Avvolto nella tempesta scura

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Un lampo nascosto dalle nuvole schiarì la notte, illuminando la città e le gocce di pioggia che scrosciavano senza pietà sui viaggiatori o gli sfortunati che non avevano una casa. Seguì un borbottio crescente e irregolare che esplose infine in una serie di assordanti rintroni, spaventando gli animali e i più impressionabili mentre echeggiavano per le vie della città. Lo scrosciare della pioggia ritornò ad essere l'unico rumore nella notte senza vento, ma la sua sovranità durò poco. Un altro lampo cercò di far passare la sua luce attraverso le nuvole scure raggiunto poi dall'immancabile voce tonante che da secoli ha sempre accompagnato le paure all'uomo; litigando nel mentre con il diluvio, che cercava di attenuare il suo suono, sul chi fosse il più rumoroso. Ma le nubi, sospinte dal vento, iniziarono a disperdersi e lentamente la pioggia diminuì d'intensità, fino a diventare sottile e silenziosa.

<Dannazione, proprio ora che siamo arrivati> borbottò un viaggiatore da sotto un cappuccio. Un tuono lontano sembrò dargli ragione, rimbombando vittorioso sulla pioggia ora impercettibile. L'uomo si fermò e alzò il volto mascherato al cielo, aspettando che la luce di un lampo illuminasse la notte. Era deliziato dalla tempesta, da tutto quel caotico concerto di rumori su cui aveva ancora molte domande senza risposta. Il mistero su cosa fossero di preciso i fulmini e i tuoni lo intrigava e non poteva mai fare a meno di fermarsi ad osservare quel meraviglioso caos della natura.

Un colpo di tosse lo fece ricadere dal cielo sulla terraferma, e abbassò la testa per osservare il compagno fradicio fermo più avanti sulla strada in salita. I capelli bianchi bagnati e appiccati alla fronte risaltavano nel buio della viuzza, facendolo sembrare uno spettro in attesa del momento giusto per prendergli l'anima e portargliela nella profondità dell'inferno, unico posto che gli spettava.

<Impaziente?> chiese il mascherato con ironia mentre lo raggiungeva con passo pesante, rimpiangendo l'aver dovuto interrompere quei pensieri poetici.

<No> rispose secco il compagno.

<Allora credo tu sia rimasto sotto la pioggia per troppo tempo, ma non preoccuparti appena arriviamo mi accerterò che tu stia bene>.

<Non serve> e da come lo disse sembrava schifato dalla proposta.

<Heh> ridacchiò il dottore quando lo raggiunse <so bene che sei molto selettivo quando devi farti toccare dalle persone. Non mi meraviglio che ti chiamano "cane randagio">.

Nonairu evitò di rispondergli per non dargli corda, iniziando a camminargli dietro per le strade malamente illuminate dalle finestre che davano sulla strada e a tratti dai lampi, verso una destinazione a lui sconosciuta. La pioggia aveva lavato la strada rendendola più pulita di quanto l'avessero fatto gli spazzini, ma nelle viuzze più strette grossi ratti squittivano al loro passaggio e zampettavano nelle pozzanghere alla ricerca di un nascondiglio.

<Sembra proprio di essere in una città di Laetia> sospirò il dottore svoltando nell'ennesima viuzza di quel labirinto che era la periferia di Oyama, unica voce nel silenzio di quelle strade, fermandosi dopo una decina di passi davanti a un edificio di pietra che stonava accanto agli altri per l'architettura semplice e spigolosa. Un torrione piuttosto largo che superava in altezza le costruzioni vicine, ultimo edificio superstite di una caserma laeta demolita in un inutile tentativo di eliminare le tracce della guerra che deformavano lo stile architettonico della città e ricordava agli abitanti del periodo buio in cui erano passati. Ma era stato invano, perché alle spalle dell'edificio era rimasto un enorme spiazzo in pietra a testimoniare dei tempi passati, una grigia cicatrice nella pianta ordinata di Oyama.

Il dottore batté l'anello contro la porta e aspettò immobile, senza guardarsi intorno com'era solito fare. Sembrava nervoso. Teneva i pugni stretti nelle tasche del lungo cappotto nero e batteva il tacco dello stivale, come se stesse per incontrare qualcuno che non gli andava molto a genio. Uno schioccò lo fece girare, solo per vedere una pietra calciata da Nonairu rimbalzare il terreno e colpire il muro di una casa. Quando si rigirò verso la porta, questa si era silenziosamente aperta di qualche centimetro, lanciando un sottile raggio di luce sul dottore. Cautamente si affacciò una donna che scrutò i due con sguardo indagatore e ansioso, aprendo poi lentamente la porta e inchinandosi leggermente mentre i due entravano all'interno.

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