.

- Salve -.

Subito, però, accadde l'incredibile. La dottoressa Duval congedò il proprio paziente pubescente e richiamò la pargoletta, tale Katy Smith. Rimasta sola, Lauren si abbandonò a un sospiro nervoso; sospiro che le si bloccò in gola quando da una terza porta che non aveva notato sbucò un profilo di donna latina, snello e disinvolto nell'incedere, che fece scivolare una sottile busta bianca sotto l'ingresso dello studio del dottor Mendes e che avrebbe anche ricalcato i propri passi se la corvina non fosse stata folgorata, nel riconoscerla.

- Camz - aveva detto, scattando in piedi.

Poiché si fidava assai poco del proprio cuore trafitto dagli strali erotici, poteva essere tanto un miraggio quanto un'allucinazione.

Camila spalancò lo sguardo per la sorpresa e si rassettò nervosamente la frangetta.

- L-Lauren - farfugliò. – S-sei... sei qui -.

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