CAPITOLO 34

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 Riprendere la quotidianità dopo la partenza di Amina non fu facile, nonostante non fosse la prima volta che lei, o uno degli altri ragazzi, si assentava. Ora, però, era diverso perché non si sarebbe trattato di pochi giorni, ma di un periodo imprecisato e questo "non sapere" contribuiva a tenere tutti "sospesi", in un clima di perenne attesa, come se ogni cosa procedesse al rallentatore.

Come promesso, appena arrivò a Kinshasa, Amina chiamò per tranquillizzarli: il viaggio era andato bene e non aveva avuto nessun problema con i visti d'ingresso. Si sarebbe stabilita lì, nella capitale dove la sua Ong aveva gli uffici di rappresentanza. Nei primi tempi si sarebbe limitata ad osservare, per capire, esattamente, in cosa consisteva l'attività di aiuto umanitario e come veniva svolta. Successivamente le sarebbe stato affidato un incarico preciso in base, anche, alle sue preferenze e attitudini.

Lei, scampata alla guerra, nella quale aveva perso entrambi i genitori, voleva essere di conforto ai bambini che avevano vissuto la stessa tragedia e lo stesso dolore e magari aiutarli a trovare una famiglia che gli accogliesse.

Era la prima volta che tornava in Congo, di cui non aveva ricordi, perché quando era stata adottata da Can e Sanem aveva solo due anni, eppure si sentì subito a casa. Gli odori, i colori della sua terra, perfino il suono della lingua, erano tatuati nel suo cuore, radicati nella sua anima e bastò trarre un respiro profondo, quando sbarcò dall'aereo, per riportarli in superficie.

Certo la sua famiglia le mancava, ma non era una sensazione struggente, piuttosto una sottile malinconia che superò ben presto grazie agli altri volontari che l'accolsero con gioia ed entusiasmo in un clima di autentica solidarietà. Non le ci volle molto per ambientarsi e capire che apparteneva a quella terra, a quel popolo e che solo lì avrebbe potuto essere felice. Quando parlava, in video chiamata, con Can e Sanem si sentiva in colpa perché non riusciva a nascondere la propria eccitazione e gioia, ma loro capivano e la rassicuravano ogni volta: se lei, lì, era contenta, loro non potevano che rallegrarsi. Ed era vero, il loro unico desiderio era che non solo lei, ma anche Babu ed Efe trovassero uno scopo, un obiettivo, un progetto attorno al quale costruire la propria vita, in modo da darle un senso.

Amina, pur essendo la più piccola, c'era già riuscita; Babu, decidendo di diventare un allenatore di basket, era sulla strada giusta; mancava solo Efe, che sull'argomento appariva assai sfuggente dopo il suo rientro dall'Italia.

"Temo si accaduto qualcosa con Isabella... Efe è così distratto e svogliato da quando è tornato... Tu non hai notato niente?" chiese Sanem a Can, un pomeriggio mentre in giardino si rilassavano sorseggiando un tè.

"Forse sentirà la sua mancanza. In fondo negli ultimi tempi sono quasi sempre stati insieme e ora che entrambi inizieranno l'università saranno costretti e vedersi molto più di rado ed è comprensibile che ciò li renda tristi... Ma io non mi preoccuperei più di tanto. Se fosse successo qualcosa di grave credo che Efe ce ne avrebbe parlato."

"Mmm, spero tanto tu abbia ragione..."

I timori di Sanem trovarono conferma quella sera stessa, a cena. Era una domenica ed erano tutti riuniti a tavola in attesa della chiamata di Amina: quello, ormai, era divenuto un appuntamento fisso. Dopo che la ragazza ebbe raccontato la sua settimana Efe, schiarendosi, la voce prese la parola.

"Visto che ci siamo tutti vorrei fare un annuncio... Vi chiedo solo di lasciarmi parlare fino alla fine e di sforzarvi di capire o, almeno, di non giudicare né me né Isabella..."

Can e Sanem si scambiarono un'occhiata aggrottando la fronte ma non dissero nulla ed Efe continuò: "Mamma, papà so che vi deluderò ma non potrò frequentare la facoltà di medicina... Isabella aspetta un bambino e io ho intenzione di sposarla. Mi cercherò un lavoro per mantenere lei e il piccolo. Questa gravidanza non ci spaventa, al contrario ci riempie di gioia. Quello che temiamo è una reazione negativa da parte vostra... Ci rendiamo conto che può sembrare una cosa affrettata, anche azzardata, ma non è assolutamente un errore, piuttosto un bellissimo regalo che la vita ci ha fatto e vorremmo tanto che anche voi la pensaste così." Efe aveva finito di parlare e nella stanza calò il silenzio.

Fu Babu a romperlo: "Wow! Diventerò zio!"

Poi fu la volta di Amina: "Caspita fratellone, congratulazioni! Vorrà dire che fra nove mesi ci rivedremo, perché non posso assolutamente non venire a conoscere ed abbracciare il mio nipotino!"

Can e Sanem continuavano a rimanere zitti, ognuno perso nei suoi pensieri.

Quell'annuncio aveva riportato entrambi indietro di oltre vent'anni, a quando anche loro avevano vissuto lo stesso momento, ma non ne avevano gioito perché Can aveva abbandonato Sanem e se n'era andato con tutto quello che ne era seguito.

"Mamma, papà... non dite niente?" chiese Efe impaziente non riuscendo ad interpretare quel mutismo.

Can trasse un profondo respiro e poi parlò: "Voglio essere sincero con te figliolo. La tua è una splendida notizia ma avrei preferito sentirla tra qualche anno... tuttavia sono fiero di te perché ti sei comportato da vero uomo assumendoti tutte le tue responsabilità... a differenza di me che sono stato così codardo da andarmene e lasciare sola tua madre..."

"Can...", cercò di fermarlo Sanem con gli occhi pieni di lacrime.

"No, tesoro", continuò lui "è arrivato il momento che tutti i miei figli sappiano cosa ti ho fatto..."

Babu, intuendo che ciò che stava per sentire non sarebbe stato piacevole, intervenne: "Papà, davvero non è necessario..."

"Sì invece", insistette Can "quando Sanem mi disse che spettava un bambino da me, io ho messo in dubbio che fosse mio e me ne sono andato. E se oggi siamo tutti qui e formiamo una famiglia, è solo grazie a vostra madre, che ha avuto la forza di perdonarmi e il coraggio di darmi una seconda possibilità."

A quella rivelazione Babu biascicò un timido "scusate devo andare", si alzò e se ne andò, mentre Amina disse solamente: "Oh papà, mi dispiace, mi dispiace davvero" prima di riagganciare.

Rimasero solo Efe e Sanem, quest'ultima che piangeva in silenzio.

"Io non ti porto nessun rancore papà, te l'ho già detto. E' vero per due anni non ci sei stato, ma poi sei stato sempre presente, mi hai cresciuto con amore senza mai farmi mancare nulla... Sul serio credo di aver avuto un ottimo padre... e spero di averlo ancora..."

"Certo che ce l'hai Efe... Ora più che mai" disse Can abbracciandolo.

RITROVARSIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora