CAPITOLO 2

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 Can aprì piano il portoncino d'ingresso, cercando di fare meno rumore possibile.

Era stata una giornata interminabile, costellata da imprevisti e problemi che si erano sommati gli uni agli altri, ma per fortuna era finita, anche se risolvere tutto aveva richiesto più tempo di quanto si fosse aspettato. Ora l'unica cosa che desiderava era dormire.

Si diresse in cucina per prendere un bicchiere d'acqua e quando accese la luce ciò che vide lo lasciò senza parole: la tavola era ancora apparecchiata, anche se solo con un coperto. Al centro, delle candele e dei fiori, raccolti dal giardino, la abbellivano, donando al tutto un'aria molto intima e romantica.

Si avvicinò cauto. Vicino al piatto facevano bella mostra di sé un grande vassoio stracolmo di dolma e varie coppette contenenti salse e verdure.

Can si sentì profondamente in colpa: Sanem aveva cucinato, per lui, il suo piatto preferito e organizzato una serata che avrebbe dovuto essere speciale e lui aveva mandato tutto a rotoli.

Con un sospiro spense la luce e, in punta di piedi, andò in camera. La porta era socchiusa, lui la spinse appena rimanendo sulla soglia a contemplare, nella penombra della stanza, la sagoma di quella donna, che ormai da diciassette anni era sua moglie.

L'amava moltissimo, ma negli ultimi tempi, doveva ammetterlo, la stava trascurando a causa del lavoro. Il suo studio aveva ottenuto l'incarico di svolgere un servizio fotografico per l'Ente del Turismo, che sarebbe servito per promuovere all'estero l'immagine della Turchia quale meta ideale per le vacanze. Can era un professionista serio, molto scrupoloso e questo lo portava a voler controllare ogni aspetto, da quello puramente artistico fino a quello amministrativo/finanziario. Ma questo richiedeva tempo che, inevitabilmente, veniva sottratto alla famiglia.

Sanem non glielo aveva mai fatto pesare, ma lui la conosceva bene e sapeva che stava soffrendo per quella situazione, che lo costringeva a starle lontano più di quanto avesse voluto.

Quella avrebbe dovuto essere la loro serata. Dopo tanto tempo, finalmente, avrebbero avuto l'opportunità di stare da soli, senza i figli, nell'intimità della loro casa, cenando, chiacchierando e perché no, amandosi teneramente, ma lui non si era presentato all'appuntamento e sicuramente l'aveva delusa.

Facendo attenzione a non svegliarla entrò nella stanza, si spogliò e si infilò nel letto accanto a lei che giaceva su un fianco dandogli la schiena. Reggendosi su un gomito si chinò a baciarle la guancia, scostandole una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Lei non si mosse e lui, dopo un attimo si stese dietro di lei e cingendole la vita con un braccio se la tirò vicino.

"Hai ragione a essere arrabbiata e so che dirti che mi dispiace non è sufficiente, ma tenermi il broncio e fingere di dormire non risolverà le cose", le sussurrò.

Sanem non rispose. Can aveva ragione, la conosceva bene e non stava affatto dormendo. Tuttavia era troppo amareggiata e delusa per replicare. Lui capì e preferì non insistere.

"D'accordo, come vuoi, ne parliamo domattina", le disse per poi affondare il viso tra i suoi capelli e lasciarsi andare a un sonno ristoratore seguito poco dopo da Sanem.

Per quanto discutessero e fossero arrabbiati l'uno con l'altra, non riuscivano a dormire separati. Il momento di coricarsi segnava sempre l'inizio di una tregua, che durava fino alla mattina successiva. Era un controsenso, se ne rendevano conto, ma per Sanem le braccia di Can che la circondavano erano ossigeno puro e per Can il corpo di Sanem stretto al suo, il suo calore, il suo profumo avevano la capacità di rasserenarlo e spazzare vie tutte le preoccupazioni quotidiane. In quella camera, in quel letto, riuscivano a ritrovare, ogni volta, l'essenza delle loro anime, la parte più autentica di loro stessi, tornavano ad essere semplicemente Can e Sanem senza sovrastrutture, senza le impronte che il tempo e le esperienze vissute avevano lasciato su di loro. In quella stanza si liberavano della memoria, dei ricordi, della parte razionale e ascoltavano solo la voce del cuore che li spingeva l'una verso l'altro come calamite.

I raggi del sole che filtravano dalla finestra e puntavano dritti sulle palpebre, svegliarono Can il mattino successivo. Pigramente, leggermente infastidito, aprì un occhio, poi l'altro, allungò un braccio in cerca di Sanem e, non trovandola accanto a sé, si mise a sedere nel letto.

Tese le orecchie alla ricerca di un suono che gli facesse intuire dove potesse essere, ma non sentì nulla, solo un gran silenzio. I ragazzi erano tutti via: Efe a Londra, Babu in ritiro con la squadra di basket e Amina si era fermata a dormire da un'amica. Era un sabato mattina e né lui né Sanem lavoravano nel weekend, quindi dove poteva essere andata?

Desiderava chiarire al più presto il malinteso, se così lo si poteva definire, della sera precedente, perciò si alzò e si diresse in cucina, ma di lei nessuna traccia a parte un biglietto abbandonato sul tavolo.

"Sono andata a prendere Amina per portarla dai miei. Mi fermerò anch'io un po' con loro e più tardi andremo a pranzo con Ayan. Ci vediamo nel pomeriggio. Bacio!"

Can lo rilesse una seconda volta, cercando di capire con che stato d'animo Sanem lo avesse scritto. In quelle poche parole cercava un indizio che gli suggerisse quale comportamento tenere con lei una volta rientrata a casa. Era ancora arrabbiata? Delusa? Oppure lo aveva perdonato, come finiva col fare sempre?

Non sapeva perché, ma questa volta aveva la sensazione che non sarebbe stato semplice riportare il sereno tra loro.

Per scacciare i brutti pensieri, che cominciavano ad affollargli la mente, decise di uscire a fare una corsa. In questi casi fare dello sport lo aiutava sempre. Poi avrebbe lavorato un po' da casa, controllando i conti dello studio e magari avrebbe chiamato Metin per pranzare insieme.

Si stava infilando le scarpe quando fu interrotto dallo squillo del telefono: era Efe e si affrettò a rispondere.

Gli piaceva parlare con lui. Anche se si era perso due anni della sua vita era riuscito a creare un legame profondo e di questo doveva ringraziare anche Sanem, che non lo aveva ostacolato in alcun modo quando era ricomparso nella sua vita per conoscere il figlio. Efe non sapeva nulla dell'abbandono, Sanem non ne aveva mai parlato e lui era troppo piccolo per ricordarsi della mancanza di Can.

"Ciao pà!" lo salutò allegro Efe "Che stai facendo di bello?"

"Ciao figliolo, nulla di particolare. Tua madre e Amina sono uscite insieme e io mi sto preparando per andare a correre un po'. Tu come stai? Novità da Londra?"

"Sto bene, anzi molto, molto bene e sì c'è una novità: mi sono innamorato!"

RITROVARSIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora