Capitolo 8

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“Punto mio!”
La voce squillante della ragazza risuonò sul caos che regnava nel giardino.
“Ehi ehi no… era fuori! Non è punto…”
Damiano si affrettò a ribattere una nuova pallina, con una violenza forse un po’ eccessiva ma con sua somma sorpresa, Vic la prese al volo, restituendogliela con una traiettoria improbabile.
“Punto mio!!” Urlò di nuovo lei, facendo una piroetta su se stessa e l’accenno di uno dei suoi balletti demenziali.
Damiano imprecò a denti stretti ma sorrise e si passò una mano tra i capelli ancora bagnati. Adorava quel suo sguardo battagliero e ribelle, la sua passione sfrenata ed il suo crederci sempre. La sua piccola riot girl, che aveva il potere di risollevargli le giornate ma anche di renderle un inferno.
Si preparò ad un altro set con aria fintamente professionale. Questa volta ce l’avrebbe messa tutta e non l’avrebbe lasciata vincere. Ammesso che fosse lui a lasciarla vincere. Doveva riconoscere che dal loro ritorno da Rotterdam, Victoria era diventata un discreto avversario in quella disciplina e si divertivano un mondo a passare le serate dopo cena lì nella veranda o a bordo piscina a combattere testa a testa un torneo ormai diventato eterno.
Era l’ultima sera prima della nuova partenza. Avevano quasi terminato i brani per il nuovo album, doveva solo chiudere ancora un paio di testi ma aveva quasi paura di farlo. Li trovava troppo intimi, troppo personali. Aveva la segreta mira di cambiarli completamente, di immergersi nell’atmosfera europea e tirar fuori messaggi più importanti magari ma meno vicini alla sua anima.
Era felice di ripartire ma sentiva anche una punta di angoscia all’idea di allontanarsi da tutto quell’ambiente protetto ed ovattato, che era la casetta-studio. Lui e i ragazzi avevamo trovato un nuovo equilibrio, una convivenza più matura e rispettosa. Le liti di un tempo sembravano del tutto dimenticate, o quasi.
Lui e Vic andavano d’amore e d’accordo ma la verità era che entrambi fingevano di non ricordare ciò che era successo solo qualche giorno prima e ovviamente era lei quella che riusciva a fingere meglio.
Si erano rifugiati di nuovo in quella casa della periferia di Milano. Una villa enorme, immersa nel verde, con una piscina bellissima e soprattutto una sala prove disponibile ventiquattrore su ventiquattro. Era l’ideale per concentrarsi sul nuovo lavoro ma anche per staccare dal resto del mondo. Si rendevano perfettamente conto che stavano affrontando un momento di grossi cambiamenti, di ingaggi, di grandi numeri e riconoscimenti. Avevano bisogno di rimanere soli per risintonizzarsi tra di loro e concentrarsi sui nuovi pezzi e soprattutto per capire i passi successivi da compiere senza lasciarsi travolgere dalla fama, che sembrava volerli risucchiare nel suo vortice.
Era stata come sempre Vic a proporre quella pausa, così come era stata lei all’inizio di tutto a trascinarli in Danimarca per provare a vivere insieme come una vera band. E anche in questo caso era stata la decisione migliore. Quello era il mix giusto: loro quattro e una manciata di amici fedelissimi, che li raggiungevano quando non lavoravano. E Chili, ovviamente, la piccola mascotte del gruppo.
Erano una famiglia e come ogni famiglia avevano le loro abitudini ed i loro scazzi ma nessuno avrebbe messo in discussione il loro rapporto. Era proprio in quei frangenti, nella loro quotidianità un po’ nerd e un po’ coatta, che Damiano riconosceva la sua vera forza e, se gli avessero chiesto dove si vedeva da lì a vent’anni, lui avrebbe risposto senza esitazioni, che si vedeva proprio in quella stessa casa, con quello stesso gruppo di persone.
Poi era successo il disastro. Non ricordava esattamente il motivo della tensione che regnava in casa quella sera: forse la grande stanchezza accumulata o forse quel giro di basso che Victoria si ostinava a voler cambiare. Più probabilmente era invece tutta la pressione, che il cambio di management e le imminenti interviste internazionali comportavano. A questo si era unita la piazzata di Giulia, che gli aveva appena sbattuto il telefono in faccia, rimproverandogli il fatto di non trovare abbastanza tempo per lei. Aveva ragione, questo era sacrosanto, ma come poteva immaginare che, presentandosi a Milano per stare insieme a lui, quest’ultimo potesse dedicarle tutto il suo tempo? Si era rifugiato lì proprio per lavorare! Sapevano che sarebbe stata dura, lo avevano sempre saputo. L’uomo sarebbe presto ripartito senza di lei e per quanto lei fosse sempre mostrata matura, le capitava sempre più spesso di cadere in piccoli eccessi di nervi. 
Damiano ricordava perfettamente di essere entrato nella sala prove con il telefonino ancora in mano e quell’espressione distratta dipinta in volto e di essere rimasto vagamente colpito da ciò che si era trovato di fronte. I ragazzi stavano provando da un paio d’ore in quella che chiamavano la loro sessione notturna. Vic era in piedi al centro della stanza, lontana dalla poltrona che usava di solito durante le prove. Indossava solo una maglietta gialla extra-large, rubata di sicuro dalla valigia di Ethan, che le lasciava scoperte le gambe leggermente abbronzante. I lunghi capelli le ricadevano sulle spalle, ancora umidi e spettinati, dopo il bagno in piscina di quel pomeriggio. Il viso struccato ed arrossato dal sole era lo stesso della ragazzina, che lo aveva stregato ormai sette anni prima. Lo sguardo severo, che lo aveva accolto non era però lo stesso di allora.
“Beh? Che c’avete da guardà??” Chiese, prendendo posto nella sua solita postazione in fondo alla stanza.
“Secondo te?” Era stato Thomas a dirlo. Sembrava sovrappensiero, come sempre immerso nei suoi accordi.
Il cantante gettò una rapida occhiata al proprio telefonino.
“Scusate avevo una chiamata urgente.”
“Una…!?” Gli fece eco la voce di Victoria. Era ironica e scazzata come non mai. “Sarà la centesima oggi… Grazie tante per averci degnato della tua presenza! Sono solo le nove di sera… ”
“Ma quante cazzate! Tanto fino a che non abbiamo i brani, che cazzo me metto a scrive? Dai… fatemi sentire come esce quella là de stamattina…”
La liquidò lui con un mezzo sorriso. Voleva alleggerire la situazione, non ne poteva più di battibecchi e giustificazioni dopo l’ultima chiacchierata con la fidanzata. Si accorse però immediatamente di aver compiuto un passo falso.
“No, non ti facciamo sentire proprio un cazzo. Ci siamo rotti i coglioni di aspettare i comodi tuoi! Siamo qui per lavorare: o lo si fa tutti insieme o tanto vale tornarcene ognuno a casa propria!”
Damiano si era sentito particolarmente colpito da quel tono acido e accusatorio, forse perché in fondo sapeva che aveva ragione lei. Odiava sentirsi additato davanti a tutti, come quando era a scuola e i professori amavano metterlo in ridicolo. D’istinto si era messo sulla difensiva.
“Scusa tanto se cerco di mantenere i contatti con il mondo esterno. Se ti fosse sfuggito, ho una vita anche fuori da qui.”
Per tutta risposta, la vide alzare gli occhi al cielo, sistemandosi la tracolla del basso sulla spalla.
“Se ti fosse sfuggito…” gli fece eco lei, con quel tono che lo mandava sempre in bestia. “Abbiamo tutti una vita e, se siamo venuti qui dentro, è proprio per isolarci e lavorare il più possibile per il dopo… perché non sappiamo cosa troveremo fuori di qui quando partiremo. Ma tu no, tu sei sempre distratto da altro.”
Erano esattamente le stesse parole che aveva usato Giulia poco prima: sempre distratto da altro.
“Non ti ci mettere anche tu, ti prego! Me ne  basta una di  fidanzate gelose…” Rispose offeso senza pensare al peso delle proprie parole.
“Ragazzi, stiamo calmi. Quello che voleva dire Vic è che…” Ethan aveva cercato di intervenire prima che succedesse il finimondo tra quei due animi infuocati.
“Ho capito benissimo cosa voleva dire. E io ripeto che non posso concentrarmi 24 ore su 24 sul lavoro. Nemmeno voi lo fate. Non siamo macchine e se ho una questione personale urgente e delicata… e voi sapete benissimo di cosa si tratta, beh… ho tutto il diritto di prendermi una pausa! Una!”
“Prenditi una pausa allora!”
La ragazza scattò immediatamente; odiava quando usava quel tono accondiscendente, si sentiva presa per il culo. Si tolse la tracolla con stizza e appoggiò il suo strumento alla parete, prima di uscire come un razzo.
“Dove vai adesso?”
“Sai che c’è? Anch’io ho un sacco di telefonate importanti da fare.”
Damiano posò lo sguardo su Thomas ed Ethan e dalle loro espressioni ferme e vagamente imbarazzante capì subito che erano d’accordo con lei. La seguì a ruota, abbandonandoli nella sala prove. I due ragazzi non tentarono nemmeno di intervenire. Ormai sapevano che era una questione tra lui e Vic. Era sempre una questione tra quei due.
“Dove cazzo vai adesso? Lo sai che odio quando prendi e te ne vai nel bel mezzo del discorso!”
La vide attraversare l’ampio salone, inseguita dalla piccola Chili, che faceva le feste ad entrambi per ricevere qualche coccola. Thomas li seguiva con lo sguardo attraverso la porta della sala prove, rimasta aperta. Lo infastidita il fatto che desse ragione a Vic, lo faceva sempre per partito preso, lo faceva da quando si conoscevano. Del resto erano come gemelli siamesi quei due e la bassista era sempre stata il boss del gruppo, fin da quando la cosa più difficile da decidere era la scaletta dei brani da suonare in palestra.
La ragazza non sembrò fare caso a loro e continuò nella sua invettiva senza senso.
“Ah Damià, hai rotto er cazzo! Qui i sacrifici li stamo a fa’ tutti!”
Non poteva credere che lo avesse gridato sul serio. A lui? Proprio a lui che non aveva fatto altro che sacrificare tutta la propria vita per quel gruppo di maledetti stronzi, ingrati?
“Parli a me di sacrifici? A me? Dopo tutto quello che ho fatto? Dopo tutto quello che mi sono perso per arrivare fino a qui?”
Victoria si era fermata all’improvviso, voltandosi verso di lui e rivolgendogli uno sguardo di fuoco. Era strano come due occhi così glaciali potessero scottare tanto. Damiano, che la stava seguendo, per poco non le andò a sbattere contro e si fermò a pochissimi centimetri dal viso di lei. Capì immediatamente di essersi spinto oltre, Vic non era una che si arrabbiava facilmente, non come lui almeno, ma quando ciò accadeva c’era da mettersi ai ripari.
“Dai, dillo. Dì che è tutto merito tuo, che senza di te non saremmo mai arrivati a questo punto! Dillo che non valiamo un cazzo! Si vede che muori dalla voglia di farlo!”
Il tono della ragazza era tagliente ed asciutto, non tradiva un minimo di emozione a parte il disprezzo. Lei era scalza e così piccola in confronto a lui, con il suo metro e sessanta, ma incuteva ugualmente un certo terrore. Damiano fece istintivamente un passo indietro, quasi avesse paura di venire colpito. Com’erano arrivati fino a quel punto nel giro di trenta secondi?
“Ehi ehi frena… io non l’ho mai detto!”
“No, ma lo pensi… lo pensi eccome, altrimenti non ci mancheresti di rispetto in questo modo. Nessuno ha mai messo in dubbio il tuo talento, il carisma o quel fottuto dio-solo-sa-che-cosa ma ricordati che non sei solo in quest’avventura.”
“Lo so!” Le saltò sulla voce lui ma la donna continuò come se non avesse sentito.
“Se noi ci comportassimo tutti in questo modo, tu saresti il primo a riprenderci e a metterci in riga. Stai esagerando, non lo vedi? Lei è sempre qui intorno e quando non c’è, monopolizza tutto il tuo tempo al telefono. Dimmi, come farai quando sarete lontani? La porterai come una sorta di appendice?”
“Non eri tu che dicevi che ero fortunato… che non dovevo preoccuparmi?!”
“Sì, prima che perdessi completamente la lucidità e l’autonomia. Tra un po’ ci chiederai di mettere Giulia a fare i cori o che cazzo ne so… La nostra PR!”
Non era sicuro ma Damiano colse una punta di gelosia in tutto quel discorso. Da una parte lo faceva sentire meglio ma decise di non mollare e anzi non perse l’occasione di tirare fuori quel nodo, che lo tormentava ormai da qualche giorno.
“Senti chi parla, quella che ha chiamato praticamente tutto il suo harem qui a scroccare a spese nostre! Nun te bastavano i tuoi amici sfigati… dovevi portà anche quel cojione de Luigi, che se ne sentiva tanto la mancanza?!”
L’espressione sul volto della ragazza cambiò di colpo.
“Che cazzo c’entra? Mica l’ho invitato io…”
“E chi gliel’ha detto che stavamo qui? Lo ha detto lui che lo hai invitato. E nun me tirà fori la storia che c’avete ‘n botto de amici in comune, che de sicuro Alice nun je faceva tutta sta pubblicità!” Sputare quelle cose con tutto il rancore accumulato negli anni gli diede solo un breve ed effimero senso di soddisfazione. La verità era un’altra, lui si sentiva un perfetto rosicone, infelice e poco apprezzato da lei.
“Nun te deve interessà co’ chi me sento e me vedo. Non sei mí padre e tanto meno il mio ragazzo!”
“E Joy allora? Lei non dice niente?” Voleva insinuare qualcosa di più grave e scomodo, che la ragazza decise di non cogliere.
“Luigi è anche amico suo. Non ho bisogno di nasconderle nulla perché ci fidiamo e poi qui il problema non sono io o chi invito, il problema sei tu che non riesci a gestire la tua vita privata e il lavoro. Eppure lo sai come funziona: se hai dei problemi fuori da qui, se ne parla insieme. Se sei stanco, ricorda che lo siamo anche noi. E se vuoi andartene e risplendere da solo, beh accomodati… quella è l’uscita!”
Rimase leggermente spiazzato. Gli aveva appena detto che poteva anche andarsene e mollare il gruppo? Avrebbe davvero mandato tutto quanto a puttane proprio adesso?
Victoria approfittò di quel momento di defaillance per voltargli di nuovo le spalle ed entrare in bagno. Non fece in tempo a sbattere la porta alle proprie spalle, che l’uomo si mise in mezzo per aprirla di nuovo e seguirla nella piccola stanza. Non poteva lasciare che avesse l’ultima parola.
“Ehi… datte 'na calmata, ok?!!”
Avrebbe voluto essere più risoluto ma desiderava anche abbassare i toni, intuendo che si sarebbero fatti del male.
“Esci di qui!”
Victoria lo spinse fuori, ben sapendo che non aveva la forza di spostarlo.
Come previsto, Damiano oppose resistenza senza nemmeno bisogno di toccarla.
“Vuoi davvero che me ne vada dal gruppo??”
“No. Voglio che mi lasci sola adesso.” 
Gli occhi azzurri erano colmi di lacrime di rabbia e orgoglio insieme. Invece di uscire, Damiano diede un colpo di tacco alla porta, per rimanere solo con lei ed evitare gli sguardi curiosi degli altri.
“Mi spieghi che diavolo ti succede? Sono mesi che ce l’hai con me…” Stava bisbigliando adesso e la guardava dritto negli occhi. Aveva evitato quel discorso per molto, molto tempo ma quel pensiero fisso continua a martellargli in testa senza dargli tregua.
“Ma che cazzo dici? Vattene per favore…”
Ora Vic non lo guardava più. Era in difficoltà in quello spazio così ristretto, si capiva che era come un animale in gabbia.
“E invece sì, mi eviti. Che ti ho fatto?”
“Nulla.” Ora parlava a monosillabi. Aveva sbroccato lo sapeva, voleva solo sbollirsi in santa pace. Sentì la mano di Damiano, che cercava il suo viso e si scostò, continuando ad evitare lo sguardo dell’uomo da una parte ed il loro riflesso nello specchio lì di fronte dall’altra. Sapeva che sarebbe arrivato il momento del confronto ma sperava stupidamente che non succedesse mai, che fossero solo sensazioni, alle quale non voleva dare un nome.
“Non me freghi, lo sai che te conosco. È per Giulia? Ho capito che non volevi più essere messa in mezzo, siamo usciti allo scoperto anche per questo. Per liberarti…”
“Per liberarmi? E da cosa?? Pensi sia così disperata?” Vic rise ma era una risata disperata, appunto. “No… lei non c’entra nulla. È tutto a posto, ok?! Non parliamone più.”
Avrebbe solo voluto spingerlo fuori da quella stanza, che stava diventando troppo stretta per tutti e due. Erano vicini, forse come non lo erano stati dalla serata in Svezia e, benché lui capisse di dover lasciar perdere il discorso, il suo corpo non ne voleva sapere di muoversi da lì.
“Che ci è successo allora? Dimmelo! Ti ho offeso in qualche modo?? C’è qualcosa che non so? Non ti riconosco più… “ L’uomo aveva alzato leggermente il tono, sentendo crescere l’esasperazione. Era come scontrarsi con un muro di gomma.
“Smettila adesso! Sono paranoie le tue. Che è successo secondo te? Nulla. Si cambia. Siamo cambiati… Anche tu lo sei. Per questo siamo venuti qui, per…”
Le parole erano state interrotte improvvisamente, zittite dalle labbra di lui. Due labbra morbide, che sapevano vagamente di frutta e tabacco. Due labbra che Victoria conosceva alla perfezione, alle quali le sue non avevano potuto fare a meno di rispondere. Non avrebbero saputo dire quanto fosse durato quel bacio rubato nel bagno di servizio di una villa in affitto. Qualche secondo, forse qualche minuto. Era un gioco lento, nel quale sembravano riconoscersi e scoprirsi per la prima volta. Quando Damiano salì con la mano ad accarezzare i viso di lei, la ragazza si scostò come se quel lieve tocco l’avesse scottata. Fu allora che Damiano sembrò rinsavire di colpo e si allontanò con un’espressione confusa e colpevole dipinta sul viso. Vic si era portata una mano alle labbra, era spaventata, come se non riuscisse a metabolizzare quello che era appena accaduto.
“Scusa. Scusa… io non so…”
Aveva balbettato lui in preda al panico. Che cazzo era successo? Un attimo prima stavano litigando furiosamente e un attimo dopo eccoli lì, persi l’uno nell’altra.
Vic aveva il respiro accelerato, Damiano poteva quasi sentire il suo cuore battere all’impazzata. La vedeva, stava per scoppiare a piangere, intuendo le enormi conseguenze del loro gesto e lui avrebbe voluto fare o dire qualcosa, qualsiasi cosa perché ciò non accadesse.
In quel momento fu lei a prendere l’iniziativa.
“È tutto ok…”
Lo scansò senza fatica, sgusciando fuori  dal bagno con passo veloce Sembrava un cazzo di déjà-vu, proprio come quando era fuggita da quell’attico qualche settimana prima. Era brava a scappare, forse era quello lo sport che le riusciva meglio.
Damiano era rimasto immobile, senza nemmeno il coraggio di guardarsi allo specchio. Aveva sentito il cancello sbattere, seguito dal rombo del motore dell’auto.
Cazzo. Che cazzo aveva fatto??
Vic era rimasta fuori per un paio d’ore. Aveva provato a chiamarla più volte, ben sapendo che non aveva alcuna possibilità di ottenere risposta. Questa volta si era spinto oltre, così oltre come mai in passato. Forse era la maggiore sicurezza in se stesso o magari solo quella pressione crescente dall’esterno, che lo obbligava a cercarla ancora di più. Non sapeva cosa gli aveva preso, sapeva solo che era dalla sera in Svezia che non faceva altro che pensare a lei, alle sue labbra e all’eccitazione che un solo secondo vicino a lei gli aveva provocato.
Era rimasto solo, seduto sul bordo della piscina mentre il sole era scomparso definitivamente ad ovest. Aveva cercato di buttare giù qualche riga scritta per cercare di capire meglio ciò che il suo cuore e la sua mente non riuscivano ancora a metabolizzare. I ragazzi non avevano fatto domande e anche se le avessero fatte, lui non avrebbe saputo cosa rispondere. Tutto ciò che lo tormentava era il pensiero di ciò che aveva fatto e le conseguenze che avrebbe avuto sul suo rapporto con Vic. Era preoccupato per lei, non sapeva dove fosse, cosa pensasse. Aveva così paura di perderla che in un primo momento non aveva nemmeno realizzato di aver tradito la fidanzata. Solo più tardi aveva compreso la gravità dell’accaduto, quando Giulia lo aveva chiamato con la chiara intenzione di fare pace e lui si era sentito un perfetto estraneo. Aveva forse ragione lei ad essere così gelosa di Victoria? Avevano ragione tutti a fantasticare su una loro ipotetica relazione? O forse si ingannavano, così come si era ingannato lui quella sera di inizio giugno?
Non sapeva più nemmeno lui cosa provava. Era sicuro dei suoi sentimenti per la fidanzata ma come poteva dare un nome a ciò che lo legava a Victoria? Aveva la sensazione che non esistesse ancora una parola per descrivere il loro rapporto, persino la parola amore sarebbe stata riduttiva. Era stato bello. Ecco, forse era solo bellezza quella che lo teneva ancorato a lei. Bellezza d’animo, bellezza artistica, bellezza e basta.
Poi lei era tornata.
Era entrata in silenzio in casa, togliendosi le scarpe per non fare rumore ed era sgattaiolata su per le scale.
“Tutto bene, Vincé?”
Le aveva chiesto Thomas, affacciandosi dalla sua stanza con la faccia di chi non riusciva a dormire.
Lei annuì. “Sì Fettucí, torna a letto ora!”
Solo allora Damiano aveva sentito sciogliersi la tensione. Avrebbe voluto alzarsi ed andare da lei per scusarsi, per chiarire ma aveva la segreta paura che sarebbe successo di nuovo e di nuovo.
Il giorno dopo l’aveva vista scendere tardi, facendo finta di niente. Si erano salutati mentre lui si stava allenando in giardino e tutto aveva continuato a scorrere con serenità, come se non fosse mai esistito nessun bacio e nessuna scenata di gelosia reciproca. Nessuno dei ragazzi avrebbe fiatato ora che l’armonia sembrava ristabilita, solo Lello lo guardava in modo strano, come se gli leggesse nella mente senza bisogno di chiedergli nulla. Anche ora che stavano lottando all’ultimo sangue per quel set di ping pong, lui li filmava con la sua aria sorniona, che ne sapeva sempre più di tutti. A Damiano non piaceva essere ripreso, sapeva di non poter sempre fingere e quel piccolo ficcanaso riusciva sempre a rubargli un pezzetto di anima, mettendola a nudo.
“E chi vince?! Chi vince? Dai, dillo!! Dillo, Damià!”
Gridò la bassista con quella sua aria da bambina. Damiano rise, ammettendo la sconfitta con una sportività che non gli apparteneva. Amava vederla così su di giri, la sua coatta preferita.
“Vic, sei la regina del mondo…”
“Non ho sentito bene… voi regà, che avete sentito quarcosa?”
Damiano si mise a ridere con maggiore imbarazzo, guardandola compiere quella danza della vittoria.
“Victoria, sei la regina del mondo!”
Ripeté più chiaramente, vedendola saltellare felice verso il bordo piscina.
Il sole stava tramontando, si buttarono in acqua e assaporarono gli ultimi stralci di quella breve vacanza. L’indomani sarebbero stati catapultati di nuovo nel mondo frenetico dello showbiz. Damiano si chiedeva come lo avrebbero affrontato sapendo ciò che era accaduto tra di loro. Il telefono vibrò sul telo a bordo vasca e si ricordò solo allora che doveva chiamare Giulia. Non aveva tanta voglia di farlo ma ormai si sentiva costretto ad una routine nervosa e per niente appagante.
Stava per caso succedendo ciò che aveva temuto fin dall’inizio? Stava sacrificando il suo rapporto in nome del successo? Ma poi poteva il successo essere più eccitante di una relazione? Più appagante di un amore?
No. Chiunque avrebbe risposto di no a meno che non avesse avuto un egocentrismo così smisurato ed una fame di successo così grande come la sua.
Ma poi era davvero questo il suo caso? Quanto era disposto a sacrificare della propria vita privata per inseguire un sogno? O non era forse che, nella sua scala di valori, la sua relazione con qualsiasi donna al mondo non sarebbe mai stata paragonabile a quella con la band e con un’altra donna, che stava sacrificando tutto almeno quanto lui?
Passò lo sguardo sulle facce sorridenti dei suoi compagni di avventura. Thomas stava dilettandosi in una sorta di rap un po’ sconnesso, mentre Vic ed Ethan si stavano prendendo in giro a vicenda, mentre se ne stavano a mollo su un enorme gonfiabile rosa. Non avrebbe scambiato quel momento per niente al mondo. Sentiva che il suo posto era quello, che Giulia aveva ragione ad esserne invidiosa perché non lo avrebbe mai barattato con una vita differente.
Non aveva un piano B. Non aveva mai avuto un altro sogno nel cassetto e nessuna donna lo aveva mai capito come quel folletto biondo, che ora si buttava in acqua con una panciata. Si chiese se le sue ex non avessero avuto ragione, se lui aveva davvero sempre scelto Victoria al posto loro, identificandola con la sua musa e con ciò che lui voleva essere. Perché, ora che si era spinto oltre e che lo agitava forte il terrore di perderla, una cosa gli era fin troppo chiara: Damiano non voleva solo essere famoso, lui voleva essere famoso insieme a lei.
























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