La speranza svanisce

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L'oscurità che lo circondava era opprimente, al punto che ogni rumore sembrava venisse assorbito da questa. Non sentiva niente, non vedeva niente. Gli unici suoni che percepiva erano il suo cuore che pompava il sangue, di cui riusciva addirittura a sentirne lo scorrere nelle vene, e il respiro che sembrava il soffio distruttivo di una tempesta. Era assordante, perciò cercò di fare del suo meglio per renderlo il più silenzioso possibile. Mosse un braccio e rabbrividì per il chiaro crocchiare delle articolazioni, un suono che gli fece storcere la bocca per il fastidio.

Perché è così buio? Anzi, dove sono? pensò, chiedendosi se quel pensiero fosse avvenuto nella sua mente o l'avesse detto ad alta voce. Non riusciva a fare la differenza, come non riusciva neanche a capire quale fosse il sopra e quale il sotto.

Cercò di guardarsi intorno, ad ogni spostamento dell'occhio o della palpebra sentiva il suono viscido che facevano quando si muovevano, e si soffermò sull'acchiappasogni vivo che lo stava guardando. Non era illuminato da niente, ma riusciva a distinguere chiaramente il cerchio d'ossa e carne e le arterie pulsanti al suo interno, come se fosse stato ricalcato da una matita bianca su quello sfondo nero. I suoi dodici occhi erano puntati su di lui, ma non accennava nessun movimento.

Sopportando meglio che poteva lo scricchiolare delle articolazioni allungò il braccio nella direzione di questo, ma si fermò quando sentì una pressione sul collo. Non riusciva a respirare, o meglio, faceva fatica a farlo. Abbassò lo sguardo e vide delle mani strette intorno al suo collo, ma per quanto ci provasse non riusciva a vedere a chi appartenessero. Infatti, non appartenevano a un solo individuo; era un groviglio di braccia che si fondevano in uno solo, ovvero quello stretto intorno al suo collo.

Infastidito cercò di liberarsi da quella presa, ma era inutile. Era troppo forte.

<Lasciatemi> mormorò sempre più agitato. L'aveva detto o pensato? Digrignò i denti. Non importava. Non era sopravvissuto a quell'inferno e sopportato tutte quelle fatiche per niente.

<Guardami> disse aspramente una voce mentre qualcosa gli afferrava il viso e lo forzava a girare la testa. Si trovò di fronte a una persona senza volto, era solo un groviglio di fili bianchi che giravano su sé stessi in modo da formare una spirale all'apparenza infinita. Come i petali di un fiore che sboccia, il vortice si aprì e da questo centinaia di ragni sgorgarono, arrampicandosi con le loro zampe pelose sulle sue braccia.

Iniziò a sudare. Cercò di agitarsi per scrollare gli aracnidi di dosso ma, come in incubo in cui si cerca di scappare da un mostro, per quanto provasse non ci riusciva.


La Ragazza osservò Kisuke agitarsi nel sonno e sospirò. Immerse un pezzo di stoffa nella bacinella piena d'acqua un tempo pulita e, dopo averla strizzata, la posò sulla fronte bollente del malato.

Più di così non posso fare, né per gli incubi né per la febbre pensò scusandosi mentalmente con lui.

Si appoggiò alla parete dura e fredda della cella. Quando verranno a prenderci? Sono ormai due giorni che siamo qui. Aspetta, chi è che deve venire a salvarci? pensò confusa, cercando di richiamare alla mente quei volti che per quanto si sforzasse non rammentava. Ricordava solo vagamente di aver sentito, prima di partire, della possibilità o necessità di cercarli e forse salvarli. Sentiva anche che qualcuno l'aspettava, ma neanche quello riusciva a rievocare con precisione.  Gli eventi poi che aveva passato nel Limbo erano solo un garbuglio di ricordi confusi impossibili da riordinare.

Infreddolita strinse le ginocchia al petto e tirò le maniche sopra le dita, iniziando a soffiarci dentro per riscaldarsi. Per il momento era meglio evitare di pensare al passato.

Basandosi sulla temperatura e quello che riusciva a vedere dalla stretta finestrella, aveva ipotizzato che fossero ad ottobre o primi di novembre. Era piuttosto sicura di essere entrata nel Limbo in primavera, questo quindi voleva dire che avevano passato almeno sei mesi in quell'inferno.

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