35. Ispirazione

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Tre bionde trecce. Bionde per modo di dire, perché, in realtà, le punte di ciascuna di esse sfumava in colori differenti; rispettivamente verde, azzurro erosa. Tra queste trecce erano infilati degli anellini, d'argento come la sorta di tiara costituita da una sottile striscia metallica che portava in testa e i lunghi orecchini pendenti, formati da varie stecche, che arrivavano a metà del suo petto. Al collo portava un semplice cordino senza altre decorazioni, come quelli che, sotto gli alti stivali neri, portava a entrambe le caviglie e al polso sinistro. Aveva un semplice vestito, una sorta di lunga maglia aderente che copriva i fianchi che era però possibile liberare con due evidenti cerniere bianche; le quali, a causa della camminata veloce, quasi corsa, di poco prima, si erano leggermente aperte alle estremità. Tra il vestito e gli stivali si vedevano dei leggins neri pieni di buchi.

Ancora leggermente ansimante si sfilò la borsa di tela bege che teneva a tracolla, aprì il grosso bottone nero centrale e i piccoli ossi con la stessa funzione che la tenevano chiusa ed estrasse un piccolo quaderno in pelle leggermente consunto e lo appoggiò su un tronco stando attenta a non bagnare le pagine legate con l'umidità causata dalla forte pioggia che era appena passata. Si rimise quindi a frugare nella sacca finché non estrasse una matita rivestita in legno grezzo, una morbida gonna nera, un taglierino, per fare la punta alla matita, e la custodia di degli occhiali. Dopo aver inforcato questi ultimi, aver messo via la custodia e aver preso in mano tutto il materiale si sedette sul tronco e iniziò a disegnare ciò da cui si era allontanata a così grande velocità.
Era assurdo come, subito dopo essersi allontanata da una frana, avesse così voglia di disegnare. Ma desiderava ardentemente rappresentare quello spettacolo di rocce che rotolano e scivolano le une sulle altre travolgendo piante e pochi sfortunati animali, facendo schizzare scintille, ghiaia e fango. Probabilmente non era uno degli avvenimenti che ispiravano più poesia, anche se causavano morte non erano considerate belle abbastanza; eppure aveva un'incredibile voglia di disegnare quello che aveva visto. Ovviamente prima si era allontanata, sia perché una zona così ricca di rocce e ghiaioni, soprattutto dopo una pioggia, era ad alto rischio, e non voleva lasciarci le penne, sia perché il paesaggio rimasto quando il meraviglioso avvenimento si era conclusa le avrebbero impedito di ricordare e immortalare a pieno l'episodio in sé, mentre avveniva.

Finito di disegnare la bozza e di essersi appuntata importanti dettagli da ricordare lì accanto, si alzò stiracchiandosi, dicendosi che avrebbe finito in un luogo più comodo. Mise via gli strumenti e si avviò, a passo più lento di prima ma comunque spedito, verso la città lì vicino.

Chissà se, mentre pattugliava la zona, gli altri avessero già preparato il pranzo, conoscendoli sì, ma per aspettare lei e gli altri avevano lasciato che si raffreddasse, probabilmente avevano anche già spento il fuoco.

Raggiunse uno dei paesini. Mentre camminava per le vie, circondata da antichi edifici della maggior parte dei quali aveva già fatto degli schizzi, ricominciò a piovere. Dopo aver cercato per un po' il suo poncho in tela cerata, riparata sotto un balcone, si ricordò di averlo prestato, settimane prima, a un suo compagno che non gliel'aveva ancora restituito.
Si sciolse quindi le trecce per farne tre disordinati cipollotti, di tre diversi colori, raccogliendo gli anellini in una striscia attaccata estrenamente alla borsa e fermata da un moschettone, alla quale era già attaccato un fischietto di marmo bianco.
Dalla sacca prese una specie di leggera felpa a maniche corte o larga maglia nera con cappuccio per non bagnarsi troppo.

Mentre camminando usciva dal paesino e imboccava un altro sentiero tra i boschi pensò, e tra i suoi pensieri si formavano molte stupende immagini che aveva l'impellente desiderio di mettere su carta, ma su un percorso irto come quello, con anche la pioggia, fermarsi era impensabile. Cercava quindi di salvare quelle idee nate da chissà quale strana ispirazione per quanto sarebbe arrivata al campo nel quale con gli altri avrebbe abitato per dieci giorni.

Per fortuna non mancava molto al momento nel quale avrebbe potuto mettere giù tutte le idee, infatti udiva il suono di una chitarra e le voci di alcuni suoi compagni che cantavano "Samarcanda", una delle canzoni da bivacco preferite da colei che aveva organizzato quell'uscita. Era vicina al campo.


Questa storia e le prossime fino a "Pezzetti di colori" le ho scritte in classe all'inizio dello scorso mese, ma solo ora mi è venuta la voglia di trascriverle.

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