37. Disperazione

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Non era possibile. La disperazione l'aveva presa, e non avrebbe potuto liberarsene per un bel po'.

Chiusa nella doccia, si strappava i capelli piangendo e gridando seduta nell'angolo della doccia. Il mascara e la matita colavano e le lacrime avevano cancellato in parte l'ombretto azzurro.

Non sapeva tra la sensazione di avere il torace vuoto quella di un artiglio che le stringeva gli organi quale fosse più forte.

Non sapeva perché faceva quello che stava facendo, doveva semplicemente, e lei semplicemente lo faceva.

Aveva gli occhi rossi, segni sulle gambe e sul viso, soprattutto vicino all'attaccatura dei capelli, dovuti alle sue braccia che si erano mosse, graffiandola, dalla foga del suo pianto.

Si abbandonò, appoggiando la schiena al muro e lasciando le braccia cadere con forza sulla pavimentazione in ceramica bagnata.

Le lacrime continuavano a scendere lungo le sue guance fin sotto il mento.

Alcuni capelli si trovavano strappati e sparsi nell'acqua che li portava nello scarico, nel quale molti si impigliavano in un groviglio decisamente poco piacevole da eliminare. Intanto dalla sua bocca uscivano singhiozzi e respiri affannosi ogni tanto interrotti dal tirare su col naso, mentre i polmoni si dilatavano e restringevano senza ritmo sotto la gabbia toracica ansimante.

Poi, come un barlume, una risata sostituì quella scena pietosa, senza realmente migliorare la situazione.

Rideva sguaiatamente allargando gli arti come in cerca di un appiglio quanto più lontano possibile dal corpo al quale erano attaccati, per poi scontrarsi contro le pareti di vetro iniziando a spingerle e accarezzarle lungo tutta la loro lunghezza.

Non sapeva perché faceva così, agiva e basta.

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