CAPITOLO 13

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 "Lo sai, vero, che prima o poi dovrai affrontare Can?"

"Non ho nulla da dirgli", rispose ostinato Babu.

"Ma potresti ascoltarlo", insistette Sanem.

"Perché? Dammi una sola valida ragione del perché dovrei farlo..."

"Perché è tuo padre!...E ti vuole bene."

"Se mi volesse davvero bene sarebbe venuto alla partita."

Sanem sospirò rassegnata. Ogni tanto aveva l'impressione di confrontarsi con un bambino capriccioso invece che con un giovane uomo.

"Tesoro non puoi essere sempre così inflessibile. Devi dare agli altri il beneficio del dubbio."

Babu guardò sua madre, le voleva bene e sapeva che quell'attrito tra lui e suo padre la turbava e non se lo meritava proprio; aveva già i suoi problemi da affrontare e, a dirla tutta, quella situazione cominciava a pesare anche su di lui e sul suo rendimento sportivo.

" Pensi davvero che se la meriti? Un'altra occasione intendo..."

Lei ricambiò il suo sguardo e un ampio sorriso comparve sul suo volto: "Sì, credo davvero che abbia diritto ad un'altra possibilità."

"Va bene. Sabato la nazionale di basket disputerà una partita amichevole e sono stato convocato anch'io. Prima di offrirmi un ingaggio vero e proprio, vogliono vedermi giocare in squadra per capire come mi interfaccio con i compagni..."

"Ma è fantastico!"

"Sì lo è... e potrebbe anche essere l'occasione per riappacificarmi con papà."

"Sono certa che questa volta non ti deluderà."

"Lo spero, ma ho una condizione..."

"Quale?" chiese curiosa Sanem.

"Voglio che ci sia anche tu."

"D'accordo, ma se è un tentativo di mettere pace anche fra me e tuo padre ti avverto che non è così semplice."

"Non lo hai detto tu che dobbiamo dare agli altri il beneficio del dubbio? Io l'ho fatto, ora fallo anche tu! Cos'è che mi dici sempre? Coerenza; ci vuole coerenza tra le parole e i fatti..." concluse vittorioso Babu.

In quello stesso momento, Can stava rientrando a casa, al termine di un'altra giornata di lavoro e come sempre i suoi pensieri andarono a lei, a Sanem.

Quanti giorni erano passati da quando se n'era andata? Una settimana, due? Faceva fatica a ricordare, perché gli pareva che il tempo si fosse congelato in un istante eterno, che si ripeteva all'infinito, senza soluzione di continuità: si alzava, andava in studio, tornava a casa, dormiva, o meglio, il più delle volte vegliava, fissando il soffitto, in attesa che albeggiasse per ripetere, poi, tutto daccapo. Se non fosse stato per Amina si sarebbe dimenticato anche di mangiare!

Quando arrivò, stranamente, il portone d'ingresso non era chiuso a chiave: che se ne fosse dimenticato? Che fosse già rientrata Amina? O forse...?

Una debole speranza si accese in lui che entrando la chiamò: "Sanem, Sanem sei in casa?"

Ma quella flebile fiammella si spense non appena, sulla soglia della cucina, apparve Efe: "Sono io pà!"

Can lo guardò, impiegando un attimo per connettere: "Efe?... Che ci fai qui? Non dovresti essere a Londra?"

Lui rispose con un'altra domanda: "Che sta succedendo pà?"

Silenzio, poi...

"Mi ha lasciato...tua madre mi ha lasciato."

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