CAPITOLO 33

1K 122 32
                                        

 "In realtà non sono sorpresa che Amina voglia tornare in Congo. Dentro di me l'ho sempre saputo, ma non pensavo che sarebbe stato così presto... Pensavo, speravo di avere più tempo..."

Era sera, erano a letto abbracciati e Can aveva appena finito di raccontare a Sanem ciò che gli aveva confidato Amina quella mattina quando erano andati a correre insieme.

"Lo so", le disse cercando di consolarla "ma i figli non sono una nostra proprietà e men che meno Babu e Amina. Noi li abbiamo accompagnati per un tratto di strada, ma ora è giusto che il resto del tragitto lo compiano da soli..."

"Ma a noi, Can, cosa rimane?" chiese Sanem con la voce rotta dal pianto.

"La speranza di aver dato loro tutti gli strumenti necessari per compiere quel viaggio che si chiama vita. Non saremo stati dei genitori perfetti, ma li abbiamo amati, li abbiamo preparati al futuro nel modo migliore che conoscevamo e ora dobbiamo avere la forza di lasciarli andare. Commetteranno degli errori, cadranno, si faranno male, com'è accaduto a noi e, come abbiamo fatto noi, si rialzeranno, si leccheranno le ferite e ripartiranno più forti di prima. E' inevitabile che questo accada, non possiamo impedirlo in alcun modo perché è parte di noi. Scegliere, sbagliare, ricominciare è nella natura umana ed è ciò che rende l'uomo l'essere più perfetto e, allo stesso tempo, imperfetto che esista."

Con quelle parole aveva cercato di confortare non solo Sanem ma anche se stesso. Erano passati diversi anni dalla sua esperienza in Congo, ma la situazione non era cambiata molto da allora e Can era, giustamente, preoccupato per l'incolumità di Amina. Mentalmente prese nota di cercare informazione sulla Ong per la quale la ragazza sarebbe andata a lavorare e le prime persone a cui chiedere, che gli vennero in mente, furono Camille e Kevin.

"Domani pensavo di chiamare mia madre per scoprire qualcosa di più sull'organizzazione che ha ingaggiato Amina, che ne dici?" chiese a Sanem.

"E' una buona idea, anzi ottima, grazie!"

"Dovrai parlare con lei, lo sai... La sua paura più grande è che tu non possa perdonarla."

"Non ho nulla da perdonarle..."

"Lo penso anch'io, ma lei ha bisogno di sentirselo dire... Hai notizie di Efe?" chiese ancora.

"Oh sì! Ha chiamato questa mattina mentre eri fuori. Ha detto che rientrerà la prossima settimana."

 "Mmm e come ti è sembrato?"

"Felice ed elettrizzato come non mai!"

"C'è un motivo particolare?"

"No, non credo, non mi ha detto nulla. Suppongo che sia l'amore che gli fa quest'effetto..."

Continuarono a parlare così ancora per un po', finché vinti dalla stanchezza non si addormentarono.

Ormai quelle chiacchiere serali erano diventate un'abitudine, un momento di incontro e condivisione, sostituendo, di fatto, il libro e gli auricolari di cui non c'era più traccia sui rispettivi comodini.

Chi accolse peggio la notizia della partenza di Amina fu Babu. Si era sempre sentito responsabile della sorella, in dovere di proteggerla e poi era l'unico legame di sangue che gli fosse rimasto.

Se si era ristabilito così in fretta dall'intervento e aveva deciso di accettare la proposta del suo allenatore, lo aveva fatto anche per lei. Per essere d'esempio e per non lasciarla sola. Ma ora era lei a lasciarlo solo e questo lo destabilizzava.

"Cosa pensi di trovare laggiù, che non puoi trovare qui? Abbandoni una famiglia che ti ha accolto con amore, che ti ha dato tutto ciò che si può desiderare; abbandoni me, tuo fratello, per che cosa?" le chiese arrabbiato.

"Non ti sto abbandonando Babu. Io per te ci sarò sempre. Ogni volta che avrai bisogno di me io sarò al tuo fianco, te lo giuro... Ma qui in Turchia io non mi sono mai sentita a casa. Forse mi sbaglio e neanche in Congo troverò ciò che sto cercando, ma devo provare..."

"Mi sforzo di capire ma non ci riesco. Cos'è che cerchi veramente?"

"Le mie radici, un posto che mi appartenga e a cui io sento di appartenere. Amo profondamente questa famiglia, lo sai, ma non mi basta, non mi basta più..."

Suo fratello scosse la testa sconfitto: "E' inutile continuare a parlare. So che non riuscirò a farti cambiare idea, per cui accetto la tua decisione anche se non la condivido... ma non verrò all'aeroporto. Ti saluterò qui a casa, perché è qui che voglio ricordarti", concluse abbracciandola stretta.

Le informazioni che Can riuscì a raccogliere sull'organizzazione non governativa che operava in Congo furono più che positive e questo lo tranquillizzò. Almeno avrebbe affidato sua figlia a un organismo serio e ben strutturato, che l'avrebbe seguita passo dopo passo.

Efe tornò in tempo per trascorrere qualche giorno insieme alla sorella prima della sua partenza.

A differenza di Babu elogiò Amina per la scelta che aveva fatto: "Ti ammiro davvero tanto Amina", le disse "hai avuto coraggio a prendere una simile decisione e sono più che sicuro che ovunque andrai e qualunque cosa farai lascerai il segno."

"Lo spero tanto Efe anche se mi dispiace aver deluso Can e Sanem... e Babu."

"Non dire sciocchezze! Mamma e papà sono fieri di te ed è naturale che siano un po' preoccupati, in fondo vai in un territorio in guerra. Quanto a Babu, gli passerà. Era abituato a vederti come la sorellina minore, di cui prendersi cura e scoprire, all'improvviso, che sei diventata grande e che sei in grado di cavartela da sola, lo ha mandato in crisi... Ma ci sono io con lui e poi presto avrà altro a cui pensare...", concluse enigmatico.

Amina partì un paio di giorni dopo. Can, Sanem ed Efe l'accompagnarono a prendere il volo sforzandosi di sembrare allegri, ma in realtà provavano una strana sensazione di vuoto, una mancanza, che li avrebbe accompagnati per diverso tempo fino a trasformarsi in nostalgia. Tutti si chiedevano se Amina sarebbe tornata, ma nessuno di loro aveva il coraggio di ammettere che se anche questo fosse accaduto lei non sarebbe più stata quella di prima.

RITROVARSIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora