Nel campo dei morti

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La notte lentamente iniziò ad avvicinarsi al villaggio, avvolgendolo piano piano nell'oscurità e nel freddo, e richiamando i suoi abitanti alle loro case, preoccupati da quello che si poteva nascondere nelle tenebre. 

Delle luci tremolanti iniziarono ad accendersi dietro le finestre. Sopra alle porte di alcune case comparvero piccole lampade quadrate, triangolari o rotonde per tenere lontani gli spiriti, demoni e altre creature che facevano parte del folclore di miti e leggende tramandate da padre a figlio, nonno a nipote. Non sapevano se esistessero o meno, ma era proprio quell' incertezza a dar vita alle paure. 

Nonostante questo, una ragazzina, approfittando dell'assenza del padre, non si era ancora rinchiusa in casa e stava correndo per il villaggio verso una casa al margine di questo. La donna che aprì, essendone al corrente, non fu sorpresa della visita, ma non poté non meravigliarsi del fatto che il padre l'aveva lasciata uscire da sola nella notte senza nemmeno accompagnarla.

<Perché sei sola, Nami?> chiese la madre di Kisuke, perplessa, facendola entrare in casa.

Il tono inquisitore della donna intimorì la ragazzina che non rispose subito, e quando lo fece il tono fu piuttosto timido e riservato. <Mio padre non c'è. E' andato a cacciare per raccogliere altre pellicce per quando ci trasferiremo a Yaokasa. Ha paura che quelle che ha raccolto fino ad ora non basteranno>.

La donna sbuffò e bloccò la porta con un listello. <Che uomo, lasciare la propria figlia sola in casa. Certe volte dovrebbe mettere da parte il suo stupido orgoglio e chiedere aiuto agli altri> disse senza nascondere l'indignazione, rivolta a sé stessa più che a Nami. <Stanotte rimarrai qui. Sarebbe da irresponsabili lasciarti sola> parlò con tono che non ammetteva contraddizioni.

Il nonno di Kisuke si era appena seduto con le gambe incrociate e la lunga pipa tra le mani quando Nami entrò nella stanza fiocamente illuminata da due lampade artigianali. Il tremolio di queste fece girare i presenti verso la nuova arrivata.

<Nami!> esclamò uno dei tre fratellini di Kisuke mentre questa, invitata da un gesto della testa dell'anziano, si sedeva vicino all'amico. Il più piccolo di essi si alzò e, barcollando, si avvicinò per sedersi in braccio alla ragazzina che iniziò ad accarezzargli i capelli neri.

<Bene, vedo che ci siamo tutti> borbottò il vecchio dopo aver preso una lunga boccata dalla pipa che rilassò il volto accigliato. <Volete che vi racconti dei Vauhjall, no?> chiese anche se sapeva già che era proprio questo che volevano. Rimase in silenzio qualche secondo con la schiena appoggiata alla parete, raddrizzandosi quando iniziò raccontare. 

<Queste terre in realtà non ci appartengono. Molti ma molti anni fa, così tanti che probabilmente dovrei nascere e morire almeno quattro o cinque volte per riuscire a coprire tutto questo tempo, il nostro popolo viveva ancora sull'isola Fukumo, una grande isola che si trova molto ad ovest, dove sorge anche la capitale>. Tossì un paio di volte prima di continuare. <Proprio così, il nostro popolo viveva lì. Sotto l'imperatore Matsuura però il nostro paese iniziò a espandersi in queste terre che all'epoca facevano parte del regno Vauhjall. Ma in queste terre non vivevano solo loro. Secondo le storie tramandate da padre a figlio, qui vivevano anche delle tribù primitive che però con la guerra si sono ritirate nel profondo delle foreste. Sapete> disse mentre la bocca si allargava in un sorriso e il tono della voce si abbassava <si dice che spiino la gente che si avventura nelle foreste e che a volte rapiscono per i loro strani rituali. A volte anche dalle loro case> disse alzando improvvisamente il tono della voce mentre muoveva le dita per cercare di spaventare i nipoti. Vedendo però che non aveva provocato nessun effetto, si accigliò e ricacciò in bocca la pipa. Dopo un paio di boccate riprese il suo racconto. <In realtà sono stati tutti sterminati o portati in un posto lontano. Comunque, con il tempo persero sempre più territori e alla fine la guerra tra i nostri popoli divenne una normalità. C'era la guerra, perdevano territori oppure li riconquistavano, si stipulava una pace e si riprendeva dopo qualche anno> e detto questo si fermò per l'ennesima boccata. 

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