Act XXXVI

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Groviglio di emozioni

Non mi ero mai ritenuto un tipo di persona che segue gli stereotipi di film, che diventa un cliché su due piedi, che rispecchia quelle scene così melodrammatiche da far venire i nervi

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Non mi ero mai ritenuto un tipo di persona che segue gli stereotipi di film, che diventa un cliché su due piedi, che rispecchia quelle scene così melodrammatiche da far venire i nervi. Eppure sono qui, sotto la pioggia, fradicio, mentre combatto con la voglia di piangere e urlare dalla rabbia. Mi ripeto che al mondo ci sono cose peggiori di questa, che non devo lamentarmi perché c'è gente che piange di dolore fisico, sperando che in qualche modo questo pensiero possa rendermi forte. Allora perché fa ancora più male? È una sensazione interna che non riesco a sopportare.

Non è un dolore atroce, credo sia più opportuno chiamarla rabbia. È rabbia verso me stesso, perché non riesco a combinarne una giusta; è delusione perché ho deluso me stesso ma soprattutto gli altri, com'ero certo di fare alla fine; è tristezza perché non credevo potesse andare così. Odio tutto questo, odio sentirmi così, odio provare tutte queste sensazioni negative in una volta sola perché mi fanno venire voglia di prendere a pugni qualcosa.

I miei piedi si sono mossi da soli e mi trovo davanti casa del mio migliore amico, indeciso se suonare e chiedere aiuto oppure crogiolarmi nel mio momentaneo dolore. È la prima volta che mi capita una cosa simile per cui non so come affrontare tutto questo da solo, non so cosa fare.

Come sono arrivato a questo punto? È iniziato tutto questa mattina e so che è colpa mia.

Era appena finita l'ultima lezione prima dell'ora di pranzo e mi stavo dirigendo in mensa dove mi avrebbero aspettato i miei amici. Gli studenti si erano dimezzati rispetto al normale poiché la fine della scuola si sta avvicinando e probabilmente in questi ultimi giorni le persone hanno deciso di andare in vacanza prima del previsto. Arrivato in mensa avevo individuato piuttosto in fretta il tavolo su cui erano seduti i miei amici proprio grazie al numero ridotto di ragazzi presenti nella stanza. Mi ero guardato intorno e non avevo visto Jimin e ci ero rimasto un po' male perché di solito era il primo a sedersi al tavolo.

Mi ero seduto al tavolo e avevo salutato velocemente gli altri per poi tirare fuori il mio panino. Mi ero reso conto più tardi che qualcosa non andava in me poiché continuavo a battere il piede a terra senza riuscire a star fermo con gli occhi che vagavano da un angolo all'altro. Al momento non riuscivo a capirne il motivo ma il mio subconscio lo sapeva già.

Jungkook se n'era accorto ma con una mia occhiata ammonitrice aveva chiuso la bocca senza chiedermi nulla. Non avevo voglia di parlarne e di dire che non avevo idea di cosa mi stesse prendendo per poi mettermi ancora più nervoso.

Jimin era arrivato pochi minuti più tardi e credevo che la sua vista mi avrebbe tranquillizzato ma in qualche modo aveva peggiorato il mio umore. «Hey tu» mi aveva sorriso ampiamente chinandosi per darmi un bacio a stampo. L'avevo salutato con un mormorio senza ricambiare a pieno il bacio e me n'ero reso conto solo dopo aver visto la sua espressione confusa. «Tutto bene?» aveva chiesto a voce più bassa in modo tale da sentirlo solo io.

Come Romeo e Giulietta. O Quasi ¦ VminDove le storie prendono vita. Scoprilo ora