Capitolo 36 - Epilogo

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La vide guadagnare il centro del palco con la sua solita aria divertita e fintamente arrogante. Era la regina lì sopra, tutti la amavano, persino i bambini, che facevano carte false pur di ricevere un autografo e un abbraccio da lei. Nel corso degli anni Damiano aveva potuto appurare che, quando si trattava di Victoria, nessuno riusciva a rimanere davvero immune al suo fascino. Era l’ideale di tutti gli uomini e il sogno proibito di milioni di donne ma anche l’emblema della sana solidarietà femminile, quella che univa invece di dividere. Aveva perso il conto di quante volte la gente aveva sostenuto una loro ipotetica relazione. E chissà quante di quelle mani alzate, che ora li acclamavano e li filmavano, erano lì in attesa di un loro contatto, di una smorfia, o solo di un sorriso, una qualsiasi interazione, che confermasse che tra di loro c’era qualcosa di più della semplice amicizia? Eppure nessuno poteva nemmeno lontanamente immaginare l’inferno che avevano attraversato per arrivare fino a lì.
Se solo avessero potuto leggerle dentro in quello stesso istante, avrebbero visto quanta passione e quanta sofferenza c’erano nascoste dietro al sorriso spensierato, che riscaldava i loro cuori. C’era tutta l’ansia, il cuore a mille, la fame d’aria e quel dolore intermittente, che ancora non le dava tregua.
Era tornata troppo presto, questo le aveva ripetuto Damiano fino allo sfinimento. Glielo aveva sussurrato sull’aereo, in hotel, persino nel camerino mentre si preparavano. Era ancora provata sia fisicamente, che psicologicamente, nonostante lei fingesse in modo magnifico. Il post-intervento era stato più duro di quanto immaginasse, le avevano detto che nel giro di qualche giorno tutto sarebbe tornato alla normalità e invece nulla era più lontano da essa. Damiano si era accorto che qualcosa non andava, non appena l’aveva vista scendere dall’auto di Leo; Vic sembrava su un altro pianeta, colpa degli antidolorifici e di quelle pastiglie, che le causavano dei crampi terribili. Era normale, questo gli aveva detto per rassicurarlo. Era la prassi. Così come era la prassi avere ancora la nausea fino al crollo definitivo degli ormoni. Ben presto però, a tutto questo si era aggiunta una febbre costante, che aveva fatto temere una probabile infezione ed un altrettanto probabile slittamento dei loro impegni. Vic non si era lasciata fermare e ovviamente non aveva ascoltato le sue proteste, iniziando invece ad alternare gli antibiotici alle iniezioni per restare in piedi e partire secondo la scaletta concordata.
Damiano era molto preoccupato per lei, la vedeva così fragile ma sentiva di non avere  alcun potere, soprattutto ora che il lavoro sembrava l’unico stimolo per farla tirare avanti.
Si avvicinò alle sue spalle con il sorriso più ammiccante del suo repertorio, quello che tutti si aspettavano da lui; dentro la sua testa però urlava una voce che suonava più come un vero e proprio allarme: c’era troppo caldo là sopra, la gente era troppa e troppo vicina a lei.
Aspettò l’attacco di Thom ed entrò con la voce ormai roca per lo sforzo. Le sorrise, cercando la scintilla nei suoi occhi e l’attirò a sé, senza mai toccarla, con quel loro filo invisibile per portarla lontana dalla bolgia, che minacciava di risucchiarla. Il pubblico era in visibilio, poteva quasi sfiorarli e sentire le loro stesse vibrazioni, la loro energia. Damiano aveva l’impressione che se ne cibassero, lasciandoli  come palloncini sgonfi, ogni volta che scendevano le scalette del backstage. Se solo avesse potuto interrompere tutto, se solo avesse potuto costringerla a prendersi una pausa. Ma quello ero lo show e lo show doveva sempre continuare, perché Vic viveva per quello show e aveva rinunciato a tutto quanto per esso.
Sapeva fin troppo bene cosa sarebbe successo, ancora un paio di canzoni e finalmente sarebbe scesa dal palco con le vesciche sulle dita e l’urgenza di buttare giù un paio di antidolorifici.
“Finisco la scatola e poi basta.”
L’aveva sentita dire ad Ethan, quando il batterista le aveva chiesto spiegazioni su quelle che lei aveva definito: pillole per la schiena.
Anche i ragazzi erano preoccupati, era dal loro ritorno da Amburgo che fingevano di non sapere nulla, perché nonostante Leo e Gaia li avessero messi al corrente dell’accaduto, Vic non voleva che qualcuno sapesse. Avevano rispettato questa scelta, fingendo e vivendo con dolore il non poterle stare accanto come avrebbero voluto. Lo facevano in mille altri modi, come due angeli custodi pronti a coprirle le spalle in qualsiasi momento; del resto anche loro erano parte integrante di quella famiglia e adoravano troppo mamma-maneskin, per non capire la battaglia che stava combattendo contro se stessa. Si sentivano segretamente in colpa per non aver compreso, per non aver fatto nulla, ben consapevoli che Vic e Damiano avevano fatto una rinuncia troppo grande per il gruppo. Se solo li avessero coinvolti prima, avrebbero capito che Thomas ed Ethan sarebbero stati disposti a condividere i loro sacrifici, che avrebbero aspettato quel bimbo con la stessa gioia e trepidazione perché faceva parte anche della loro famiglia e avrebbero rimandato ciò che si doveva rimandare, avrebbero adattato il passo della band senza battere ciglio, perché era così che faceva un branco. Invece no, erano rimasti in disparte, con rispetto, senza fare troppe domande e avevano cercato di proteggerli come potevano. A ben pensarci lo avevano sempre fatto, fin dall’inizio, da quando erano ancora due bambini, spettatori di quella storia d’amore tutta sbagliata.
Damiano avrebbe tanto voluto che intervenissero, che prendessero da parte Vic e la facessero ragionare in qualche modo ma sapeva che lei non glielo avrebbe mai perdonato. Da parte sua invece era consapevole di non avere potere di fronte alla determinazione della bassista e, più cercava di parlarle, più lei si allontanava, richiudendosi in se stessa.
Capitava a volte che dormissero ancora insieme, lo facevano quando lui non riusciva a prendere sonno per gli incubi o il jet lag. Vic lo accoglieva tra le sue braccia e lo coccolava in silenzio, fino a che lui non si lasciava andare. Erano i loro momenti speciali,   in cui sembrava che il passato fosse ancora lì pronto a riemergere. Erano i momenti, nei quali lui si lasciava andare, smettendo di fingersi sostenuto per tornare il solito Dam dolce e bisognoso di rassicurazioni. Ma anche allora non ne parlavano. Di quello che era successo non parlavano mai. Era troppo presto.
Spesso Damiano si chiedeva se prima o poi la verità sarebbe saltata fuori, se Vic avrebbe mai deciso di sfogarsi con qualcun altro. Sapeva fin troppo bene di non essere la persona giusta per farlo ma stupidamente, sperava che un giorno si sarebbero aiutati a vicenda.
Quanto a lui, beh… non andava di certo meglio: si sentiva depresso, deluso, arrabbiato, non sapeva nemmeno come spiegarlo. Cercava di esorcizzare quel dolore attraverso la scrittura ma come poteva riuscirci, se faticava persino a parlarne con Leo, che già sapeva?
Un lutto, così lo aveva definito la sua psicoterapeuta. Un lutto ancora più difficile da elaborare proprio perché avvenuto nel momento di massima gloria e affermazione di sé. Un lutto da metabolizzare separatamente mentre vivevano insieme ventiquattr’ore su ventiquattro, fingendo di divertirsi un mondo. Era pura utopia.
Forse un giorno Victoria avrebbe capito il suo punto di vista. Magari nel giro di dieci, vent’anni quando, guardandolo negli occhi sarebbe riuscita ad immaginare per la prima volta un ragazzone biondo dai tratti decisi o una splendida donna dallo sguardo profondo, che avrebbe potuto essere la loro gioia e il loro più grande orgoglio. Damiano immaginava spesso una bambina dal broncio adorabile, con lo sguardo fiero di Vic; di tanto in tanto la sognava invece più simile a lui, con gli occhi nocciola e gli zigomi perfetti, che aveva ereditato da sua madre. Sarebbe stato difficile starle dietro, questo era certo!
Ci pensava in continuazione per farsi del male. Ci pensava sempre, guardando i ragazzini impazziti lì sotto al palco, accompagnati dai loro genitori. Come avrebbe potuto essere loro figlio? Timido o sfrontato? Deciso, fragile, affettuoso, talentuoso? Fiero dei suoi genitori o se ne sarebbe vergognato come tutti gli adolescenti? Erano domande dolorose ed inutili, che non voleva smettere di porsi perché in fondo non voleva perdere per strada quel ricordo, non voleva che si affievolisse e finisse risucchiato nelle sciocchezze della quotidianità.
Vic no, lei rifiutava fermamente quel pensiero, lo teneva seppellito lì in fondo al cuore, insieme alla miriade di altri dolori del passato.
Erano distanti, lui e Vic. Distanti come forse mai in passato. Erano distanti ma ugualmente uniti da quel segreto inconfessabile, che li costringeva a parlare un linguaggio tutto loro, fatto di sguardi, sottintesi, piccole attenzioni. Nessuno avrebbe capito quanto fossero arrivati vicini ad essere una vera famiglia e quanto ancora i loro destini fossero indissolubilmente intrecciati. Quel periodo infatti era servito ad entrambi per crescere e per rendersi conto della vera natura del loro rapporto; erano finalmente scesi a patti con i propri sentimenti e dopo anni, avevano realizzato che razionalizzare non sarebbe servito più a niente: si amavano, non potevano negarlo, potevano solo conviverci e lasciare che il tempo indicasse loro la strada da percorrere. Forse, in un futuro non troppo distante, sarebbero riusciti a trovare un equilibrio, un modo di vivere insieme senza rinunciare per forza a qualcosa. Dentro di sé Damiano era convinto che fosse molto più semplice di quanto lei pensasse, nessuno si sarebbe mai opposto ad una loro storia d’amore: non i loro compagni, né le loro famiglie, sicuramente non i loro fan. Lo scoglio più grande rimaneva sempre Vic, che per difendere la libertà che tanto amava, finiva per non essere libera affatto.
Lei e Joy continuavano a sentirsi, nonostante ciò che era accaduto, la ragazza non le aveva mai voltato le spalle. Non sapeva che tipo di rapporto avessero davvero ma non ne era più così geloso perché sapeva che anche quello faceva parte del pacchetto e che tutto ciò che aiutava Vic a sentirsi meglio era da apprezzare e non da combattere. Quanto a lui, si era preso un periodo di pausa con Giulia, non era nemmeno sicuro che l’avrebbe trovata al suo ritorno dalla tournée, nonostante lei gli avesse assicurato che l’aveva perdonato. Ma come poteva pensare di perdonarlo? Come poteva stare così tranquilla, sapendolo dall’altra parte del mondo con la donna che le aveva detto di amare? A volte non la capiva, non capiva un sacco di cose di lei… Nemmeno se stesso, che invece di troncare definitivamente, aveva preferito rimanere in quello stupido limbo come se il tempo potesse rimettere le cose al loro posto, tornando ad un passato che in fondo non lo aveva mai reso davvero felice.
Ma poteva essere felice con Vic? Potevano sopravvivere alle litigate furiose, alla gelosia, alla noia della quotidianità? Beh, non lo avevano forse sempre fatto?
Eppure ora sembrava tutto impossibile. L’uomo si sentiva paralizzato dal senso di colpa e sapeva che per lei era lo stesso: Vic era così convinta di averlo deluso mentre lui era distrutto dalla consapevolezza di ciò che, suo malgrado, l’aveva costretta ad affrontare. Fin dall’inizio Damiano aveva avuto la terribile sensazione di averla rovinata, di aver sporcato quell’anima così pura, che invece si era ripromesso di non far soffrire mai. Perché se c’era una cosa che aveva imparato in quegli anni accanto a lei, era che i fiori più belli, quelli che amiamo di più, non devono essere colti. Devono essere amati per ciò che sono, ammirati nel loro splendore, perché amarli non significa in nessun modo possederli. Ed il suo rapporto con Vic era stato esattamente questo: l’aveva amata sempre, con tutto se stesso, con il cuore, gli occhi, con tutte le sue forze, la sua anima e le viscere. L’aveva amata da lontano e da vicino. Dal primissimo fottuto attimo. L’aveva vista cadere e rialzarsi un numero imprecisato di volte e aveva sofferto quando non era stata la sua mano, quella che Vic aveva afferrato per tornare in piedi.  L’aveva amata mentre la vedeva crescere e sbocciare e quando si era rialzata con le proprie forze era stato così fiero di lei. Ora però aveva la sensazione di averla gettata nel fango, di averla trascinata giù con sé nel suo piccolo inferno di inquietudini e demoni ed il terrore di averla rovinata per sempre lo devastava e lo obbligava a starsene distante.
La vide correre sulla pedana centrale e lanciarsi a terra, pizzicando le corde del suo strumento e seguendone il ritmo quasi tribale. Urlava Vic, il suo corpo gridava per lei, i capelli spettinati appiccicati sul viso sudato, sulle sue guance arrossate dal caldo. Quella che ora stava al centro del palco e veniva acclamata da migliaia di fan urlanti era una dea del rock. La sua dea, che rimaneva anche la sua piccola donna, la sua migliore amica, la sua compagna per la vita, perché era con lei che aveva vissuto i suoi giorni più belli ed anche quelli peggiori. Erano passate altre prima e dopo di lei ma nessuna si era mai attaccata alla sua anima in quel modo. Perché la verità, ormai lo sapeva, era che tra di loro non sarebbe mai finita, erano come anime gemelle destinate a stare l’una accanto all’altra per riuscire a brillare. E allora sarebbero cresciuti ed invecchiati insieme, avrebbero visto posti inimmaginabili, avrebbero riso e pianto lacrime amare di malinconia e rinunce. Avrebbero litigato per poi chiedersi scusa e sarebbero ingrassati ed ingrigiti ma nessuno mai avrebbe cancellato quella sensazione dai loro cuori, quella consapevolezza di essere indispensabili l’uno all’altro.
Damiano l’avrebbe protetta da tutto, consolata, accudita, sarebbe stato la sua famiglia anche quando lei lo avrebbe tenuto lontano.
E lei sarebbe stata semplicemente Vic: il suo piccolo uragano, la sua macchina da guerra, il suo fiore di cristallo.
La madre di tutti i suoi figli.
La musa ispiratrice.
La sua Marlena.

Spazio autore

È finita per davvero.
Lo so che non è finita come la maggior parte di voi si aspettava ma credo che non potesse esistere un epilogo diverso da questo perché in fondo, se ci pensate, rispecchia molto il primo capitolo.
Qualcuno diceva (credo Orson Welles ma non sono sicura) che il lieto fine dipende da dove interrompi la storia e magari è proprio così. Se l'avessi interrotta un paio di capitoli prima sarebbe stata perfetta e magari lo sarebbe un paio di capitoli dopo ma non ci ho ancora pensato. Ho amato molto scriverla e ancora di più vedere il vostro riscontro positivo. Se volete ripeto che è tutto frutto della mia fantasia e che spero di aver trattato alcuni temi più delicati con il tatto ed il rispetto necessari.
Grazie grazie grazie per chi l'ha seguita e mi ha incoraggiato a continuare anche quando non ero sicura.

AmandotiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora