Si scatena

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<Non capisco perché ti sei fatto il bagno se tanto sapevi che avresti dovuto combattere di nuovo> borbottò Kael mentre uscivano nel cortile della locanda. Nonairu scrollò le spalle e balzò sul cavallo focoso tenuto fermo da uno stalliere, spronandolo immediatamente al galoppo. Il medico sospirò e, imitando il resto del gruppo, salì in sella al suo destriero.

Uscirono dal cancello della casa e i cavalli, scartando a destra, alzarono una nuvola di polvere; dopo qualche secondo, il polverone fu bucato da un gruppo di cavalieri che appena li avvistarono incitarono ulteriormente i loro animali. La distanza non permetteva di vederli chiaramente, ma sembrava che fossero almeno il doppio di loro. Nonairu ghignò. I loro avversari non avevano sospettato della locanda, si erano solo accertati che il numero del gruppo corrispondesse e avevano continuato imperterriti.

<Quindi?> gli aveva chiesto il locandiere dopo aver lanciato anche lui un'occhiata alla parete. Evidentemente stava cercando di allontanare il discorso dagli eventi funesti di cui stavano parlando. <Come pensi di agire? Non sono sicuramente da sottovalutare, anche se dovresti riuscire a liberarti di loro da solo>.

<In teoria, ma prima è meglio accertarsi che non ci siano dei Goju tra le loro fila. Sarebbe una seccatura affrontarne uno ora, e preferisco studiarli prima>.

<Considerato che non sai contro chi ti troverai a combattere, penso che sia una buona soluzione. Sfrutterai il terreno della città per studiarli e di conseguenza adattarti> assentì il locandiere, scuotendo poi la testa. <Hai pure mandato un messaggero con il Segno al governatore della città per chiedergli di lasciarti passare liberamente ai cancelli della città e non infastidirti. Tutta questa roba per un ragazzino, poi>.

Lanciò un'occhiata alle spalle, osservando i mercenari che continuavano a inseguirli. La distanza era leggermente aumentata, ma non demordevano; dopotutto, non erano mercenari da due soldi. Il ghigno sul volto scomparì e riportò lo sguardo in avanti. La mente era vuota come la strada, niente di strano in quel periodo dell'anno; non doveva preoccuparsi di investire qualcuno o di emozioni che potessero increspare la calma che aleggiava in lui.

Si guardò intorno per qualche secondo. Nonostante la velocità a cui stavano viaggiando, il paesaggio scorreva lentamente e non accennava a cambiare; la strada rimaneva sempre dritta e le colline si alternavano a enormi distese verdi macchiate qui e là da gruppi di cespugli o alberi, ambiente intoccato dall'uomo. Solo di rado qualche villaggio lontano, circondato da campi deserti, interrompeva quella monotonia. Alzò lo sguardo al cielo grigio che rendeva lo scenario ancora più malinconico: sembrava che da un momento all'altro le nuvole si sarebbero messe a piangere, perciò distolse gli occhi per evitare che queste influissero sul suo umore.

Il cavallo inciampò in qualcosa e d'istinto strinse le gambe contro il ventre dell'animale, ma questo riuscì a rimanere sulle quattro zampe e recuperò la velocità persa.

Girò leggermente la testa all'indietro e vide che avevano aggiunto ancora un po' di distanza tra loro e gli inseguitori, ma non stavano scappando. Una volta raggiunta la città i ruoli si sarebbero invertiti, quella che sembrava essere la preda avrebbe iniziato a perseguitare il cacciatore. Socchiuse gli occhi, secchi per l'aria che gli sferzava sul viso, e scivolò piano nei suoi pensieri. La mente viaggiò senza controllo su un'isola lontana, inoltrandosi poi in un labirinto confuso quando deviò l'immaginazione da quel posto distante per evitare che il blocco di ghiaccio in cui aveva rinchiuso le sue emozioni venisse intaccato. Non poteva permettersi nessun errore, anche se la stanchezza gli chiedeva di lasciare i pensieri vagare, perché distrarsi significava morire.

Improvvisamente fu riscosso da un brivido di freddo e imprecò quando si rese conto che aveva perso la cognizione del tempo, al punto che non sapeva se fossero passati minuti o ore da quando la sua mente aveva divagato.

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