CAPITOLO 20

1.2K 122 51
                                    

 Si dice che le cose accadano quando noi siamo pronti a riceverle e forse per Sanem era stato proprio così. Quella donna, che conosceva appena, aveva capito tutto di lei. Aveva capito il suo smarrimento, l'angoscia che le provocava e il bisogno quasi spasmodico che aveva di trovare delle risposte e le aveva detto che quelle risposte le avrebbe trovate dentro se stessa, nella profondità del proprio cuore...Quando le aveva afferrato la mano e l'aveva guardata, nei suoi occhi aveva letto il suo stesso dolore, ma anche una ritrovata serenità e una consapevolezza che avevano riacceso in Sanem la speranza che non tutto fosse perduto, che per lei e Can ci fosse ancora una possibilità.

E aveva seguito il suo consiglio: quella notte nella solitudine della sua camera si era concentrata non su ciò che Can aveva o non aveva fatto, ma sulle emozioni che provava quando, chiudendo gli occhi, le compariva la sua immagine.

Non poteva mentire a se stessa, lo amava ancora, forse di un amore diverso, meno passionale e coinvolgente, ma comunque totalizzante e profondo. Era il padre dei suoi figli, il compagno di una vita, con lui aveva pianto, riso, discusso e fatto pace mille volte e tutto questo non lo poteva dimenticare, era inciso in ogni fibra del suo essere e così sarebbe sempre stato. Lasciarlo non l'avrebbe resa più felice, ma solamente ancora più sola.

Quando si alzò la mattina successiva aveva preso la sua decisione.

Come prima cosa andò alla ricerca di Engin. Lo trovò in giardino a fare colazione insieme alla padrona di casa, che non appena vide sopraggiungere Sanem avanzò la scusa di voler dare un'occhiata alle bambine per lasciarli soli.

"Buongiorno Engin", esordì Sanem " credo davvero che il nostro compito qui sia concluso e che non ci sia motivo di rimanere ancora. Asia sembra si sia ambientata perfettamente... Che ne dici di rientrare a Istanbul subito dopo colazione?"

"Perché tutta questa fretta? In ufficio ci aspettano solo nel tardo pomeriggio... Godiamoci questa splendida giornata di sole! Un po' di relax ci farà bene, che ne dici?"

Sanem non voleva apparire scortese, ma quell'uomo le stava facendo saltare i nervi.

"Engin so benissimo che l'idea di venire qui è stata tua e che in realtà non ce n'era bisogno, ma perché? Cosa speri di ottenere?"

La sua reazione quasi la spaventò, perché si alzò bruscamente dal tavolo e le si avvicinò, troppo: "Ma non sei stanca di vivere così? Alla sua ombra, aspettando le sue attenzioni come un cane aspetta le carezze del suo padrone? Tu meriti di più, Sanem e io posso darti di più! Con me saresti felice come non lo sei mai stata, perché lui non ti ha mai amato, non ti ha mai desiderato tanto quanto ti amo e ti desidero io..."

"Engin ascolta io e te siamo solo buoni amici. Io AMO Can, l'ho sempre amato e lo amerò sempre, perché non vuoi accettarlo?"

"Ma con lui non sei felice, con..."

"Con lui", lo interruppe Sanem "io mi sento completa, viva, come con nessun altro... Non potrei MAI stare con un uomo che non sia Can... Mi dispiace, ma questa è la verità: io gli appartengo e sarà sempre così!"

Fece per andarsene, non c'era altro da aggiungere, ma Engin la trattenne per un braccio: "Dammi almeno una possibilità..."

Sanem si liberò dalla sua stretta: "Allora non vuoi proprio capire. IO NON TI AMO, NON POSSO AMARTI E NON VOGLIO AMARTI!"

Glielo aveva gridato, questa volta, e lui sembrò finalmente comprendere perché indietreggiò.

"Credo sia meglio che io torni a Istanbul per conto mio", concluse Sanem rientrando in casa.

Preparò velocemente i pochi bagagli che aveva portato con sé, poi chiamò un taxi che la portasse alla stazione da dove avrebbe preso un treno.

Abbracciò riconoscente la padrona di casa e salutò con un grosso bacio sulla guancia la piccola Asia che non parve per nulla rattristata dalla sua partenza.

Quando salì sul treno si sentiva leggera, fiduciosa. La nebbia che l'aveva avvolta per tanto tempo, finalmente si era dissolta e lei, davanti sé, vedeva chiaramente la strada che l'avrebbe riportata a casa da lui e dai suoi figli.

Man mano che il treno rallentava, avvicinandosi alla fermata di Istanbul le persone in attesa sulla banchina da puntini indistinti quali erano, acquisirono le loro fattezze di uomini, donne e bambini e tra di loro Sanem scorse una figura familiare. Si sporse verso il finestrino per vedere meglio: non si era sbagliata era proprio Can!

Provò una gioia immensa e un enorme sorriso le si dipinse in viso, ma durò un attimo perché si accorse subito della sua espressione stanca e preoccupata. Doveva essere successo qualcosa!

Si diresse frettolosamente verso l'uscita in modo da essere tra i primi passeggeri a scendere e quando la carrozza si fermò e si aprirono le porte lo chiamò a gran voce.

"Can, Can, sono qui da questa parte..."

Lui parve udirla perché si girò verso di lei e non appena la vide la raggiunse in poche falcate.

"Cosa ci fai qui? Come sapevi che sarei arrivata col treno a quest'ora?"

"Dobbiamo parlare!" disse lui per tutta risposta afferrando i bagagli.

"Non mi pare il luogo adatto..."

"No, infatti, sono venuto a prenderti per andare in un posto più tranquillo... Hai pranzato?"

"No..."

"Bene, neppure io... Andiamo a mangiare un boccone così ti spiego tutto..."

"Can, ascolta, non è nec..."

"Non si tratta di noi Sanem", la interruppe "ma di Babu..."

"Gli è capitato qualcosa? Ti prego dimmi che sta bene."

"Sì, sì tranquilla, ma è finito in un grosso guaio!"

RITROVARSIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora